Settembre 1657

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Galatea stava correndo per il corridoio, quando quella donna le attraversò la strada. Erano anni ormai che, con suo grande sollievo, non la incrociava più. Si spaventò tanto che si fermò sul posto e ruzzolò a terra. Sollevò lo sguardo e vide che questa volta la donna l'aveva notata. Aveva sentito i suoi occhi colpirla sul mantello nero che le copriva le spalle e la testa.

Galatea tremò tutta e nascose il viso dietro le mani. Sbirciò tra le dita e vide la sconosciuta fissarla ancora per un attimo, poi, tirandosi dietro il lungo mantello, superarla, tornando sulla propria strada. La bambina, vedendola andare via, si rialzò sulle gambe e si dette una scrollata alla gonna. Si guardò attorno, rapidamente, un'occhiata veloce e spaventata: nessuno entrava senza essere visto; eppure figure come quella erano nuove e insolite. Nessuno era ammesso nei corridoi con indosso mantelli e cappucci. Eppure sarebbe stato davvero strano che i servi non si fossero accorti di quella donna. Galatea diede un'altra occhiata veloce, questa volta nella direzione presa dalla signora. La scorse ancora, in lontananza mentre avanzava sulla strada per le cucine; decise praticamente subito, senza nemmeno interrogarsi: l'avrebbe seguita. A debita distanza, la bambina si mise sulla strada della sconosciuta, dicendo a se stessa che, dopotutto, si trovava nel suo palazzo, al sicuro.

Nel cammino ebbe modo di osservare attentamente colei che la precedeva: per prima cosa, notò che i suoi passi non facevano rumore; nemmeno i suoi, in realtà, ne facevano, ma camminava piano e in punta di piedi. Secondo, quando fu più vicina, si accorse che la donna non proiettava un'ombra. Rabbrividì, senza spiegarsi bene il perché: dopotutto aveva solo cinque anni.

La donna prese lo stretto cunicolo che si incuneava tra le stanze signorili e portava ai magazzini e alla cucina. Era buio, senza finestre; Galatea la seguì. A un certo punto credette che la signora l'avesse vista. Evidentemente, non le dava fastidio, perché fece finta di niente e proseguì sul suo cammino.

In cucina c'era un cuoco che stava tagliando un gran pezzo di carne con un coltellaccio da macellaio. I colpi ritmati rimbombavano nel cunicolo. La donna entrò nella cucina e si diresse verso di lui. Il suo passo era misurato, placido, in qualche modo solenne. Galatea si fermò sulla soglia e stette a guardare, nella speranza di capire cosa cercasse quella signora così strana. L'uomo continuava a lavorare, come se tutto fosse normale, come se lì ci fossero state solo la cuoca e la cameriera. Eppure, ormai la donna era sempre più prossima. Galatea la vide tendere la mano, allungarla verso la schiena curva dell'uomo e sfiorarne la pelle nuda del collo. Quello si contorse, si portò una mano al cuore, arrancò, cadde a terra. Per un attimo il suo petto palpitò convulsamente, poi ristette immobile, mentre il coltellaccio cadeva per terra e tintinnava prima di ammutolire definitivamente.

Galatea trattenne il respiro e si coprì la bocca con la mano. La donna si era voltata di nuovo verso di lei e la guardava da sotto il cappuccio. Il corpo esanime giaceva ai suoi piedi, ma di colpo non le interessava più.

La cuoca, che volgeva le spalle al cuoco, al tintinnio dell'acciaio si era girata di scatto e lo aveva visto cadere. Aveva gridato, un grido acuto che aveva richiamato la cameriera dallo sgabuzzino. Insieme si erano gettate sul corpo, senza nemmeno accorgersi della bambina.

La donna misteriosa, invece, non le toglieva lo sguardo di dosso; riprese a camminare, tornò sui suoi passi, diretta verso la bambina che aveva avuto l'insolenza di seguirla. Galatea, terrorizzata, corse lungo il cunicolo per mettersi in salvo, ma la figura nera incombeva su di lei. Appena uscì alla luce del grande corridoio si accucciò contro il muro, si strinse le ginocchia al petto e chinò la testa per non vederla arrivare.

