Capitolo 9

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Lauren's pov

Con quale coraggio si permetteva di dire che non le avevo dato una ragione per restare? Con quale coraggio mi dice che l'ho lasciata andare senza lottare?
Insomma, ma che aveva i paraocchi? Avrei dato la mia inutile vita per lei. Avrei rinunciato alla mia propria libertà solo per vederla felice, per fare in modo che i suoi sogni si realizzassero. Sarei scappata via con lei sulla luna, se solo me l'avesse chiesto. Invece, mi sento dire che non ho fatto nulla per farla restare. Il mondo aveva per caso iniziato a girare al contrario ed io non me ne ero resa conto? Perché era l'unica spiegazione che riuscivo a trovare.
Avevo passato una meravigliosa notte in bianco, poiché la nostra conversazione si ripeteva ancora e ancora nella mia mente. Mi era persino passata la fame, quindi non avevo mangiato. Ero andata a letto per evitare di fare qualche disastro, siccome avevo voglia di bere fino a trovare il coraggio di dire a Camila tutto quello che pensavo. Be', o le avrei detto tutto, o proprio come dubitavo, avrei fatto solo un bel casino. Ero solita perdere completamente il controllo quando bevevo, ed ero molto grata ai ragazzi per essermi sempre stati accanto da quando lei era andata via. Sarei probabilmente morta la sera della sua partenza, altrimenti.
Quando la mia sveglia suonò, inutile dire che io non avevo chiuso proprio occhio e la giornata risultava essere un tantino pesante.
Lewis aveva detto che voleva vedermi, in modo tale che avremmo potuto mettere in chiaro cosa fare con Camila, come gestire la situazione e poi andare a parlare con Alejandro. Come se sua moglie non si fosse già resa conto che sua figlia non era tornata dalla sua passeggiata serale, e non fosse andata a dirlo a suo marito. Tuttavia, se dei poliziotti non erano ancora entrati in casa mia sfondando la porta, stava a significare che forse voleva collaborare.
Non avevo proprio voglia di avere a che fare con Lewis, ma andava fatto, soprattutto se entrambi volevamo uscire completamente illesi da questa situazione. Lui sarebbe stato la vergogna di suo padre se si fosse fatto beccare- Lewis voleva essere la copia di suo padre, mentre a me non interessava più di tanto. Quel bastardo poteva anche rivoltarsi nella tomba e venire a tormentarmi nei sogni, ma non sarei mai diventata uguale a lui. Mai.
Scesi al piano di sotto, trovando Chris che si stiracchiava sul divano e sbadigliava.

<<Avresti potuto prendermi in braccio e portarmi a letto>>, disse, prendendomi in giro.

<<Non sono in vena>>, dissi, muovendo la mano. Lui strinse la sopracciglia, fissandomi confuso.

<<Qualcosa non va?>>, chiese.

<<Senti, io vado a correre, okay? Quando arrivano i ragazzi, di' a Normani o Dinah di portare la colazione a Camila>>, dissi. Lo sentii mormorare qualcosa alle mie spalle, ma avevo già messo le cuffie, quindi non riuscii a capire molto bene cosa avesse detto.
Uscii di casa ed iniziai a correre, cercando di calmarmi e di togliermi di dosso questa sensazione angosciante. Mi sembrava di sentire un peso al centro del petto, e volevo solo che sparisse. Non era un segreto per nessuno che mi piacesse correre, siccome lo facevo da quando ero più piccola.
Ricordo che durante gli allenamenti di softball, le mie amiche odiavano i giri di campo che ci faceva fare il coach, mentre io lo amavo tantissimo. Mi aveva sempre rilassata, mandando via ogni tipo di tensione che sentivo in quel periodo. Ovviamente, da adolescente, ero convinta che il peso del mondo fosse tutto sulle mie spalle, e prendevo troppo sul serio ogni singolo avvenimento che mi accadeva nella vita. Correre era diventata la mia unica via di fuga, poiché dopo una bella corsa, sembrava quasi che mi fossi lasciata alle spalle tutti i miei problemi. Anzi, mi sentivo una persona completamente nuova e totalmente rinata. 
Sperai di riuscire ad ottenere lo stesso effetto anche questa volta.
Corsi per quasi tutta la città, sentendo l'adrenalina scorrere nelle mie vene ad ogni passo che davo. La musica, il mio respiro agitato e il battito accelerato del mio cuore erano gli unici suoni che riuscivo a sentire, poiché il resto del mondo mi sembrava essere sparito del tutto. Tuttavia, nella parte più recondita della mia mente, c'erano sempre le parole di Camila. Per questo motivo, mi ritrovavo a correre sempre più velocemente, cercando di allontanare quei pensieri.
Ad ora di pranzo, mi limitai a mangiare un panino in un cafè che si trovava nelle vicinanze. Dopo essermi andata a sedere in uno dei parchi che avevo superato correndo, cercai di trovare la pace in un'altra maniera.
Era la prima volta che correre non mi calmava del tutto, quindi, se non correre fino a non sentire più le gambe, o bere fino a non sentire più il cervello, non erano utili, sarei ricorsa ai vecchi metodi che mi aveva insegnato Camila.
Eravamo solite andare in un luogo silenzioso- solitamente il vecchio parco giochi dove l'avevano trovata Zayn e Jacob. Il luogo era poco frequentato dai bambini da quando avevano aperto un luna park nelle vicinanze, quindi i bambini non lo usavano quasi mai. Io e lei ci sedevamo in silenzio- a meno che non fossi in vena di parlare- e ognuna si perdeva nei propri pensieri. Per quanto strano potesse sembrare, mi rilassava. Alla fine, dopo essere state così per un paio di ore, non mi sentivo poi così tanto piena d'angoscia come quando arrivavamo. Però, sapevo che adesso non era la stessa cosa. Correre mi rilassava poiché mi concentravo su altro. Stare da sola con Camila mi rilassava perché mi concentravo su di lei e su di noi, quindi allontanavo il problema in quelle ore. Ma adesso ero da sola, e la mia mente sembrava non volerne proprio sapere di allontanare il problema. 
Osservai l'orario dal mio cellulare, che da stamattina ripeteva la stessa musica, e mi resi conto non solo che la batteria era quasi scarica, ma che tra un po' avrei ricevuto la visita dei miei amati ospiti.
In un ultimo tentativo disperato, corsi nuovamente fino a casa.

Stockholm SyndromeOù les histoires vivent. Découvrez maintenant