28: il topolino nel granaio

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Primo squillo.

Secondo squillo.

Terzo squillo.

Lisa pensò che forse era destino e che non sarebbe riuscita a contattare nessuno quel tardo pomeriggio.

"Pronto?"

Trasalì bruscamente nell'udire la voce scocciata di Ashley. Con il cuore a mille e una colica in arrivo, Lisa deglutì inutilmente nel tentativo di sciogliere il nodo in gola.

"Ash, sono io" gracchiò nel cellulare.

"Sì, lo so" rispose la sua migliore amica, irritata. "Mi stai chiamando per qualcosa di importante? Sono impegnata".

"Devo dirti una cosa".

Ashley rimase in silenzio per qualche istante. Forse aveva notato il suo tono di voce. Lisa sentì l'intestino emettere un brontolio minaccioso e, con le lacrime agli occhi e il viso in fiamme, bisbigliò: "So cos'è successo ad Aidan. È stata colpa mia. C'è qualcuno che vuole farmi del male e io non... io non...".

Silenzio. Lisa rimase in attesa, mentre le pulsazioni del cuore le serravano la gola in una morsa dolorosa.

La risposta della sua amica non era ciò che si era aspettata di ricevere.

"Sei a casa ora?" domandò a bassa voce, con tono misurato.

"Sì" pigolò Lisa, senza riuscire a credere che Ashley sembrasse all'improvviso crederle o addirittura essere preoccupata per lei.

"Va bene" rispose l'altra. "Arrivo in dieci minuti, così ne parliamo, okay?"

"Okay".

Lisa non trattenne le lacrime non appena Ashley chiuse la chiamata. Forse non tutto era perduto. Forse la sua migliore amica l'avrebbe aiutata a mettere tutto in ordine. In fondo era stato solo un tragico incidente. Se le avesse raccontato la verità su ciò che Aidan aveva tentato di farle, Ashley avrebbe capito.

Avrebbe capito.

Avrebbe perdonato.

***

Ashley arrivò con la sua BMW color crema esattamente nove minuti dopo la loro conversazione. Lisa l'aveva attesa camminando avanti e indietro davanti la finestra della sua stanza, mentre ascoltava i suoi genitori raccogliere i vetri rotti nel salotto. Sapeva che avrebbe dovuto dare loro una spiegazione, ma prima avrebbe dovuto parlare con la sua migliore amica. Ashley l'avrebbe guidata, l'avrebbe aiutata a capire cosa dire e cosa fare. Lei sapeva sempre cosa fare, no? Era sempre stato così.

Lisa si fiondò al piano di sotto quando la vide scendere dall'auto. Prima che suo padre potesse alzare lo sguardo dal suo ingrato compito di cercare i resti della finestra finiti sotto il divano, la ragazza spalancò la porta all'altra.

Ashley la squadrò con i suoi occhi azzurri perfettamente truccati, dall'alto al basso. Indossava un maglioncino di cashmere color cipria, che le lasciava scoperto l'ombelico, e un paio di skinny jeans bianchi. Lisa sentì uno strano, malsano sollievo nel notare che era vestita come sempre, come se quello fosse stato un semplice invito a passare un pomeriggio con lei, e non l'anticamera di una confessione criminale. Si fece immediatamente da parte, all'improvviso perfettamente conscia dei propri capelli unti, delle occhiaie, degli aloni scuri lasciati dal mascara sciolto e della sua pelle grigiastra. Ashley le fece un cenno, mentre varcava la porta di casa. Immediatamente notò il signor Andrews, impalato nel mezzo del salotto con scopa e paletta in mano, che la fissava sorpreso. Fece un cenno anche a lui.

"Dove possiamo parlare, Lisa?" domandò tranquilla.

"Possiamo... possiamo salire in camera mia, se..."

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