Febbraio 1670 pt. 2 ***

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Galatea rivide Ottavio all'incirca tre ore più tardi, per la cena: il desiderio, mai sazio, illuminava i suoi occhi grigi di aspettative e colorava pudicamente le sue guance e le sue labbra. Lo attendeva seduta al tavolo, per nulla infastidita dal ritardo di lui. Quando lo scorse sulla soglia del refettorio, però, il sorriso appassì rapidamente sul suo volto e il suo sguardo si fece vacuo: Ottavio camminava a testa bassa, insolitamente torvo e del tutto indisposto a qualsiasi ragionamento amoroso. Sedette svogliato, afferrò una pagnotta e ne strappò un pezzo, portandolo rapidamente alla bocca. Lei non desisteva dal fissarlo, sperando con questo di ottenere una spiegazione senza essere costretta a domandarne. Lui, però, masticava con tanto nervosismo da mordersi il labbro: solo il dolore improvviso lo distrasse.

«Sanguini?» chiese allora Galatea con un filo di voce, quasi non volesse disturbarlo.

Ottavio negò scuotendo energicamente la testa, senza pronunciare parola. Tale rimase fino al termine della cena, ignorando i tentativi di lei di strappargli qualche indizio per interpretare il suo strano comportamento. Non ci fu verso: il duchino mantenne il silenzio, ma non la calma, e sua moglie dovette limitarsi a guardarlo di sottecchi, imbarazzata oltremisura.

Una volta soli, Ottavio non mutò atteggiamento; si svestì in fretta, brontolò le preghiere e si gettò nel letto. Non la aspettò, non la cercò, non assecondò nemmeno le sue richieste di attenzioni. Galatea, da imbarazzata divenuta pensierosa, si risolvette a volgergli le spalle per dormire. Quella notte, però, per quelle insicurezze mai sopite, Galatea non dormì tranquilla: strani incubi, brividi improvvisi, sensazioni sgradevoli. Rigirandosi nel letto ad occhi ancora chiusi, si accorse per prima cosa che Ottavio non era coricato accanto a lei. Il suo cuore sussultò di paura, una paura indefinita come il buio, e la lasciò senza respiro; tastò il materasso con la mano, la fronte leggermente aggrottata. Quando, nonostante il sonno che le pesava sulle palpebre, l'angoscia la spinse a guardare, una luce flebile la colse impreparata, facendole alzare il gomito a protezione del viso.

«Ottavio! – bisbigliò senza pensarci – Cosa stai facendo, posso saperlo?»

L'insofferenza per la luce si univa alle insicurezze, dando luogo a un magma ardente e corrosivo che le bruciò le labbra, avvelenandole di insofferenza: per questo la sua voce suonò così dura in un primo momento, e per questo Ottavio sobbalzò a scoprirla sveglia. Si volse a guardarla e la trovò avvolta nelle lenzuola, impigliata come un pesciolino nella rete, il braccio sugli occhi e la testa affondata nei cuscini, senza la forza di tenersi dritta.

«Torna a dormire» ribatté scontroso, per poi darle le spalle quasi con antipatia. Galatea, pur senza averlo visto, si sentì ferita dalle sue parole e, ancora più inviperita, abbassò il braccio. Lì per lì, la sua prima reazione al vederlo già mezzo vestito la fece diventare muta all'improvviso: lo osservò il più attentamente possibile, per sincerarsi che non fosse un'allucinazione.

«Dove vuoi andare?» sussurrò, abbandonando del tutto i toni aspri che fino a un attimo prima erano a dir poco dirompenti. Lui non le badò, infilando un involto di panni in un sacco. Si mise seduta, aspettò per un poco che lui si voltasse, quindi gattonò fino ai piedi del letto e, sporgendosi dal bordo, lo afferrò per la cintura e lo strattonò.

«Perché non mi parli?» singhiozzò, a voce sempre più fioca. Ottavio inclinò leggermente la testa, tanto quanto bastava per scorgerla: sotto di lui, Galatea era accoccolata nella camicia da notte, con il colletto slacciato che le lasciava scoperta la spalla destra. Sospirò trovandola così indifesa e coraggiosa insieme, incurante dei dettagli e tesa solo ad affrontare ciò che li stava separando. Perché era in atto, in maniera evidente, una separazione: i sacchi di abiti ammucchiati vicino alla porta, i cassetti semiaperti, la cassapanca scoperchiata, e il fatto stesso che lui avesse già indossato camicia e pantaloni tradivano il suo piano andato ormai in fumo. Avrebbe voluto, avrebbe dovuto anzi far finta di nulla, non darle retta, non dar retta cioè a una donna che non avrebbe potuto capire ciò che stava accadendo; ma la conosceva. Sapeva che non avrebbe demorso, che l'avrebbe inseguito per mare e per terra se fosse stato necessario; aveva il carattere di una figlia di mercante, aveva il sangue assetato di avventure e i sensi sempre vigili. Non si sarebbe accontentata di semplici scuse o motivazioni campate per aria. Avrebbe preteso di sapere e avrebbe capito tutto, forse anche meglio di lui. In realtà, temeva che confessare le proprie intenzioni sarebbe bastato a farlo desistere di fronte a un pericolo troppo grande. E quello non era più il tempo dei ripensamenti, ma delle azioni.

