1: un bastoncino di zucchero a tiratura limitata

3.1K 292 218
                                    

Mintha Nowak non sarebbe riuscita a passare inosservata nemmeno se si fosse uniformata al dress code della maggior parte delle sue compagne di scuola (ovverosia felpa oversize, jeans e Converse). Certo, sicuramente non aiutava che si vestisse in maniera assolutamente riconoscibile. Quel giorno, per esempio, indossava una camicia di quel tessuto incredibilmente molle (forse viscosa?) di un grazioso color mattone, che nascondeva parzialmente il paio di shorts neri i quali facevano ormai parte della sua divisa scolastica. Gli shorts in questione erano stati progettati per gambe normali e sarebbero dovuti arrivarle al ginocchio, ma non avevano fatto i conti con la lunghezza delle sue cosce. A completare il lieto quanto bizzarro quadretto, un paio di collant neri e un paio di anfibi che probabilmente nel mondo delle scarpe sarebbero stati comparati a veterani del Vietnam.

Ma non si poteva dire che Mintha fosse tanto facile da identificare semplicemente perché vestiva come una rappresentante dei circoli leninisti universitari, no: il problema era riposto nelle sue misure.

Complice la genetica, la sua adolescenza era stata caratterizzata dal continuo allungamento del suo corpo verso l'alto, con un tasso di crescita di dieci centimetri l'anno. A diciotto anni aveva ormai raggiunto il metro e novantacinque, superato anche il ragazzo più alto e tirato una serie di testate potenzialmente mortali a qualsiasi porta sotto il metro e novanta non opportunamente segnalata. Aveva dita lunghe, braccia ancora più lunghe e gambe lunghissime.

Suo padre, ridendo, diceva che da piccola gli doveva essere sfuggita dalle braccia ed era finita stirata da un rullo compressore. A volte Mintha pensava che quella fosse un'ottima spiegazione e la riciclava con i più rompicoglioni tra gli spiritosi che le facevano notare quanto fosse alta. Come se non lo avesse mai notato da sé.

Quel giorno, poi, le cose si erano ulteriormente complicate. Ai vestiti da centro sociale e all'altezza da lampione autostradale si era aggiunto, come metaforica ciliegina sulla torta, anche mezzo litro di vernice fresca color magenta.

Su camicia, viso e capelli.

"Non capisco se sia arte moderna o cosa" scherzò sogghignando il ragazzo che la aspettava seduto sugli spalti del campo di football, uno spilungone magro e ingobbito, strangolato da un maglioncino dolcevita nero.

L'ultima campanella del pomeriggio aveva appena smesso di suonare e la maggior parte degli studenti se ne era già andata a casa. Perfino il campo era silenzioso, ma il suo stato pietoso raccontava una battaglia durata ore. L'erba era già stata devastata dai primi allenamenti dei Brooklyn Bears. Sembrava che un branco di vacche fosse stato lasciato a pascolare indisturbato per settimane a giudicare dal numero di zolle rivoltate e sgommate fangose. Una motozappa non avrebbe saputo fare di meglio.

Mintha Nowak osservò quel campo pronto per essere concimato, sospirò e non rispose alla provocazione. Si lasciò cadere al fianco del ragazzo e basta.

"Non hai caldo con quel maglione?" domandò stanca, passandosi una mano sul viso e aprendosi in una smorfia, ricordandosi di essere lorda di vernice.

"È appena iniziato l'anno e già ci danno dentro" la ignorò lui, sollevando gli occhiali da sole negli spettinati capelli neri per darle una veloce occhiata.

"Non me ne ero accorta, Vic. Grazie per aver sottolineato l'ovvio".

"Sarà un ultimo giro di giostra memorabile" concluse lui soddisfatto, calandosi di nuovo gli occhiali sul naso aguzzo.

Vic Hext era un migliore amico che molto spesso lasciava a desiderare. Con il suo look total black, gli occhi perennemente nascosti da un paio di lenti scure e il cinismo di un corvo che in un'altra vita doveva aver rovinato la propria famiglia giocandosi perfino i reni in una qualche partita di burraco, metteva volentieri alla prova i nervi di Mintha.

Soap GirlsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora