Agosto 1670 pt. 2

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Ferraris aveva detto il vero almeno riguardo al principe: tornato dal palazzo di campagna due giorni dopo il fidanzamento, e scoperto cos'era accaduto durante la sua breve assenza – non era stato via più di una settimana – il principe si era rivolto duramente prima al duca suo nipote, quindi alla duchessina. Con lei, però, poté essere molto più sciolto nelle parole e nei modi perché, appena entrato nel suo salottino privato, aveva ordinato a tutti i presenti di andarsene.

«Cosa credete di fare?! – aveva esordito, già rosso in viso per la stizza – Credete di essere più furba di me, di potermi ingannare? Pensavo che aveste abbandonato queste vane illusioni!»

Galatea, reagendo altrettanto bruscamente, gli aveva rinfacciato: «Voi volete solo il mio male e io dovrei lasciarvi fare?! Potete togliervelo dalla testa!»

Si erano urlati frasi del genere per qualche minuto, con Ferdinando che camminava avanti e indietro lungo una parete e Galatea che, dalla poltroncina, gli inveiva contro brandendo il suo ricamo. Poi, o per la mancanza di fiato, o per il sorgere di una nuova tattica più raffinata, il principe si era zittito, limitandosi a guardare la giovane all'altro capo del salotto.

Lei, con il cuore che batteva impazzito, respirava lentamente, cercando di inspirare quanta più aria possibile senza dare a vedere in modo manifesto la propria stanchezza. Il bambino era irrequieto e la torturava dall'interno, aggiungendo alle preoccupazioni i suoi piccoli calci. Per quietarlo un po', cominciò a picchiettarsi sulla pancia e a sussurrare: «Shhht!» come se lui potesse sentirla.

«Non avete ancora capito che chiunque si frapponga tra voi e me, prima o poi, deve farsi da parte?» ghignò Ferdinando, approfittando della sua distrazione. Galatea tornò subito a guardarlo, deglutendo di paura: «Non fate strani discorsi, non è il caso» lo minacciò, ma aveva poco, in realtà, da minacciare.

Il principe si appoggiò alla cornice del camino senza cessare dal fissarla: «Vostro marito non ha fatto una bella fine; perché volete soffrire una seconda volta inutilmente?»

Lei gettò a terra il ricamo e gridò: «Basta! Vi ordino di andarvene! Non voglio più vedervi!»

«Voi non siete nelle condizioni di ordinare proprio nulla – constatò tranquillo lui – Piuttosto, è il caso che mettiate la testa a posto e mi ascoltiate, finalmente»

«Non vedo perché dovrei ascoltarvi» replicò, incrociando le braccia. Non aveva intenzione di aggiungere altro.

«Perché io so qualcosa di voi che voi stessa volete nascondere. È giunto il momento che si parli di queste visioni» spiegò Ferdinando, muovendo un passo verso di lei. Galatea strabuzzò gli occhi e rimase di stucco, senza trovare le parole per ribattere. D'un tratto si sentì disarmata, benché avesse sempre saputo che prima o poi i suoi ricatti si sarebbero spinti fino a quella soglia.

«Io... Non so di cosa...» balbettò.

Ferdinando scosse la testa: «Inutile negare, mia cara. Io vi ho visto, vi ho sentito mentre le parlavate e tutto mi è stato confermato da qualcuno che non può dire bugie»

«Fortuna» sibilò, stringendo nei pugni la stoffa della gonna.

Il principe fece un'espressione scontata di vittoria: «Vedete? Ero pronto a scommetterci – disse, facendo un altro passo avanti – E vi dico di più: il bambino per cui vi affannate tanto non vi gioverà a nulla una volta nato. E sapete perché? Perché è femmina»

Galatea abbassò gli occhi sul pancione: una bambina? Come faceva a saperlo? Possibile che Fortuna potesse rivelargli certi dettagli con quella precisione? Rialzò lo sguardo per controllarlo e, insieme, per riflettere: quante altre cose conosceva grazie a quella piccola spia?

«Come? Non mi dite che a voi non parla» continuò Ferdinando, avanzando ancora.

Galatea esitò, poi rispose: «Certo che mi parla... ma non mi ha mai rivelato il futuro...»

