Capitolo 10: L'età degli alberi

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Firenze, 1471

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Firenze, 1471

«Ahi!» esclamò Neri.

Si portò alla bocca la mano ferita, osservando con più cautela il suo nuovo acquisto: un pugnale indiano – secondo il vecchio venditore – con un bellissimo manico ricurvo in legno intagliato e una lama ondulata affilatissima; vi era sopra un'incisione, ma lui non ne conosceva il significato. Smise di giocherellarci e lo infilò nuovamente nel suo piccolo fodero, legato alla caviglia destra, per ogni evenienza.

Come Neri aveva sperimentato, il lavoro di garzone non era dei più sicuri. Avevano già tentato di rapinarlo quattro volte in tre giorni, ed era riuscito a cavarsela per un pelo in un paio di esse perché conosceva quei tizi. Non poteva permettersi di rischiare e andare in giro disarmato con la gente pericolosa che c'era in circolazione, soprattutto ora che aveva qualcosa da perdere.

Il fatto era che nelle ultime due settimane era diventato irriconoscibile: aveva preso rapidamente peso grazie ai generosi pasti che si concedeva, mettendo un po' di carne sulle ossa di gambe e braccia e riempendo il viso scavato dalla fame; aveva ancora un aspetto allampanato, ma la sua lunga figura appariva rinvigorita, conferendogli una generale aria di salute. Persino le guance smunte che era abituato a vedere specchiandosi nell'acqua avevano acquistato colore, e Neri non detestava più lo sguardo spento di quegli occhi grigi che erano soliti fissarlo di rimando e che ora, invece, brillavano di una nuova luce. I suoi evidenti cambiamenti fisici, uniti alla trasformazione di carattere estetico che aveva subito, lo rendevano però un facile bersaglio per quei ladruncoli a caccia di giovani inermi da sopraffare con facilità; non solo ragazzi di buona famiglia con una scarsella tintinnante in vita, ma anche garzoni che trasportavano carichi più o meno preziosi.

I pensieri di Neri andarono istintivamente a Leonardo. Non si rivolgevano parola da più di due giorni; lui si assicurava di uscire presto al mattino e di rincasare tardi la sera, e anche quelle rare volte in cui si incrociavano per le scale evitava lo sguardo dell'altro ragazzo. Rifiutava di essere il primo a cedere, visto che non aveva nulla per cui chiedere perdono. Semmai era Leonardo a doversi scusare per quell'assurda scenata, ma nemmeno lui pareva voler fare il primo passo verso la riconciliazione. Chissà che stava combinando quello scapestrato.

Non sono affari miei, ricordò Neri a se stesso con un moto di fastidio, rimproverandosi perché non riusciva a smettere di preoccuparsi per l'amico.

Tuttavia, quando sollevò gli occhi sulla strada che stava percorrendo, ancora assorto nei suoi pensieri, si ritrovò poco lontano dalla bottega del Verrocchio – Leonardo avrebbe dovuto essere lì a quell'ora. Neri sferrò un calcio a un palo di legno per i cavalli in sosta e tirò dritto. Poi, come se lo avesse evocato col pensiero, il giovane apparve davanti a lui. Si trovava più avanti, sulla via trafficata, e stava parlando con uomo più vecchio di lui. Leonardo aveva una faccia scura e un'espressione quasi... umiliata. Neri venne spiazzato da quella vista e, per qualche ragione, ne fu infastidito. Chi era quel tizio per parlare a quel modo al suo amico? E perché Leonardo si lasciava trattare con tanta arroganza senza reagire?

Quando l'uomo lo afferrò per un braccio, strattonandolo, Neri dimenticò la sua stizza nei confronti di Leonardo e si lanciò in suo soccorso. Non fece in tempo a raggiungerlo, però, che l'uomo girò uno schiaffo al ragazzo colpendolo in pieno viso, lasciandolo a boccheggiare stupito. Neri non ci vide più allora, e sferrò a sua volta un pugno al viso dello sconosciuto. Leonardo realizzò con qualche secondo di ritardo ciò che era appena accaduto e l'altro uomo si era già voltato verso Neri con sguardo furibondo, tentando di capire chi l'avesse assalito. Si mosse verso di lui, come a volerlo afferrare, ma si bloccò.

«Chi diavolo sei tu? Perché l'hai fatto?» chiese, tremante di rabbia.

«Lascialo stare» ansimò lui indicando Leonardo. «Non azzardarti a mettergli le mani addosso, oppure io...»