«Dunque – disse una voce soffocata – Tu puoi vedermi»

Galatea sbirciò di nuovo la figura che ora le sembrava tutto meno che umana. Il respiro affaticato la scuoteva ancora.

«Chi sei?» domandò fiocamente.

Ci fu un attimo di silenzio in cui anche gli uccellini, fuori in giardino, smisero di cinguettare.

«Io sono la Morte» sibilò la donna. Galatea sollevò lo sguardo e cercò i suoi occhi, ma il cappuccio le nascondeva il volto. Accucciata per terra si sentiva così vulnerabile che prese a tremare convulsamente. La risposta le sembrava totalmente insensata. Eppure c'era qualcosa di tanto macabro in tutto ciò... non poteva trattarsi di una bugia.

«Alzati, piccola sfacciata» disse la figura nera che non proiettava ombra. Galatea obbedì scattante: si sentiva perennemente sotto lo sguardo della sua interlocutrice. Di colpo si pentì di averla seguita fin lì:«Sei venuta ad uccidermi?» domandò con voce flebile, chiudendo forte gli occhi.

Fu ancora una interminabile pausa di silenzio a seppellire quelle poche parole, un silenzio così prolungato che alla fine Galatea pensò che la Morte se ne fosse andata. Invece, riaperti gli occhi, lei era ancora lì davanti a lei, dove era sempre stata.

«No – rispose – Non è giunto il tuo momento. Ci rivedremo sicuramente. Non osare dire a nessuno che puoi vedermi e non seguirmi più: la gente non deve sapere quando arrivo»

Galatea annuì e la figura evaporò senza lasciare tracce. Il sollievo si diffuse tutt'attorno, gli uccellini ripresero il canto, i grilli lo stesso e anche le cicale. D'un tratto il mondo sembrava essere tornato bello e perfetto. Ma il cadavere del cuoco era là, giaceva ancora sul pavimento della cucina, e le grida delle due donne, che per quel momento avevano taciuto, rimbombavano di nuovo nel cunicolo. Galatea corse come un topolino per arrivare dalla sua mamma: successivamente, alcuni servi provvidero a portare il cadavere del cuoco nella camera che era stata sua e a informare il sacerdote per preparare le esequie.

«Cosa facevi nella cucina?» le chiese sua madre quando poterono avere un attimo di tranquillità. Il trambusto seguito alla notizia della morte del cuoco aveva distolto l'attenzione dalla bambina che aveva portato la notizia prima ancora delle serve. Ormai, verso sera, ognuno riponeva le proprie angosce nell'angolo più segreto del cuore e si preparava a passare una notte di incubi.

In quel momento, seduta sulla sua seggiola in sala da pranzo, aveva appena finito di prendere cucchiaiate dal suo brodo di carne; Galatea ricordava bene cosa le aveva detto la Morte: per questo la domanda della madre la lasciò senza parole. Poi chinò il capo e sussurrò: «Giocavo»

Era la prima cosa che le era venuta in mente e lì per lì non stette a valutare la credibilità di quell'affermazione. Ma nemmeno sua madre aveva voglia e tempo per farlo e, semplicemente, sospirò, forse sollevata. Suo padre era seduto ombroso a un lato del tavolo e, in un angolo, la nonna sgranava pia il rosario. C'era imbarazzo, non si aveva interesse nel parlare.

«Andiamo a dormire, Galatea» sussurrò la mamma, allargando le braccia alla ricerca di un abbraccio anche per se stessa. Quella sera l'avrebbe accompagnata lei in persona, senza delegare il compito alla balia. La figlioletta scivolò sul suo seno e si lasciò sollevare. Nel lettino accanto al suo dormiva già il suo fratellino piccolo, Francesco, di due anni, tranquillo e ignaro degli scherzi del mondo. I suoi fratelli maggiori non c'erano già più: la sorellina nata l'anno prima di lei era morta a solo un mese di vita, misteriosamente, nella culla; il fratellino, invece, aveva tre anni quando era caduto accidentalmente nel pozzo e lei non l'aveva mai conosciuto. Una cosa era certa: non c'era nessuno che Galatea amasse più di Francesco.Prima di coricarsi volle cingerlo in un abbraccio fraterno pieno di paura. 

Figlia di mercanteWhere stories live. Discover now