Pieno giugno 1670

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Galatea sedeva su una poltroncina in un bel salotto affrescato. Dalle pareti molti personaggi la guardavano, ma i loro occhi non avevano profondità perché, con buona pace del pittore, l'espressività non era certo un punto di forza di quelle figure. Non erano loro a inquietarla tanto da farle stringere la presa sulla stoffa della gonna, ampia e pesante, che le avevano fatto indossare non appena arrivata. Il principe, infatti, non avrebbe mai acconsentito che la propria nipote indossasse più a lungo gli abiti logori e rammendati di una sguattera. Il travestimento era durato anche troppo: ormai il pericolo era passato, il sacrificio del duchino aveva allontanato – come credevano i pagani – la sventura. Ora c'era solo un unico erede, c'era solo un'unica corte. Gli oppositori del duca erano dispersi e deboli.

La duchessina fissava il pavimento come se nei ghirigori geometrici disegnati da marmi di diversi colori potesse trovare la chiave per comprendere il significato di una vita intera. Ma chiedeva troppo e presto desistette dall'impresa. Si sentiva stretta nell'angoscia di non sapere quale sarebbe stata, ora, la sua sorte. O per lo meno, questo credette Ferdinando quando, entrando da una porta sul lato corto del salotto, la vide seduta sulla poltroncina.

«Buongiorno» le disse, agitando graziosamente la mano a mezz'aria. Galatea non corrispose nessun saluto, limitandosi ad alzare gli occhi vitrei.

Il principe si avvicinò con il suo passo lungo e solenne, studiando l'espressione scontrosa della ragazza. Dato che lei si ostinava a tacere, decise che le avrebbe fatto pesare un po' il silenzio rimanendo a fissarla in piedi. Galatea non mostrò segno di turbamento o di paura: solo una profonda voglia di schiaffeggiarlo. Ferdinando sorrise contemplando una tale rappresentazione di odio e meditando dentro di sé quale bel preludio fosse per una relazione appassionante. La sua strategia era ben congeniata, preparata da giorni e in attesa solo di essere posta in atto. Forse lei avrebbe opposto resistenza e, date le sue origini, c'era la probabilità che si ostinasse oltre le previsioni: ecco perché non sarebbe andato affatto per il sottile.

«Spero che abbiate saputo rendere piacevole il soggiorno del conte Charles de Revay-Nance presso il palazzo di madama De Spini – commentò, colpendola nei sentimenti più intimi di una fanciulla – Mi spiace che non abbiate potuto fare altrettanto con il nostro fido servitore Ferraris, perché mi ha riferito di una serva che avrebbe bramato possedere... Una serva che vi somigliava molto»

Galatea abbassò di nuovo lo sguardo, cercando di controllare il ritmo dei respiri. Ferdinando colse quel primo indizio di disagio e ne godette, accingendosi ad andare oltre.

«Non temete, in futuro potreste avere la possibilità di saziare anche lui»

Ovvio che no, non sarebbe mai accaduto, perché Ferdinando non aveva interesse a condividere le proprie cose; lei, però, doveva temerlo, doveva trovare conveniente l'obbedienza e la devozione verso il suo nuovo protettore. Voleva istillare un incubo nella sua mente: l'incubo di non appartenersi più. Voleva insinuare che, durante la notte passata assieme al duca, si fosse persa la sua dignità e per questo dovesse considerarsi impura, peccatrice, reietta. Voleva che le rimanesse una sola prospettiva di vita: la cortigiana. La sua cortigiana.

Galatea, come previsto, si ostinava nel silenzio. Ferdinando si appressò ancora, le prese il mento tra le dita e la forzò a guardarlo. Lei si scosse, si ribellò, cercò di sottrarsi e alla fine si alzò, aggirando la poltroncina, ponendola tra sé e il principe.

«Non dovete fare la scontrosa con me – la sbeffeggiò lui – Vi piacciono gli uomini giovani? Badate che io non ho nulla da invidiare a nessuno»

Galatea fu sul punto di replicare, ma poi si ritrasse, muovendo un passo indietro. Ferdinando cercò di afferrarla, slanciandosi in avanti, ma ricadde con il ginocchio sulla poltroncina senza successo.

«Voi mi disgustate! – sbottò Galatea, stringendosi tra le braccia – Lasciatemi immediatamente!»

Ferdinando la seguì dietro la poltroncina, intenzionato più a spaventarla che non ad aggredirla come voleva far intendere. Lei indietreggiò ancora fino alla parete, quindi cominciò a muoversi rasente il muro per sottrarsi all'avanzare del principe, il cui viso era distorto da un macabro sorriso.

