Capitolo 6

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Camila's pov

Mia madre aprì la porta della stanza d'ospedale, dove mio padre ci aspettava dall'altro lato. Era steso sul letto e guardava fuori dalla finestra, ma la sua testa si voltò di scatto verso di noi quando sentì la porta venire aperta. Immaginai che i suoi riflessi e le sue preoccupazioni da poliziotto avessero preso il sopravvento.
Ci sorrise, eppure mi resi conto che quel sorriso non raggiungeva i suoi occhi ed inoltre, sembrava particolarmente forzato. O gli faceva molto male qualcosa, o non era contento dalla mia presenza. Capivo le sue preoccupazioni, ma come poteva pretendere che me ne restassi nel mio appartamento in un'altra città quando lui era qui in pericolo? Che razza di figlia credeva che fossi?
Mia mamma ed io ci sedemmo, ognuna su una delle sedie che si trovavano ad entrambi i lati del letto. Siccome mio padre aveva già visto mia madre, la sua attenzione si posò su di me. Strinsi subito la sua mano, come se faticassi a capire che era reale e che stava bene. L'altro braccio era ingessato, e ricordai che forse rischiava totalmente di perderne l'uso. Strinsi più forte la sua mano, cercando di trattenere le lacrime. Avrei potuto perderlo e non ero nemmeno lì con lui...

<<Ciao, papà>>, dissi, accarezzandogli la mano con il pollice. 

<<Ciao, flaca>>, disse con voce flebile e stanca. Probabilmente, doveva essersi svegliato da poco o forse erano le medicine che lo rendevano così stanco.

<<Come ti senti?>>, gli chiesi.

<<Bene, per quanto bene possa stare con un braccio ingessato...mi prude tantissimo>>, disse, ridacchiando leggermente. Cercai di sorridere, ma non ci riuscii. Sembrava che mi fossi resa conto della gravità della situazione solo adesso, che gli ero accanto e lo vedevo steso in questo letto d'ospedale. Avevo sempre saputo che il suo lavoro fosse pericoloso, quindi ogni volta che usciva di casa immaginavo che ci sarebbe sempre stata quella remota possibilità di ricevere una chiamata dall'ospedale, ma...come ogni figlia, avevo sperato che non accadesse mai. 

<<Camila...>>, iniziò, mettendo su un tono serio. Eccola qui, sapevo che sarebbe arrivata: la ramanzina.

<<Non iniziare nemmeno>>, dissi, seria. Non poteva venire a dirmi che non dovevo essere al suo fianco, non doveva osare nemmeno pensare ad una sciocchezza simile. Avevo tutto il dannato diritto di essere al suo fianco, durante il periodo di osservazione in ospedale e anche quando l'avrebbero dimesso. Ero sua figlia, dannazione, non poteva dirmi che sarei dovuta restare a casa. Non avrei comunque avuto la lucidità necessaria per lavorare.

<<Inizio eccome, invece. Credevo di averti detto che non saresti mai dovuta ritornare>>, mi disse, severo.

<<Sei mio padre. Non potevi aspettarti che me ne restassi a casa, quando tu eri in pericolo. Tu avresti fatto lo stesso>>, dissi.

<<Camila, sai che la situazione è completamente diversa>>, disse, scuotendo la testa.

<<Ma diversa come? Papà, nessuno mi ha fatto del male...inoltre, quante probabilità ci sono che si ricordi ancora di me? Probabilmente mi vedrà per la strada e non mi riconoscerà nemmeno>>, dissi io.
Decisi di non raccontargli che avevo rischiato di incontrarla, e che come una codarda avevo implorato Normani di farla andare via. Lei, per quanto strano potesse sembrare, mi aveva aiutato. Era uscita fuori dalla porta, impedendole di entrare in casa, e l'aveva allontanata subito di casa. Anche quando vidi la loro macchina allontanarsi, le mie mani tremavano ancora, come se temessi di sentire la sua voce alle mie spalle che- con quel tono roco che mi faceva perdere la testa- mi diceva che non potevo farla franca in quella maniera.
Sicuramente, mio padre avrebbe dato di matto se l'avesse saputo e con un braccio ingessato o meno, mi avrebbe trascinato fino in aeroporto per rispedirmi in quella che era diventata casa mia.
Inoltre, avrei dovuto spiegare per quale motivo mi trovavo a casa di Normani, e ciò comportava dire anche che Sofia usciva con suo fratello.

Stockholm SyndromeWhere stories live. Discover now