Capitolo 16: In bilico

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Firenze, 1471

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Firenze, 1471

Il fatto che Leonardo nascondesse qualcosa sarebbe stato evidente persino a un cieco.

Le nottate insonni, i frequenti sbalzi di umore, le scuse ridicole che a volte inventava per sgattaiolare via. Tutto aveva senso ormai. Neri aveva notato fin troppo bene quegli strani episodi negli ultimi giorni, ma aveva finto il contrario, cercando di convincere se stesso che Leonardo era sincero quando diceva che si trattava solo di un brutto momento e che era un po' in crisi per via del rapporto burrascoso col padre e per l'improvvisa comparsa della sorella. I suoi timori, però, sembravano essere fondati: c'era qualcos'altro.

E se avesse mentito? si chiese. Se avesse ripreso i rapporti con l'Uomo nero?

Eppure qualcosa non quadrava. Tutto questo non sembrava avere a che fare con quella faccenda.

«Chi sarebbe questo Pollaiolo?»

Neri sospirò, spazientito. «Antonio del Pollaiolo è uno dei più grandi artisti fiorentini dei giorni nostri, un maestro.»

Piera arricciò il naso con aria pensosa e disse: «E questa è la sua bottega... ma che c'entra questo tizio con Leonardo? Lui ha già un maestro.»

Davvero una bella domanda, pensò lui. Quel ragazzo è più complicato di uno dei suoi maledetti rompicapo.

«E che ne so io?» sbottò Neri. Non la sopportava più quella mocciosa, con le sue domande assillanti e i suoi continui piagnistei. «Ma perché mi sono lasciato convincere a portarti con me?»

Si trovavano di fronte all'edificio dove li aveva condotti il losco figuro la sera precedente. Neri aveva deciso di fare un rapido sopralluogo per scoprire chi lo occupasse mentre Leonardo era a lavoro, ma questo non lo aiutava minimamente a chiarire la situazione – anzi, si faceva più ingarbugliata.

«Non avevi altra scelta» cinguettò Piera. «Ti avrei seguito comunque.»

«Non ti sopporto.»

«Nemmeno tu sei una gran compagnia, te l'assicuro» rispose lei con una linguaccia. Poi disse di volersi allontanare per comprare qualcosa da mangiare da un ambulante.

«Resta dove posso vederti!» esclamò lui mentre la ragazza correva via tra la piccola folla.

Neri rimase seduto sul bordo di un abbeveratoio per cavalli, riflettendo sui recenti eventi. La sua vita era cambiata drasticamente da quando aveva incontrato il giovane Leonardo da Vinci, eppure sembrava incapace di lasciarsi del tutto alle spalle i guai, o meglio, era incapace di impedire che gli altri ce lo trascinassero dentro. La sua vecchia vita tentava di risucchiarlo da una parte, mentre quella nuova lo allettava con coincidenze allarmanti e inspiegabili.

Neri era pericolosamente in bilico.

Avrebbe dovuto scavare più a fondo in quella vicenda, o sarebbe stato meglio far finta di niente e lasciare che l'amico – se mai fosse stato quello il caso – si tirasse fuori dai guai per conto proprio?

In cuor suo conosceva già la risposta, ma sapeva che anche stavolta, purtroppo, avrebbe ignorato la voce del buonsenso.

«Ehi!» urlò a Piera.

La ragazza si era fermata a parlare con un uomo alto vestito da frate. Neri si avvicinò e la prese per mano, dicendo: «Dobbiamo andare, si è fatto tardi.» L'estraneo gli rivolse uno sguardo perplesso con i suoi occhi color ardesia, notando la foga del gesto, e lui ricambiò senza tentennare, facendogli chiaramente capire di girare alla larga. Il frate sorrise a Piera e la ringraziò, poi si voltò e proseguì per la sua strada.

«Ma che ti prende? Era solo un frate. Gli ho offerto una mela perché aveva l'aria affamata» protestò la ragazza.

«Lascia che sia qualcun altro a fare l'elemosina a quello là» rispose bruscamente lui.

«Certo che sei proprio un tipo strambo. Ce l'hai pure con quel poveraccio!»

Neri non rispose a quel commento. Di certo, però, non si trattava di un poveraccio, né di un comune frate. Non gli era sfuggita la croce rossa ricamata sulla tunica nera che l'uomo indossava sotto il logoro mantello marrone scuro – il famigerato simbolo dei Cavalieri del Tempio. I Templari erano solo una leggenda ormai, l'ordine era stato sciolto più di cento anni prima. Chi era dunque lo sconosciuto, e cosa ci faceva per le strade di Firenze?

«Senti un po'» disse Piera addentando la sua mela rossa e lucida. «Cos'è che volevi dire ieri con quel commento sulla mia famiglia?»

Vedere con quanto gusto la ragazza masticava gli mise un po' d'appetito.

«Mm?» fece Neri. «Di che parli?»

«Hai detto che i membri della mia famiglia ti fanno perdere le staffe, o qualcosa del genere.»

«Ah, quello. Sì, mi riferivo a te e a tuo fratello principalmente, ma anche a vostro padre.»

La ragazza si voltò di scatto verso di lui, lasciando i segni dei denti sulla buccia della mela senza staccarne la polpa. «Nostro padre?» chiese con un leggero tremolio nella voce.

«Sì, ser Piero da Vinci.»

Piera lasciò andare un profondo sospiro, e riprese a mangiare, parlando tra un morso e l'altro. «Quello è il padre di Leonardo, non il mio. In realtà siamo fratellastri per parte di madre.»

Gli raccontò brevemente di come la loro madre, una schiava turca di nome Caterina, avesse dato alla luce il primogenito – seppur illegittimo – di ser Piero da Vinci, e di come fosse poi stata ceduta dalla famiglia di quest'ultimo a un contadino di Campo Zeppi ben disposto ad accettarla come moglie nonostante la donna fosse compromessa. Caterina aveva avuto tre figlie femmine dal marito, di cui Piera era la seconda: la maggiore, Maria, aveva sedici anni, due più di lei, ed era già sposata e viveva per conto proprio; mentre Piera, che portava il nome del padre, e la sorellina minore Lisabetta, di soli otto anni, vivevano in un paesino vicino Vinci insieme ai genitori.

Neri notò come la ragazza si fosse incupita parlando della famiglia e non le fece altre domande.

Infine fecero ritorno all'appartamento.

«Allora, che facciamo adesso?» gli chiese Piera con aria cospiratoria.

Lui sollevò un dito, scuotendo la testa. «Noi» disse, oscillando l'indice tra di loro, «non facciamo proprio nulla. Stanne fuori, me la vedo io con Leonardo. Intesi?»

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