Lui rise, come se avesse appena ascoltato la peggiore idiozia del mondo, poi la schernì: «Siete ingenua, cara mia: le domande vanno poste con cura per ottenere certe risposte, e le risposte, spesso e volentieri, vanno interpretate, anche. Non si tratta mai di amabili chiacchierate tra amici»

Le sue mani tremavano e, per quanto si impegnasse a controllare il proprio corpo, gli spasmi della paura erano troppo forti. Ferdinando, ormai, era tanto vicino da sovrastarla e lei, atterrita, non tentò nemmeno la fuga. Con il briciolo di coraggio che le restava, si sforzò di dire: «Se siete in grado di servirvi di queste visioni meglio di me, da dove la necessità di imprigionarmi?»

Con quel suo tipico sorrisetto prepotente, il principe le rispose: «Io non posso parlare con la Morte, a differenza di quanto potete voi. Ecco, a me serve parlare con lei, e lei mi rifugge, mi ignora, non mi presta orecchio»

«E cosa vorreste ottenere, e come?» domandò, sempre più confusa.

«Per il come, ritengo di aver trovato la chiave: dovete sapere che in principio ho ucciso in diversi modi molti uomini e molte donne per poterle parlare, salvo scoprire che per gli omicidi è qualcun altro a intervenire, un mostro maldestro e sfacciato e rivoltante. Questi mi ha trattato con insolenza e non fa decisamente al caso mio. Ora, per convocare la Morte al mio cospetto, ho adottato un altro metodo: faccio portare nel mio studio dei moribondi cui restano poche ore di vita. In genere uso il pretesto della medicina, mia grande passione, ma in realtà attendo solo che i poveretti muoiano e, quando la vedo arrivare, allora mi alzo dalla mia poltrona e mi rivolgo a lei. Qualsiasi cosa io le dica, però, lei non mi risponde e, una volta assolto il proprio compito, se ne va »

Galatea trattenne a stento un conato di vomito e lo insultò: «Siete un diavolo! Uccidere e lasciar morire dei sofferenti per un vostro capriccio!»

«Voi lo chiamate capriccio – la redarguì secco – Io la chiamo immortalità»

Lei inclinò la testa da una parte, esterrefatta.

«Immortalità?» sussurrò.

Lui annuì con il volto insolitamente pensieroso: «Io intendo asservire la Morte come ho asservito la Fortuna. Se solo io sapessi che ella mi ascolta e mi comprende, allora potrei convincerla a risparmiarmi la vita»

«Voi sfidate le norme di Nostro Signore senza rendervi conto della vostra immane superbia! Come potete credere che Morte e Fortuna vi siano soggette?!» controbatté lei con le lacrime agli occhi.

«Questo lo vedremo. Per il momento io so che voi le parlate e lei vi risponde: perciò ecco cosa vi propongo in cambio della vostra libertà. Assisterete con me un moribondo , così da poter intavolare un dialogo con la Morte. Una volta che l'avrete convinta a rispondermi, e una volta che ella mi avrà rivolto la parola, da allora sarete libera. Potrete risposarvi, potrete metter su la vostra famiglia e io non vi impedirò nulla di tutto questo» propose, guardandola dall'alto in basso.

Galatea irrigidì il viso: «Certo! Così poi vi servirete della vostra nuova serva per portare disgrazie in casa mia. Giuratemi sulla vostra vita che non oserete arrecare dolore ai miei cari per nessun motivo»

«Lo giuro»

«Dite che lo giurate sulla vostra vita»

«Lo giuro sulla mia vita – ripeté, poi affilò lo sguardo e replicò – E voi, anche voi giuratemi che non vi servirete del vostro dono per nuocere a me, né prima né dopo»

«Anche se volessi, io non ho il potere di governare la Morte. Ma, se questo vi fa essere più tranquillo, giuro di non nuocervi mai»

Ferdinando annuì soddisfatto e si allontanò di qualche passo. Fu lei a richiamare di nuovo la sua attenzione: «Nulla potrà avvenire – osservò pacata – Prima della nascita di mia figlia. Capirete che né il duca né il mio fidanzato permetteranno che mi avvicini a un moribondo»

«L'avevo già messo in conto – le confessò – L'attesa, a questo punto,non mi infastidisce più»    

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora