capitolo sedici

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Jack la stava trattenendo dal poter fuggire finalmente dalle sue grinfie, e lei se lo aspettava, ma non si diede per vinta.
Vai Marceline! diceva una parte liberati da lui, puoi farcela, ormai sei fuori! diceva l'altra. La ragazza era ignara di quello che in verità era ben più complicato di quanto non lo sembrasse già.
Ella strattonò, tirò, si dimenò fino a quando con un incisione netta lungo i polpacci riuscì a scivolare da quella presa ferrea.
Si alzò, ma dal dolore e i capogiri seguenti, quasi non cadde di nuovo a terra, ma si trattenne imponendosi di correre.
-MAMMA, PAPÀ, AIUTO!-, gridava, -MAMMA CHIAMA LA POLIZIA, PAPÀ VIENIMI A DARE UNA MANO!-, diceva.
-NESSUNO TI RISPONDERÀ.- urlò Jack mentre le sue braccia erano impegnate a tirarlo fuori dall'amradio. L'altezza di Jack, molte volte, non era d'aiuto e Marceline ringraziò Dio per questo.
Si trascinò più veloce che poteva verso la porta.
-Questo gioco vale la candela.-, commentò Jack soddisfatto di aver trovato finalmente una vittima che stava facendo sentire vivo.
-La candela te la ficco in culo.- rispose acidamente lei uscendo da quella stanza e buttandosi letteralmente a terra alla vista del Polifemo creato da Jason che le stava saltando addosso, ma si salvò per un pelo e l'animale saltò su Jack iniziando a graffiarlo, morderlo, attaccarlo spietatamente mentre lui cercava di liberarsene. Marceline sentì i zampilli di sangue di Jack sulle gambe e decise di non perdere tempo tornando a trascinarsi verso le scale. Si tirò su di nuovo ma un tonfo improvviso attirò la sua attenzione e la mano armata di Jack che si poggiava sanguinante allo stipite della porta non la rassicurò affatto. Allora Marceline si buttò a capofitto giù per le scale cedendo e lagnandosi come un animale ferito.
-Sei mia.- disse lui in un soffio e si precipitò giù dal pianerottolo bloccando la strada di Marceline col suo corpo e prendendola per i polsi.
-Sei una donna morta!- le urlò contro. -Lasciami!- gli rispose lei strattonando per liberarsi. E di tutta risposta ricevette una risata isterica e soddisfatta. Era bloccata e sarebbe morta a pochi passi dalla vera libertà, ma così non poteva essere!
Un miagolio interruppe la colluttazione e Jack alzò la testa con gli occhi iniettati di sangue e vide Jason intento ad accarezzare la sua creazione, ferito e malconciato.
-Lei morirà per mano mia.- gli disse con tono basso ma convinto. -Ti sbagli, giocattolaio.- rispose lui. -Ti mostro io come si uccide una persona.- disse Jason lanciandosi contro il clown che lanciò Marceline addosso ad una parete. Mentre i due si picchiavano ed il sangue imbrattava pavimento e muri, Polifemo si avvicinò alla ragazzina pronto a farla fuori. -Non avvicinarti...-, gli intimò lei, ma lui non la comprese nemmeno continuando ad avanzare. Marceline si tirò su lentamente mentre quel mostriciattolo la teneva d'occhio preparandosi a saltare, ma lei lo bloccò sbattendogli addosso un quadro. -Non morirò per mano di nessuno.- si era detta trascinandosi verso l'ingresso e chiedendo aiuto nel mezzo di una crisi di pianto. Un rumore stridulo, un crack improvviso e quandonsi voltò lo scenario era orripilante: Jack, ferito e mal ridotto, aveva tra i suoi artigli Jason ormai morto.
Marceline gridò dalla disperazione ed il clown cominciò a ridurre le distanze a grande falciate mentre la ragazza aveva preso a correre zoppicante verso la porta.
Fu un attimo. Marceline era a terra, il sangue sgorgava dal suo polso mezzo tagliato e pensolante dall'avambraccio. I suoni erano attutiti e la vista sfocata, ma lei giurava e spergiurava di aver visto i suoi genitori correrle incontro spaventati, il suo respiro rallentava sempre di più fino a quando venne a mancare del tutto e l'attività cerebrale si arrestò.
Quando riprese conoscenza era attaccata ad una macchina che teneva conto dei suoi battiti e ad un respiratore che l'aiutava a rimanere stabile. Era circondata da bende, cerotti, gessi e quando provò a muoversi sentì un forte dolore alla schiena e all'addome, stesso per gli arri inferiori e superiori, e questo le fece capire che non era il caso di muoversi.
Accanto a lei c'era la polizia, degli psicologi, i suoi genitori...
-Mamma, papà...- sussurrò stanca. -Tesoro...- rispose Loreline invitandola poi a non sprecare il fiato, ma lei non la ascoltò -Mamma...- iniziò con voce tremante, -Mamma, cosa è successo?-, domandò infine. -Ti abbiamo trovata moribonda sulla porta di casa, sanguinante, sporca, distrutta...- le rispose lei con gli occhi umidicci per via delle lacrime, -Temevamo di averti perso!- riprese il padre stringendo la mano a Loreline che diede sfogo alle lacrime. -Ma sono qui...- rispose Marceline sorridendo debolmente. -Ben tornata amica mia...- le disse Erika con-la-kappa che era lì con loro e piangeva ai piedi del letto felice di vederla viva, ancora volenterosa e Marceline si sentì fortunata ad averla con sé, sapeva che non l'aveva abbandonata del tutto, sapeva che nonostante tutto lei e i suoi genitori non si erano dati per vinti, lo sperava e lo immagimava.
Ce l'aveva fatta.
La polizia continuò le indagini nonostante le condizioni della povera ragazza, aspettarono però prima di farle delle domande su quanto successe, per lo meno che non fosse più attaccata ad un respiratore.
Accettò di collaborare alle ricerche del suo persecutore assieme ad Erika.
Marceline raccontò tutto per filo e per segno, ma nessuno parve crederle. Venne mandata da psicologi per capire se fosse stato il traumana farle farneticare quelle cose, visitata da medici e specialisti, in cura da psichiatri, venne invitata a scrivere e disegnare quello che diceva e che aveva visto, ma nessuno le diede retta. La sua migliore amica era preoccupata e vedere che nessuno le credeva la faceva stare male, ma le rimase accanto fino al giorno del suo internamento. I genitori ne erano rammaricati ma tutti quei traumi avevano fatto impazzire la loro bambina e non potevano sopportarlo.
-Dove mi mandano Mamma?- domandò ella ignara di quello che stesse succedendo. -È una nuova cura di riabilitazione Marceline, tornerai presto a casa, e vedrai che ti troverai bene...- disse la madre con la stretta al cuore. -Ma io sto bene mamma, sto benissimo! Non ho bisogno di altre cure, sono anni che non mi fai fare altro!- le disse incredula. -Queste sono molto più efficaci delle altre, Marceline...vedrai che starai bene- le disse il padre accarezzandole la guancia cadaverica. -Papà, anche tu?- domandò incredula. -Voi non mi credete...- realizzò -Voi non mi state mandando al centro di riabilitazione!- sbottò alzandosi di botto e degli infermieri intervennero bloccandola. -MAMMA, PAPÀ, DITE LORO DI LASCIARMI! IO STO BENISSIMO, NON VI STO MENTENDO, IO NON SONO PAZZA!- sbraitò dimenandosi ma loro non poterono fare nulla se non piangere e pregare che lei si riprendesse il prima possibile.
In quel momento in casa stava entrando Erika, ma venne sorpassata dai dottori che trascinavano via Marceline tenendola ben ferma. -Che sta succedendo?- chiese incredula. -Marceline, dove ti portano?!- la raggiunse quasi urlando. -Mi internano Erika, mi portano in un istituto psichiatrico!- sbottò lei in lacrime. -Salvami Erika, te ne prego!- la pregò Marceline mentre ricevette uno strattone da parte di uno degli infermieri. -Lasciatela andare razza di idioti, Marceline non è pazza!- gli aveva urlato, ma la ignorarono. -Signori diteglielo anche voi!- Erika incitò i genitori della ragazza a dire qualcosa ma loro tennero il silenzio. -Voi non capite, state sbagliando! Lei non è pazza!- continuava a dire l'amica senza ricevere considerazioni. -Come potete farle questo?!- sbraitò. -Marceline diglielo anche tu!- incitò l'amica che tentò di ribellarsi ma inutilmente. -Erika aiutami!- la pregò di nuovo. -Non preoccuparti Marcy, ti farò uscire da lì costi quel che costi, è una promessa.- disse l'altra alzando il mignolo sapendo che Marceline avrebbe capito, ma quel giuramento non venne mai mantenuto.
Erika andava a trovare l'amica ogni giorno dopo le visite psichiatriche e nel silenzio selettivo che manteneva le raccontava quello che accadeva, pettegolezzi, affari politici, famiglia, amori, barzellette, chiacchieravano del più e del meno; facevano in egual modo i genitori della ragazza che però non rivolse loro più nemmeno una parola.
Avevano assistito ad ogni sua visita, ogni sua seduta, ma nonostante ai medici risultasse sana come un pesce, rimaneva quel racconto avvolto nel mistero e nella sua ombra spettrale. Nessuno scoprì mai cosa accadde davvero e passarono anni da allora, a quel che successe non diede più peso nessuno, divenne solo una leggenda e lei una vecchia con qualche rotella fuori posto.
Una sera Marceline ricevette una visita fuori orario, nella notte silenziosa, con le stelle ad osservarla in un silenzio solenne, ed una brezza fresca a solleticarle le guance ormai cadaveriche ed incavate a causa di tutto quel che accadeva nell'ospedale. Fu una visita che lei non accolse con terrore ma con onore e nonostante la sua ormai veneranda età, con la testa alta ed il sorriso sulle labbra.
-Mi hai dato molte seccature ai tempi...- le disse, lei sorrise. -Cercavi qualcuno che ti desse del filo da torcere- gli rispose lei toccando com le mani ormai raggrinzite la ringhiera del balcone al quale era permesso loro di stare solo dieci minuti al giorno. -Guardati...- iniziò -Sei vecchia.- disse schietto. -Lo so...- disse lei con tono malinconico.
Il rintocco del campanile che scoccava la mezzanotte fece inumidire gli occhi della signora. -Ora piangi?- le chiese lui con un sorrisetto sulle labbra. -Farà male?- domandò lei. -So che hai paura- iniziò lui, -Ma dopo quello che mi hai fatto passare me lo devi, ma ti darò un vantaggio...- sospirò -Hai diritto ad un desiderio, uno solo.- finì guardandola. -Aspetta che mi addormenti...- rispose lei e lui, nonostante la sorpresa, non si scompose ed obbedì. -Sarò veloce.- disse infine lasciando che la brezza silenziosa lo avvolgesse, così come l'oscurità della notte che nascondeva anche questa malefatta. Il clown si avvicinò alla sedia sulla quale era seduta Marceline ormai ansiana e, dal retro, affondò il suo artiglio in direzione del cuore trafiggendopo da parte a parte. Le labbra della signora si bagnarono e colorarono di un denso colore rosso, quello delle più belle rose rosse, e mentre la vita di Marceline scviolava via dal suo corpo, Jack rimase lì, accanto a lei, ed attese.
Gli occhi di lei fissi sulle stelle, meravigliose e luminose, silenziose e spettatrici, ed erano fissi sulla luna che li illuminava nonostante l'oscurità e sembrò concentrarsi su di loro in quel momento, mentre l'aria le accarezzava le guance e la testa per l'ultima vera volta; Jack era paziente e nel rispettoso silenzio continuò ad aspettare, ascoltando il suo respiro che pian piano veniva a mancare -Jack...- la flebile voce di Marceline attirò la sua attenzione, la guardò negli occhi ridenti e sognanti, malinconici e quasi vitrei, e guardò quel sorriso macchiato di linfa, e capì. -Buona notte Jack...- disse alla fine, per l'ultima volta, prima di chiudere lentamente i suoi occhi per non riaprirli mai più.
Sotto i raggi argentei della luna il corpo di Marceline giaceva in silenzio, ormai morto, ma col sorriso sul volto, nonostante tutto, volenterosa come sempre, fiero.
Al mattino dopo venne trovato il corpo di Marceline in un bagno di sangue, venne fatto il funerale ed Erika era sempre lì, in prima fila, e non l'avrebbe mai abbandonata continuando a fare quello che sempre aveva fatto andandola a trovare al camposanto e raccontandole tutto, come sempre faceva, per non farla sentire sola.
Il caso venne archiviato due anni dopo, al seguito della morte dell'unica persona che poteva parlare al posto di Marceline.
Dissero che si trattò di un caso di suicidio e chiusero la faccenda, così come si chiude questa ormai vecchia storia...o forse no?

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