«Devo andare» disse semplicemente, dopo una breve pausa di tensione.

Galatea lo strattonò di nuovo con fare lamentoso e replicò: «Andare dove? Dov'è che vuoi andare senza di me?»

Ottavio non si volse più a guardarla; in effetti non si mosse proprio. Da questo lei intuì ciò che lui si ostinava a tenerle nascosto e così, balzata d'un tratto in piedi, lo cinse stretto tra le braccia e protestò: «No, tu non ci andrai! Non ci andrai laggiù a farti ammazzare!»

Ottavio si divincolò e nella foga la gettò sul letto. Galatea, di contro, scattò di nuovo all'attacco, ergendosi in piedi sul materasso. Lui la brancò per la vita, atterrandola tra le lenzuola, le afferrò la spalla e la inchiodò sotto di sé, lì dov'era, perché non potesse più reagire. Lei si aggrappò alla sua mano, prima con foga ribelle, poi con struggente rassegnazione. I suoi occhi erano fissi e vacui, le labbra socchiuse; aveva il fiato grosso e la presa che la immobilizzava, oltre a farle male, la spaventava. Ottavio non distoglieva l'attenzione da lei: il suo cuore palpitava a un ritmo frenetico perché tante cose lo agitavano tutte insieme. C'era paura, c'era rabbia... ma c'era anche desiderio. Scosse la testa, allentò la pressione sulla spalla di lei, ma non smise di guardarla intensamente, né pensò di sollevarsi: rimase in posizione dominante, scuro in viso, irremovibile. Galatea respirò con più agio senza osare rialzarsi. Aspettava di capire le sue intenzioni, sforzandosi di non piangere: non voleva dare di sé un'impressione di debolezza.

«Io andrò – sibilò Ottavio per poi aggiungere a fatica – Tu sarai al sicuro, te lo prometto»

«Non mi importa» ribatté prontamente lei, accarezzandogli il braccio. Lo prese per la manica, tirandolo verso di sé, ma lui oppose resistenza vanificando i suoi sforzi. Galatea non si perse d'animo, allungò una mano e, non arrivando a sfiorargli la guancia, gli toccò il collo e il petto.

«Tea, non...» ansimò lui, chiudendo per la prima volta gli occhi.

«Shhht...» lo zittì teneramente. Ottavio si scostò, consentendole di rimettersi seduta; Galatea, però, non lo lasciò scappare. Lo prese per il polso e, allo stesso tempo, affermò sicura: «Non andrai a farti ammazzare»

Lo sentì singhiozzare sommessamente e lo trasse di nuovo verso di sé, trovandolo improvvisamente arrendevole. Ottavio, all'inizio, sedette accanto a lei sul materasso, quindi si coricò tra le sue braccia, lasciandosi cullare e baciare. Galatea faticava a tenere gli occhi asciutti, perché avvertiva come ineluttabile la sua prossima partenza: forse era Fortuna a ispirarle un tale presentimento e, se così fosse stato davvero, sarebbe stata la prima volta. Non si arrovellò attorno a quella questione, in ogni modo: le sue preoccupazioni erano tutte per lui, che sembrava provare lo stesso senso di amarezza che le faceva tremare le labbra.

«Io voglio venire con te» sussurrò, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte. Lui negò con un mugolio sommesso, abbandonando la testa nel gomito di lei.

«Matteo ti aiuterà a nasconderti...» bisbigliò, poi tese un braccio e le affondò la mano tra i capelli lunghi dietro la nuca. Galatea deglutì, inghiottendo la rassegnazione e la consapevolezza di non poter cambiare la sua decisione: una cosa che aveva imparato conoscendo suo marito era che difficilmente tornava indietro, quando aveva deliberato di fare qualcosa. Trattenne un singhiozzo e si chinò a baciargli la fronte. Si coricò a propria volta, si strinsero vicini, abbracciati e silenziosi, perché non c'era più bisogno di parole. Anche più tardi, quando la disperazione e l'amore si fusero nel loro ultimo amplesso, anche allora non fu necessario infrangere la quiete della notte che precedeva l'addio. Fu un amore vissuto secondo per secondo, placido e per nulla avido, ma generoso da parte di entrambi, come se non ci fossero più"io", ma semplicemente "tu". Così si salutarono, così vollero ricordarsi per sempre. Ottavio si portò via l'immagine di lei, prona, i capelli inanellati lungo la schiena, la sua pelle di velluto alla prima luce dell'alba. Galatea, invece, non volle guardarlo mentre varcava la porta della camera e tenne latesta ben immersa nel cuscino di piume, trattenendo il respiro: nel segreto del cuore sapeva che non l'avrebbe più visto tornare. 

        

Figlia di mercanteWhere stories live. Discover now