«Oppure cosa, moccioso?»

Neri sbuffò dal naso come un toro e si preparò a colpirlo di nuovo, ma Leonardo si fiondò su di lui, trattenendolo, e gli intimò: «Fermati Neri, è mio padre!»

Lui lo guardò senza capire; i suoi occhi si spostarono dal viso pallido e sconvolto dell'amico a quello paonazzo dell'uomo, e le parole fecero finalmente presa su di lui. Cosa aveva fatto?

Leonardo lo lasciò lì impietrito, mentre cercava di calmare il padre e di convincerlo a non prendersela con lui. Gli disse che era un suo amico e che aveva solo cercato di proteggerlo, si scusò a nome di entrambi e promise di comportarsi in modo esemplare, da quel momento in avanti. L'uomo lanciò a Neri un'occhiata più velenosa del morso d'una serpe, ma con l'attenzione dei curiosi puntata su di loro lasciò perdere e si allontanò senza replicare.

Neri si vergognò così tanto che iniziò a camminare nella direzione opposta senza dire una parola. Continuò a camminare. A un certo punto si fermò accanto a un ceppo d'albero che era stato tagliato di recente e si lasciò cadere lì accanto. Solo allora si accorse della presenza di Leonardo, che si sistemò accanto a lui con un gomito poggiato sul moncone. «Penso che da questi anelli si possa capire l'età di un albero» disse indicando i cerchi concentrici del ceppo.

«Ah» mormorò Neri in risposta.

L'altro continuava a osservare il tronco, tracciandone con la punta delle dita le circonferenze tremolanti. «Un anello per ogni anno di vita, stupefacente...» Fece una pausa e poi gli chiese: «Hai detto che hai compiuto diciotto anni, non è vero?»

Neri si morse il labbro, sentendosi un verme per avergli lasciato credere che avesse preferito passare il giorno del suo compleanno con qualcun altro senza nemmeno dirglielo. «Leonardo, in realtà non è come ti ho detto. Cioè sì, lo è, ma non del tutto.»

«Ah sì?»

Neri sospirò. «Non è come credi, l'altro giorno non era davvero il mio compleanno, non ricordo nemmeno quale sia il giorno esatto. È che io e Gittato, l'amico che ho incontrato, abbiamo questa abitudine da quando siamo bambini: visto che nessuno dei due conosce la data in cui è nato, ogni giornata buona è un motivo per festeggiare e noi diciamo che è il compleanno di uno dei due. L'altra volta è toccato a me.» Neri tacque, non sapendo che altro aggiungere a quella sciocca spiegazione.

«Capisco...» mormorò Leonardo. Poi si infilò una mano tra i capelli, coprendosi il viso. «Scusami per le cose che ho detto, non so che m'è preso.»

Neri sentì la propria risolutezza sgretolarsi come creta, e alla fine ammise: «Dispiace anche a me. Forse dovevo avvertirti che restavo fuori, non sono abituato ad avere un coinquilino. E poi... puoi perdonarmi per aver dato un pugno a tuo padre?»

Leonardo lo guardò e scoppiò a ridere. «Quello sì che è stato un gran bello spettacolo, non lo dimenticherò mai.»

«Scommetto che nemmeno tuo padre lo farà» bofonchiò Neri.

«Ah stai tranquillo, se l'è meritato comunque.»

Leonardo si fece taciturno dopo quell'osservazione e lui decise di spronarlo un po'. «Che è successo, a proposito? Come mai stavate litigando?»

L'altro sollevò le spalle, tenendo lo sguardo basso, e rispose: «Il solito. Mi ricordava il mio fallimento come figlio e la grande delusione che rappresento per l'intera famiglia. È da un paio d'anni che minaccia di tagliarmi i viveri, da quando è morto mio nonno per la precisione, l'unico che fosse dalla mia parte.»

Neri si sentì dispiaciuto al tono commiserevole dell'amico, ma non riuscì a frenare la lingua che gli prudeva. «Magari un po' di ragione tuo padre ce l'ha però... sei troppo leggero in certe questioni – soprattutto coi soldi!»

«Lo so» sospirò Leonardo, «sono un essere indegno.»

«Ora non esagerare. Devi solo darti una regolata, sei un po' viziato, ecco tutto.» Neri si mise in piedi e porse una mano a Leonardo. «Pace fatta?»

«Pace fatta» rispose lui accettandola.

«Allora ti faccio assaggiare la birra più buona di Firenze – offro io ovviamente. Ho un altro compleanno da festeggiare.»

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