Aprile 1664 pt. 2

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In camera la attendeva il supplizio: un tappeto di ceci era disteso ai piedi del letto e madonna Dorina ce la scortò personalmente.

«Ora in ginocchio, così impari a disturbare le tue compagne» disse, spingendola verso il basso. Galatea trattenne i lamenti di dolore e si aggrappò alla pediera per sfogare la rabbia e la frustrazione. Bice era già a letto e la guardava da sotto le lenzuola.

«Ora resta lì finché non ti do il permesso di alzarti» rincarò la governante facendo due passi indietro. Non era la prima volta che a Galatea toccava quel trattamento; era toccato anche a Bice una volta, e sapeva che anche Tessa ci era incappata almeno in un'occasione. Madonna Dorina in effetti aveva un pregio tutto suo: per quanto privilegiasse alcune favorite, non per questo le sottraeva alle loro responsabilità e alle punizioni. Credeva, anzi, che la punizione rafforzasse il carattere delle damigelle a lei affidate. Si sarebbe potuto dire quindi che agisse in buona fede, ma il suo comportamento era troppo ambiguo per darne la certezza.

Galatea stringeva i denti e resisteva caparbiamente al desiderio di lamentarsi ad alta voce. I ceci affondavano nella carne morbida delle sue ginocchia e degli stinchi; la camicia da notte era stata sollevata apposta affinché non le facesse il minimo scudo.

«E' sufficiente» tagliò corto madonna Dorina. Galatea cercò di sollevarsi con la sola forza delle gambe, ma le ginocchia cedevano dopo la tortura. Perciò si aggrappò al letto e si tirò in piedi con il respiro affannoso.

«Bambina sgraziata!» sentenziò la governante con un ultimo sguardo sprezzante, quindi uscì dalla camera.

Bice saltò giù dal letto con un solo agile balzo, come se fino a quel momento non avesse aspettato altro. La raggiunse e la aiutò a muovere gli ultimi passi fino al materasso; la aiutò a sedersi, poi sollevò la camicia e le guardò attentamente le ginocchia. Un cece era rimasto attaccato alla pelle contusa, allora lei lo fece rotolare delicatamente per terra.

«I ceci sono fatti per essere mangiati – gemette Galatea al suono del chicco che rimbalzava sul pavimento – Con quella quantità di ceci avrebbe potuto sfamare un povero per tre giorni!»

Bice intanto le massaggiava la zona arrossata.

«E' tutta colpa di Tessa... Ultimamente si comporta in modo strano» osservò.

Galatea la guardò dall'alto: in un primo attimo non se ne accorse, ma poi lo vide. L'esserino che prima stava sulla spalla di Tessa ora si aggrappava al lobo sinistro di Bice.

«Bice... – balbettò – Non senti niente sulla spalla, vicino all'orecchio?»

E mentre ancora pronunciava la domanda, vide l'esserino avvicinarsi e bisbigliare qualcosa che solo Bice poté sentire.

«No, perché? Ho visto che volevi prendere in giro Tessa, sai?» ribatté Bice.

Galatea si ritrasse leggermente: «Scusa, non volevo» bisbigliò stupita.

«E comunque secondo me Tessa si è montata la testa da quando le hanno detto che è diventata una piccola donna» continuò Bice, sempre più acida.

«Ma cosa significa?»

«Non lo so. Nessuno vuole spiegarsi. E figurarsi, lei non lo dirà mai!»

Galatea osservò la figurina e le parve che, mentre bisbigliava all'orecchio di Bice, la creatura aumentasse sensibilmente di dimensioni.

"Ma cos'ha da dirle di così segreto? Chi è?" si chiese.

«E' sicuramente per via del fatto che la duchessina Eleonora la tiene come sua prediletta». Bice sembrava un fiume in piena, le parole fluivano dalle sue labbra rapide e lapidarie, come se fossero pietre gettate con rabbia contro Tessa.

«Chi sei?» sussurrò Galatea.

«Come dici?» rispose Bice sollevando gli occhi. Galatea si riscosse e si scusò, dicendo di aver pensato ad alta voce. Ma la creatura, ormai delle dimensioni di un passerotto, aveva rivolto il suo sguardo sanguigno verso di lei.

«Io sono la Discordia, mia cara – rispose con voce gracchiante da vecchia donna – E non tarderò a posarmi anche sulla tua spalla. Tempo un anno, non molto di più»

Galatea strabuzzò gli occhi.

«Ti senti bene?» domandò Bice, distraendosi dall'argomento della discussione. Discordia strinse la presa, immergendo gli artigli nella carne dell'orecchio, e la ragazzina tornò sul discorso precedente.

«E' colpa della duchessina se ora Tessa non ci parla quasi più»

«Bice – la interruppe – Credo sia ora di andare a dormire...»

«Ma non ti ha offeso per come ti ha trattata?»

Era stata Discordia a suggerirle quelle parole: questa volta Galatea l'aveva sentita perché, con le sue dimensioni, anche la sua voce era cresciuta.

«No, sono solo dispiaciuta – rispose, fissando la creatura – E tu non dovresti prendertela al posto mio»

«Ma io...» cominciò Bice, incalzata da Discordia.

«Io ti voglio bene – andò avanti lei, imperterrita – Sono contenta che tu sia mia amica. Non pensare più a queste stupidaggini, Bice. Non essere come Tessa, ti prego»

D'un tratto, Discordia prese a rimpicciolire e i suoi artigli non riuscivano più a ferire la pelle della ragazzina. Galatea agì d'impulso, buttandosi in un abbraccio. Strinse Bice forte contro di sé e solo dopo si accorse che, nello slancio, Discordia aveva perso la presa ed era scivolata fino a terra.

«Ti voglio bene» disse Bice.

Dormirono serene quella notte; la mattina dopoBice si svegliò piccola donna. 

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