Capitolo 23.

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La stanza ripiombò nella luce, dopo ore di buio interminabili. Le stelle furono le prime a scomparire nel cielo, non appena quello diventò più chiaro, lasciando dietro di sé tutte le preoccupazioni che la nottata aveva portato. Tutti sembravano lieti, fra le loro coperte. Con gli occhi ancora chiusi, rivolti verso il soffitto; però, Levi non riuscì ad essere accolto dalle braccia del sonno. Il motivo che si impose di accettare fu piuttosto semplice: solita insonnia. Il letto non riusciva a donargli la tranquillità necessaria, neanche per schiacciare un pisolino; borbottando, si rimise seduto, lanciando un'occhiata alle ombre contorte della stanza che danzavano sulla parete, fino a riuscire a volare verso la volta bianca. Si sforzò di trovare la sedia, per poter abbandonare le proprie forze sullo schienale di quella. Socchiuse gli occhi, lasciando che gli stessi si abituassero al buio, che accennava ad affievolirsi, man mano che il tempo scorreva, nella scena da routine quotidiana. Trovata, vi si sporse verso, cercando di afferrarla e tirarla a sé, evitando di cadere rovinosamente e farsi del male. A lui, però, non sembrò importare più di tanto il fatto che, qualcuno, stesse bussando lievemente alla sua porta, aprendola lentamente. Subito, il caporale, si ritirò sul letto, girandosi dall'altro lato, sforzandosi di sembrare addormentato. Eppure, la giovane, com'era intelligente, si sedette accanto a lui, sospirando sommessamente; accennò ad una conversazione improvvisata: «So che non sta dormendo.» Poi, si affrettò a continuare, avvertendo dei movimenti dietro le sue spalle. «Ho saputo di Hanji e Moblit.» Informò, torturandosi il dito medio e l'anulare, come erano solite fare le persone ansiose. «Caporale, non deve darsi colpe, per quello che è successo.» E, ormai, lui non l'ascoltava più, ricordando come la donna, una volta, gli accarezzava la schiena, cercando di confortarlo da quei grandi massi di preoccupazioni, che portava con sé, fin dalla nascita. Nonostante lui non accennasse la minima volontà di rispondere, ella si girò verso Levi, mostrandogli il sorriso più dolce che riuscisse a fare, parendo una sorta di madre, di cui l'uomo aveva richiesto continue attenzioni.

«Petra...» brontolò, il caporale, mettendosi seduto e girandosi a guardarla; poi, concluse la frase, trattenendosi dal borbottare parole, di cui si sarebbe pentito, dinanzi ad un viso tanto dolce, com'era quello della donna. La luce, entrata dalla finestra, gli cadde caldamente sul viso, mentre i suoi occhi si chiudevano ed aprivano a ritmo del battito del suo cuore. Schioccò le labbra secche, inumidendole con la punta della lingua. In un caso come quello, avrebbe evitato di tirare fuori tutto ciò che aveva dentro, ma, probabilmente, fu l'aura tenera di Petra, a fargli cambiare idea. Gli parve come se avesse appena immerso i piedi nell'acqua fredda del mare e avesse tirato un sospiro di sollievo, sentendo la sabbia infiltrarsi fra le dita e solleticargli la pianta. La voglia di immergersi era tanta; anzi, troppa.
E fu in quel momento, che cedette al peso.
«Pensi che dovrei tentare ancora di parlare con Hanji, di tutto ciò che è successo?»
La donna mantenne saldo il suo sorriso, annuendo lentamente, alla vista di una faccia non poco sconvolta di Levi.

«Lo farò, allora.»

"I Love Her" | levihanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora