<<Tra un po' ceniamo. Ti porteranno qualcosa>>, disse poco dopo, uscendo dalla stanza. Appena si chiuse la porta, afferrai la busta. Notai che le mie mani tremavano mentre cercavo di aprire la scatola. Quindi, dopo aver rotto lo scatolino, mi ritrovai a buttare giù una pillola. Tremavo ancora, come se sentissi freddo o fossi troppo spaventata, ma sapevo che non era per nessuno dei due motivi.
Mi guardai le mani, provando un senso di ribrezzo nel guardarle. L'avevo accarezzata tante volte con quelle mani, mentre le mormoravo che non me ne sarei mai andata. Persino la sera del suo compleanno l'avevo fatto, illudendomi che per due come noi potesse esserci davvero un buon futuro.
Prima di rendermene conto, ero scoppiata a piangere. Mi lasciai andare sullo scomodo materasso, decidendo che questa era una punizione più che giusta. Se Dio aveva deciso che dovevo pagare il male che le avevo fatto, restando chiusa in questa stanza per un tempo indeterminato, allora mi andava bene. Un'azione come la mia non poteva restare impunita per tanto tempo ancora.
Il mio corpo prese ad essere scosso dai singhiozzi, mentre lacrime calde mi rigavano le guance. Spesso, il loro tragitto raggiungeva la mia bocca, e mi ritrovavo a sentirne il sapore salato. Mi passai le mani tra i capelli, poi mi voltai a pancia in giù. Affogai un urlo disperato contro il cuscino.
Così, scossa dal pianto e dai miei tormenti, mi addormentai poco dopo.

Lauren's pov

Tornai a casa che erano le undici passate. Avevo detto ai ragazzi di prendersi cura di Camila in mia assenza, quindi potevo almeno stare tranquilla poiché sapevo che avrebbe mangiato e starebbe stata bene. Nessuno di loro avrebbe osato farle del male, proprio come le avevo promesso. Potevo anche essere una criminale, ma non mancavo mai alle mie promesse. Un po' come il Diavolo, insomma.
I ragazzi erano ormai andati via, e l'unico rumore che sentii fu quello della televisione in soggiorno. Chris mi stava aspettando sveglio come era solito fare, oppure si era addormentato sul divano come accadeva la maggioranza delle sere. Proprio come credevo, era steso sul divano, avvolto in una coperta bianca e dormiva. No, russava profondamente. 
Presi il telecomando che si trovava tra la sua schiena ed il divano, quindi spensi la televisione e scossi la testa, divertita da mio fratello e i suoi comportamenti da bambino. Sembrava spesso che avesse sei anni, e non ventisei.
Andai in cucina per bere un bicchiere d'acqua, qui trovai due piatti coperti e sotto ad uno di essi c'era un bigliettino. L'afferrai. Diceva che Camila si era rifiutata di mangiare. Strinsi le sopracciglia, chiedendomi cosa l'avesse spinta ad assumere un comportamento così infantile. Aveva il ferro basso, ed entrambe sapevamo benissimo che non poteva permettersi di non mangiare. Certo, non era gravissima come situazione, ma per me era importantissimo che non saltasse mai un pasto. Non volevo che stesse male.
Presi i piatti, decidendo che a costo di svegliarla ed imboccarla, l'avrei fatta mangiare, e mi recai verso la "sua" stanza. Non era rinchiusa nelle segrete del castello dell'orco cattivo, ma non si trovava nemmeno al piano di sopra insieme a tutte le altre stanze. Accanto alle scale, c'era una sala che mio padre usava come ufficio personale. Io avevo deciso che non ne avevo più bisogno- soprattutto perché era lì che picchiava mia madre- e avevo fatto una camera per gli ospiti, dove Dinah aveva passato la maggior parte del suo tempo prima di ambientarsi.
Una volta arrivata davanti alla porta, sentii dei piccoli lamenti provenire dall'interno. Per quanto sapessi che non poteva essere entrato nessuno, il pensiero di saperla in pericolo mi fece spalancare la porta.
Mi affrettai a poggiare i piatti sul comò accanto al letto, poi mi sedetti al suo fianco e strinsi il suo corpo contro il mio. Stava avendo un incubo.