«Non osate toccarmi o...» minacciò. Lui rise di rimando, tendendo le mani avanti per arrestare la sua fuga.

«Voglio tornare a corte! Voglio parlare con il duca!» continuò Galatea, evitando in ogni modo di voltargli le spalle.

«Questo non ve lo negherò – accondiscese Ferdinando e, dicendolo, si fermò – Ma vi conviene pensare bene a cosa dire al duca»

Anche lei smise di camminare per fissare lo sguardo negli occhi di lui: «Cosa significa?» domandò, temendo la risposta.

«Ammetto di avere un certo ascendente sul vescovo che dovrebbe tutelarvi: se dovessi insinuare qualche dubbio sull'ortodossia di vostro padre, il Sant'Uffizio ne verrebbe informato immediatamente» rispose con aria furba. Galatea respirò profondamente, con le unghie premute contro gli affreschi.

«Ditemi chiaramente cosa volete da me e vedrò di accontentarvi, ma voglio che promettiate che poi mi lascerete andare. Lascerò la corte, tornerò dai miei genitori, potrete dimenticarmi...»

Ferdinando alzò l'indice per zittirla: «Qui sbagliate, madama: nessuno ha intenzione di dimenticarvi. E ciò che io voglio da voi è abbastanza prevedibile; mi offende che non ci siate ancora arrivata»

Galatea mosse gli occhi intorno a sé, come per ricordarsi dove si trovasse e perché. Tornò a guardare il principe e solo alla fine emise un sospiro liberatorio: «Perché mi fate questo?»

«Non ricordate? Ve l'avevo prospettato mesi fa, quando mi avete rifiutato. Presto si saprà del vostro cedimento morale, la notizia sta già circolando: solo io sarò disposto a porgervi la mano per farvi rialzare, ma accettando la mia mano voi accetterete le mie condizioni»

«E se non l'accettassi?»

«Affonderete nella vostra colpa: verrete esiliata dalla corte perché non avrete più protettori potenti – spiegò, quindi proseguì – Dovete sapere che la corte ha uno strano senso di moralità: le regole si applicano solo ai deboli e, nel vostro caso, senza protettori voi non siete nessuno. Anzi, lasciatemi dire che il vostro caso è oltremodo speciale. Molti si accontenterebbero di rivangare le vostre origini umili per decretare la vostra indegnità. Non c'è più vostro marito, non c'è più la vostra Eleonora. Voi, sola, siete condannata a una vita infame, nei quartieri più malfamati della capitale. La cattiva reputazione vi inseguirà, vi perseguiterà, vi costringerà a scappare per tutta la vita. Sarete odiata tanto quanto un tempo eravate amata. Tutti sapranno chi siete e cosa avete fatto e non ci sarà mai perdono»

Galatea sopportò il peso di quelle parole senza distogliere per un momento lo sguardo da Ferdinando, le unghie sempre premute contro l'intonaco. I suoi occhi lucidi smascheravano la frustrazione e la vergogna, ma per il resto si sarebbe detto che non avesse ascoltato quel terribile discorso. Il principe attese una reazione che non arrivò mai. La fanciulla ferita non mendicò aiuto, non supplicò comprensione, non avanzò difese, come se fosse consapevole della gravità di quella mancanza, benché non fosse dipesa da lei. Ferdinando pensò di avere vinto e, di fronte al suo rinnovato mutismo, decise di porre fine alla discussione. Un leggero cenno e si volse, raggiungendo rapidamente la porta e chiudendola alle proprie spalle.

Galatea, finalmente, poté respirare con più agio. Si prese il tempo di tranquillizzarsi, ma finché il principe avesse tenuto le mani lontano da lei non avrebbe avuto di che temere. Ciascuno ha le proprie armi e anche lei ne aveva, e ne aveva di insospettabili. Non le avevano detto che sarebbe stato facile: doveva procedere per gradi e il primo, quello fondamentale, era parlare con Antonio. Accarezzandosi il ventre con delicatezza inusuale, asciugò una lacrima e si fece forza per continuare l'ultima battaglia.



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Angolo Autrice

Siamo finalmente arrivati ai capitoli nuovi di zecca e, allo stesso tempo, abbiamo cambiato "lochescion", siamo nel palazzo di campagna di Ferdinando. Cosa vi aspettate che possa succedere, ora? Vi avviso: i nodi stanno venendo al pettine!

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora