Capitolo 4

324 28 1
                                    

Le doleva ogni muscolo; le braccia erano difficili da sollevare, perché le spalle lanciavano fitte di dolore, e le gambe... Dèi del cielo, le gambe erano macigni.
Quando s'infilò sotto il getto della doccia, Desdemona si sentì rigenerare.
L'acqua le scorse sul corpo e tra i capelli, in rivoli caldi e piacevoli. La pelle tornò a respirare quando la sporcizia scivolò via e fu così bello che chiuse gli occhi, rilassandosi.
Sognava una doccia calda da settimane. Avrebbe preferito potersi immergere in una comoda vasca piena di schiuma profumata, ma non voleva approfittare dell'ospitalità di suo fratello e dei Maximi.
Di sicuro, non passavano molte donne per quelle stanze: sulla piccola mensola, nella doccia, c'era un solo shampoo, della schiuma da barba e due rasoi, niente che lasciasse intuire una presenza femminile.
Beh, comunque, non erano fatti suoi.
Afferrò il flacone di shampoo e se ne versò un po' nel palmo della mano. Quando sollevò le braccia per insaponarsi i capelli, un'altra fitta alle spalle le fece stringere i denti per il dolore.
Il Principe aveva ragione: non aveva il coraggio di raccontare a Nikandros tutta la verità, ma dirgli tutto era difficile.
Dopo il modo in cui l'aveva trattato l'ultima volta, era già tanto che lui non l'avesse lasciata per strada, quella notte.
Desdemona è stesa sul logoro materasso posato sul pavimento, in quel minuscolo monolocale, con indosso solo un paio di slip e una vecchia maglia da uomo. I corti capelli biondi le restano dritti da un lato, quando solleva la testa per aspirare un tiro dallo spinello che le passa il ragazzo steso accanto a lei.
Lui ha un caschetto di capelli chiari e la barba di un paio di giorni.
Desdemona lo conosce solo da qualche settimana, ma quel ragazzo le ha insegnato in poco tempo più cose di quanto abbiano fatto le suore in quasi quindici anni.
Espira una densa nube di fumo e sorride rilassata, quando la porta del monolocale si spalanca di colpo.
Un uomo avanza a passo deciso nella stanza: la gomma degli anfibi stride sul pavimento e i suoi abiti di pelle cigolano seguendo i suoi movimenti.
Desdemona si siede e impiega qualche istante per riconoscerlo: non lo vede da mesi e suo fratello si è fatto crescere una lunga e folta barba.
«Che ci fai qui?» gli chiede, ma Nikandros non risponde.
L'umano ha appena il tempo di sedersi, quando il
Maximo lo afferra per la gola e lo solleva senza sforzo.
«Che stai facendo a mia sorella?» ruggisce.
Il ragazzo non riesce a rispondere: agita le gambe e tenta di liberarsi da quella presa mirata a soffocarlo.
Desdemona allora si alza in piedi e si aggrappa al braccio del fratello.
«Non mi ha fatto niente!» grida, «Lascialo stare!»
Nikandros tiene gli occhi fissi sull'umano e chiede:
«È lui che ti ha rapita? Ti ha portata via dal collegio?»
«No! Lui non c'entra niente» insiste lei, «Lascialo andare, ti prego!»
Il ragazzo tenta ancora di liberarsi e Nikandros ringhia:
«Come hai osato portarla via?»
Desdemona si getta contro di lui, provando a spingerlo indietro.
«Non è stato lui!» strilla, «Sono scappata! Ho deciso io di andarmene!»
Nikandros si volta a guardarla, con le sopracciglia aggrottate.
«Lo hai deciso tu?» chiede, incredulo, «Perché?»
Lascia andare il ragazzo, che cade di schiena sul pavimento gelido, portandosi le mani alla gola e spalancando la bocca, riempendosi i polmoni di ossigeno.
Con gli occhi pieni di lacrime, Desdemona scuote la testa e indietreggia di un passo, incrociando le braccia.
«Non fare quella faccia» gli dice, «Non guardarmi come se fossi scappata dal paradiso. Quel posto era una prigione.»
Nikandros cerca di toccarle un braccio, ma lei indietreggia ancora.
«Io credevo che stessi bene» le dice, «Perché non me ne hai parlato?»
Lei alza le spalle.
«Mi hai scaricata nel primo istituto che hai trovato, ricordandoti che esistevo solo per le feste. A te non importa niente di me.»
Lui si sente colpito da quell'accusa.
«Non dire così. Mi importa.»
«Non è vero!» grida lei, «Non te ne frega niente! E io sono stanca di essere controllata da te o chi per te. Voglio vivere la mia vita per conto mio!»
Nikandros annuisce.
«Lo capisco» le dice, «Ma lascia che ti aiuti. Non affrontare tutto da sola.»
Desdemona gli rivolge un sorriso rabbioso.
«Non voglio più niente da te» sibila, «Tu sei uno schiavo di nostra madre e ti importa solo del tuo lavoro. Io non voglio mai più vederti! Ti odio!»
Lui abbassa lo sguardo e annuisce di nuovo. È un
Maximo, non può provare dolore né altre emozioni negative, eppure quelle due parole sono come una secchiata d'acqua ghiacciata sul suo stomaco.
Non fa male, ma è pungente. Lo fa sentire vuoto.
«D'accordo» dice infine, «Se è questo che vuoi.»
«È questo che voglio» ribadisce lei, a braccia conserte.
Nikandros vorrebbe dirle qualcosa, ma non ha idea di cosa potrebbe farle cambiare idea: lui è un guerriero, non sa affrontare una relazione. Perciò si volta e, in silenzio, esce dall'appartamento, richiudendosi la porta alle spalle.

La sua avventura con quel giovane umano finì in quello stesso istante: spaventato dall'aggressione di suo fratello, il ragazzo se ne andò nel cuore della notte, lasciandola sola.
Desdemona, però, non si perse d'animo: trovò un lavoro, mantenne la casa, conobbe nuovi amici.
Visse come un'umana per mesi, ma alla fine si rese conto di non essere felice.
Lei voleva di più da quella vita: voleva l'avventura, voleva emozioni diverse.
Mollò tutto e si diresse in Russia, in cerca delle Amazzoni: si avventurò nei boschi di Sochi e si perse, trascorrendo due delle notti peggiori della sua esistenza.
Alla fine, furono proprio le Amazzoni a trovarla.
A dispetto di ciò che si narrava sul loro conto, quelle donne la accolsero con benevolenza. Le permisero di restare con loro, l'addestrarono fino a renderla una guerriera.
E la sua vita le sembrò più piena, le sembrò completa.
Fin quando non accadde.
Desdemona si sveglia di colpo. La stanza è immersa nel buio e lei sente un orribile senso di disagio incresparle la pelle.
Ad eccezione dei suoni del bosco, la notte è silenziosa: le Amazzoni stanno dormendo.
Allunga un braccio e accende la abatjour sul comodino, pensando di aver bisogno di un po' d'acqua, ma quando la luce gialla rischiara la stanza, Desdemona trattiene un grido e si porta una mano al petto, colta dallo stupore.
C'è una donna, proprio di fronte alla porta della sua camera: ha lunghi capelli biondo cenere, indossa una veste rosa pallido che le arriva ai piedi e sagoma un corpo formoso e perfetto. I lineamenti sono delicati e armoniosi, tanto belli da mozzare il fiato.
Desdemona non l'ha mai vista prima, ma non ha dubbi su chi sia quella donna dalla bellezza sovrannaturale.
«Salve, mia Signora» la saluta, chinando il capo.
Afrodite si appoggia con i fianchi alla porta di legno e rivolge un'occhiata incuriosita alla giovane.
«Non sei come ti immaginavo» le dice, «Mi hanno narrato della tua bellezza, ma non mi sembri più bella di me.»
Desdemona aggrotta le sopracciglia, confusa.
«Nessuna donna al mondo può essere più bella di te, mia Signora.»
Afrodite scuote la testa e ridacchia.
«Solo quella stolta di Artemide poteva commettere un simile errore.»
A quelle parole, Desdemona stringe i denti.
Artemide l'ha salvata, le ha permesso di restare con le Amazzoni e le ha dato uno scopo nella vita: non può tollerare che qualcuno la insulti, neanche una divinità.
«Ti prego di non parlare in questo modo della mia Dea, Signora.»
È in quel momento che Afrodite la guarda davvero: vede la forza di quella ragazza, la sua volontà e la bellezza della sua anima. La sua discendenza dai Titani, il sangue della Regina che le scorre nelle vene, la fa risplendere come una gemma rara in quella terra di insipidi mortali.
E deve ammettere a se stessa che, sì, quella ragazza è più bella di quanto lei potrebbe mai essere.
«Come osi?» sibila.
Ma Desdemona non si pente di quello che ha detto e non risponde, tenendo il mento sollevato con decisione.
Afrodite trema per la rabbia e mormora:
«Argo.»
La ragazza non capisce, finché un movimento attira la sua attenzione: dal fondo buio della stanza qualcosa viene avanti lentamente. Vede solo la sua sagoma imponente, fin quando non entra nella luce, e allora il respiro le muore nel petto e il suo cuore si ferma per la paura.
Un gigante dalle fattezza umane, con indosso solo una veste di seta nera, si muove verso il letto. Ha corti capelli scuri e la carnagione olivastra, un naso adunco e labbra sottili che si sollevano a scoprire i denti marci. Il suo corpo è costellato di pallini neri, come pustole, ma solo quando lei si lascia sfuggire un gemito di terrore, i puntini si muovono di colpo, rivelando occhi dall'iride scuro, che puntano tutti su di lei.

Afrodite la rapì.
Argo, il gigante dai cento occhi, la mise fuori combattimento senza neanche svegliare le altre Amazzoni e Desdemona si ritrovò nella sua prigione.
Desdemona rinviene mentre un cerchio invisibile le serra la testa in un'emicrania terribile. È in una stanza dalle pareti chiare, arredata solo con un letto, un armadio e una scrivania.
Fuori è buio: può vedere la luna piena dalla finestra.
Fa caldo e l'aria ha un odore diverso.
Si alza dal letto e, con timore, si avvicina alla porta socchiusa.
L'attraversa, trovandosi in un pianerottolo con altre porte aperte e una rampa di scale che scende.
Come un'epifania improvvisa, ricorda Afrodite e il mostro che l'ha rapita, allora resta immobile per un momento, in ascolto.
Non sente rumori, deve essere sola lì.
Si appoggia al muro, in cerca di sostegno, e si dirige verso le scale. Le scende più in fretta che può; conta cinque piani, prima di raggiungere l'uscita e quando l'aria della notte la investe, fresca e piacevole, si guarda intorno, confusa.
È in strada, circondata da alti palazzi, tutti identici, ma non c'è nessun altro oltre lei: non un solo rumore disturba quella notte quieta, le finestre sono chiuse o, quelle che non lo sono, hanno i vetri infranti.
Non ha idea di dove Afrodite l'abbia portata, ma sa che non può restare lì un secondo di più. Si addentra nei vicoli, in cerca di un'uscita, ma quella città fantasma sembra un labirinto. Finisce col perdersi e allora si ferma, appoggia la schiena al muro di un palazzo e sospira, affranta.
Deve uscire da quella situazione, ma non sa come fare.
Di colpo, una voce maschile la fa sussultare.
«Eccoti» le dice.
Desdemona si volta verso l'entrata del vicolo, trovando Argo, con il torso nudo e quegli inquietanti e innumerevoli occhi che la scrutano da ogni angolo del suo corpo.
Si raddrizza, mentre quello si avvicina.
«Ti ho cercata per tutta la città» dice il mostro, «Mi sono preoccupato.»
«Dove siamo?» chiede Desdemona, indietreggiando.
Argo si guarda intorno con aria rilassata.
«Una volta, questo posto veniva chiamato Estia» risponde, «Ora non ci vive più nessuno, ma mi hanno raccontato che un tempo era una colonia prosperosa.»
Desdemona continua a indietreggiare.
«Perché mi hai portata qui?» gli chiede.
Argo alza le spalle.
«Afrodite voleva che ti uccidessi» le dice, poi inclina la testa e le rivolge un mezzo sorriso, orrendo con quei denti marci, «Però io non ce l'ho fatta. Non voglio far arrabbiare Era e tu...», alza ancora le spalle, «Tu sei troppo bella per...», abbassa lo sguardo per un momento, «Tu sei troppo bella per essere uccisa.»
Desdemona si sente come se il terreno le stia cedendo sotto i piedi: Afrodite la vuole morta, perciò la sua vita è nelle mani di quel mostruoso gigante.