<<Ehi, Camz...tesoro, sveglia...è solo un incubo. Nulla è reale...è solo un brutto sogno>>, mormorai, scuotendo lentamente il suo corpo. Le sue mani si strinsero contro la mia maglia, tenendomi stretta contro di sé.

<<Camz, va tutto bene. Ci sono io, adesso. Nessuno ti farà del male>>, sussurrai, baciandole i capelli. Potei sentire il suo corpo rilassarsi contro il mio, prima che si svegliasse completamente e capisse cosa stava succedendo. Si allontanò di scatto, come se avesse preso una specie di scossa. Mi fissò con gli occhi spalancati, mentre i suoi occhioni rossi e gonfi mi facevano capire che aveva pianto per parecchio tempo.

<<Che ci fai qui?>>, chiese, guardandosi intorno.

<<Ho saputo che non hai mangiato, quindi avevo pensato che potevamo farlo insieme. Stavi avendo un incubo>>, dissi, cercando i suoi occhi. Sembrava una bambina spaventata...Ma da cosa? Da me? Oppure qualcuno aveva deciso di prendersela con lei?
Stavo per chiederle di dirmi tutto, poiché avrei ucciso a mani nude chiunque avesse osato anche solo torcerle un capello, ma mi fermai, come se fossi congelata. Abbassai lo sguardo sulle sue mani, e notai che giocava con un elastico nero che portava intorno al polso. Sarebbe stato un qualcosa di normale e banale per tutti, ma loro non sapevano cosa significava quell'elastico. Insomma, era il motivo per il quale ci eravamo conosciute.
Durante l'ora di educazione fisica- uno dei primi giorni di scuola-, dove il nostro professore non era contento se non si sudava fino, la piccola ed innocente Camila aveva dimenticato di legarsi i capelli. Insomma, i ragazzi sudavano ed avevano i capelli corti, figuriamoci le ragazze.
Dopo un paio di esercizi che- se per il sadico del cazzo erano semplicemente di riscaldamento, per noi erano completamente mortali-, mi ero resa conto che Camila cercava disperatamente di raccogliersi i capelli. Era la nuova arrivata, ed io la trovavo estremamente carina, quindi decisi di darle il mio. Ne portavo sempre due, per abitudine o per un qualche strano motivo (come la legge del doppio o niente), quindi per me non fu davvero un problema darglielo. Da quel giorno, Camila si avvicinava a me perché voleva restituirmelo, ma io continuavo a dirle che poteva tenerlo. Avevo notato che più le dicevo che poteva tenerlo, più mi parlava, quindi lo facevo di proposito. 
Alla fine, non solo diventammo amiche, ma quell'elastico nero, che entrambe portavamo sempre al polso, era diventato un qualcosa di nostro. Solo nostro.
Adesso, vedere che l'aveva tenuto per tutto quel tempo, mi riempiva il cuore di gioia e mi confondeva allo stesso momento.

<<Ti ho distrutta, vero, Lauren?>>, chiese all'improvviso. La sua domanda mi prese alla sprovvista, ma comunque sapevo di doverle una risposta.

<<Mi ha distrutto sapere che ti importavo così tanto, che hai deciso di andare via all'improvviso>>, mormorai.

<<Invece sai cosa ha distrutto me? Sapere che ti importavo così tanto, che non mi hai dato nemmeno un motivo per restare>>

<<Questa è bella poi!>>, sbottai, passandomi una mano tra i capelli. <<Il mio amore non ti bastava, per caso? Sapere che ti amavo così dannatamente tanto che avrei dato la mia fottuta vita per te! Sapere che eri l'unica cosa buona che io abbia mai fatto in vita mia, e che per nulla al mondo ti avrei lasciata andare!>>

<<Però l'hai fatto...>>

<<Ero troppo giovane per sapere come amarti e tenerti stretta>>

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