Spinta dalla paura, si volta e corre via, mentre Argo le grida:
«È inutile che tenti di scappare. La città è una fortezza.»

E aveva ragione, perché Estia era protetta da insormontabili mura di piombo, con porte che potevano essere aperte soltanto da un gruppo di uomini vigorosi.
Inoltre, era impossibile sfuggire alla custodia di Argo. Quel mostruoso gigante la sorvegliava giorno e notte, senza distrarsi neanche per un istante: persino quando dormiva, la metà dei suoi occhi continuava a sorvegliarla.
La porta del bagno si aprì ed entrò qualcuno.
«Nik, sei tu?» chiese lei.
Attraverso il vetro appannato della doccia, vedeva solo una sagoma possente e folti capelli rossi. Di colpo, il box si aprì e lei saltò all'indietro per lo spavento.
Era soltanto uno dei Maximi: lo capì dalla cintura con le armi attorno alla vita dei jeans. Indossava una t-shirt a mezze maniche, che scopriva le braccia muscolose, e aveva il laccio di una faretra che gli cingeva il petto. I boccoli rossi erano arruffati, aveva occhi verdi e limpidi e un sorriso impertinente sul viso, bello come quello del Dio Eros.
Il ragazzo la scrutò dall'alto in basso, prima di inclinare la testa con un'espressione soddisfatta.
«Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace» disse.
Desdemona aggrottò le sopracciglia, confusa e infastidita.
«Ti dispiace?» sibilò, «Se ti serve il bagno, lo libero fra cinque minuti.»
Lui inarcò un sopracciglio e le rivolse un sorriso malizioso.
«L'occhio del padrone, ingrassa il cavallo.»
Lei si piantò le mani sui fianchi.
«Ma di che diavolo stai parlando?» sbottò.
Lui sospirò, si coprì il viso con una mano e ridacchiò.
«Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.»
Desdemona lo fissò per un istante, incredula.
La stava prendendo in giro?
Beh, era ovvio che non fosse serio, ma chi credeva di essere per trattarla in quel modo?
Chiuse il rubinetto e allungò un braccio verso di lui.
«Puoi almeno passarmi l'asciugamano, per favore?»
Lui prese il telo che era sul lavandino e glielo porse.
«Occhio non vede, cuore non duole» commentò.
Desdemona lo strappò dalle sue mani e se lo avvolse intorno al corpo. Stava per insultarlo, quando qualcuno gridò:
«Ish, sei qui?»
Lui si voltò verso la porta e gridò:
«Chi tace, acconsente!»
Un altro ragazzo entrò nel bagno: era identico al primo, con gli stessi capelli rossi, le stesse armi e la stessa espressione da delinquente.
«Ehi, è mezz'ora che ti cerco...», ma non finì la frase, perché vide la ragazza seminuda nella doccia e il suo viso s'aprì in un sorriso.
«Ma ciao» la salutò.
Desdemona strinse gli occhi.
«Questo posto è affollato» commentò.
Lui ridacchiò.
«Sì» rispose, «Di solito non abbiamo problemi a condividere il bagno, ma non sapevamo che ci fosse una signora.»
Lei inarcò le sopracciglia.
«Oh, allora tu non sei deficiente come il tuo amico.»
I ragazzi risero entrambi.
«Hai ragione, è un deficiente» convenne il secondo, «Ma stavolta è colpa mia: ha perso una scommessa e per oggi può parlare usando soltanto proverbi.» Tese la mano verso di lei, «Io sono Neil, comunque, e lui è mio fratello Neesha.»
Desdemona si tenne ben stretto l'asciugamano.
«Io sono bagnata e vorrei asciugarmi» rispose, «Vi spiace andare a giocare da un'altra parte per i prossimi dieci minuti?»
Neesha sorrise.
«Chi ha tempo, non aspetti tempo» disse.
Neil scoppiò a ridere e afferrò il fratello per la nuca.
«Scusaci» disse alla ragazza, «Lo porto via.»
Spinse il gemello verso la porta e, prima di uscire, Neesha le fece l'occhiolino e disse:
«Quando l'acqua scarseggia, la papera non galleggia!»
Neil lo tirò con più forza e si chiusero la porta alle spalle.
Rimasta sola, Desdemona fissò il punto da cui erano usciti e scoppiò a ridere.

L'incanto di AfroditeWhere stories live. Discover now