capitolo nove

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La notte di Marceline passò indisturbata tra bei sogni e piccole risate nel sonno, indotte probabilmente da uno sfogo psicologico, e l'atmosfera sembrava essersi fatta finalmente più leggera e perciò la ragazza si era rilassata abbastanza da poter dire che la sua vita era tornata alla normalità, che probabilmente tutto quello che aveva visto, o sognato di vedere, era frutto della sua fantasia, frutto dell'inquietudine che le aveva dato quel circo.

Era mattino inoltrato quando si svegliò da un bellissimo sonno ristoratore, stirando per bene i suoi muscoli e mettendo a fuoco la sua stanza riconoscendone mobili e tinta; aveva sognato quella notte una bellissima bufera di neve che al suo risveglio le portò il sorriso, -Amo la neve...- sussurrò tra sé e sé con un piccolo sorrisino in volto, -...Mi piacerebbe andarci, è così bianca...- alzandosi dal letto Marceline puntò lo sguardo sulla ragnatela che da tempo si trovava nella sua stanza a tenerle compagnia assieme al suo creatore: Stwart. Certo dare un nome ad un ragno, o comunque ad un animale che non sembrerebbe proprio da compagnia era strano, ma Marceline non ci diede molto peso. -Giorno anche a te, Stwart- gli disse. -Sei inquietante, come sempre- l'animale in risposta indietreggiò leggermente verso l'angolo buio della stanza illuminata dal sole di mezzogiorno, -Ma oggi te ne andrai: sei troppo inquietante per rimanere qui, e dopo quello che è successo non ci tengo a tenerti nella mia stanza- si guardò attorno per poi guardare l'armadio chiuso a chiave già dalla sera prima, -Metti caso tu ti trasformi in un ragno gigante con la voglia di uccidermi...di certo per te sarebbe uno spasso. Chissà da quanto lo vorrai fare...meglio non soffermarci su questo pensiero- concluse uscendo dalla stanza e dirigendosi verso lo sgabuzzino dove la scopa stava ferma ad aspettare che qualcuno la utilizzasse; tornò in fine in camera e tolse finalmente quella fastidiosa ragnatela assieme a Stwart.

-Sarebbe utile anche per noi una scopa- cominciò il giullare osservando le gesta di Marceline. -Sì...- rispose il clown appena sveglio e già di cattivo umore, ma quella risposta sollevò l'animo di Candy facendogli credere che un giorno, o anche quel dì stesso, avrebbero dato una pulita a quella "casa" così sporca da far paura ai topi. -Davvero!?- rispose quindi il giullare felice, -Sì...una scopa potrebbe esserci utile a...- Jack sembrò pensarci un secondo -Pulire?- finì la frase al posto del clown, anche se dubbioso, Candy. -No...- rispose Jack ancora apparentemente pensieroso, -Allora per cosa?- domandò stupidamente l'altro, -Per dartela in testa talmente tante volte, talmente tanto violentemente, da farti tornare non solo la materia grigia che ti manca ma anche per toglierti di mezzo una volta per tutte.- gli rispose con molta tranquillità il clown, ridacchiando al seguito della frase divertito dalla sua stessa risposta. -Tu e Jason non siete molto gentili nei miei confronti...- piagnucolò l'amico. -Non lo siamo mai stati, Candy.- rispose con tono d'astio Jack. -Anche tu hai ragione- finì il giullare annuendo alle sue parole.
-Mamma?- Marceline, dopo essersi cambiata, cominciò a girare per casa chiedendosi se fosse da sola o meno, quando al piano inferiore, nella cucina attaccato al frigorifero,  trovò un fogliettino. Su di esso stavano scritte testuali parole:

"Marcy, se per caso dovessi svegliarti tardi, o poco dopo la mia uscita, sappi che non sono scomparsa all'improvviso ma che questa mattina presto ho ricevuto una chiamata urgente da lavoro; se cerchi papà sappi che anche lui è a lavoro e che, come sempre, torneremo tardi. Ti vogliamo bene, lo sai.
Ci vediamo questa sera...
La mamma
."

-Come sempre...- sussurrò con tono malinconico. La ragazzina, nonostante la costante presenza della sua migliore amica, si sentiva tremendamente sola e la cosa non passò inosservata agli occhi attenti delle tre leggende che la osservavano. Ma ciò che aveva fatto non aveva per niente addolcito o acquietato gli animi  tormentati delle figure, bensì le aveva offese e innervosite;  i loro occhi si iniettarono di sangue, la loro mente si offuscò e un barlume di malvagità e di pazzia illuminò i volti dei tre, in modo particolare lo sguardo omicida del Clown. La dolce Marceline non poteva immaginare di essere nel mirino di tre spaventosi e abominevoli esseri soprannaturali e quindi si diresse tranquillamente verso il salone, ma un piccolo particolare la fermò sul corridoio fissa verso la porta di ingresso: Polifemo, il gatto della vicina di  casa, era ancora lì fermo immobile esattamente dove lei lo aveva lasciato ieri. -Polifemo?- lo chiamò lei avvicinandosi. Il gatto non diede segno di vita. -Qui...micio, micio...- lo chiamò di nuoco, o almeno tentò di attirare la sua attenzione, ma il gatto non si mosse di un solo millimetro e così nemmeno il suo pelo o il suo corpo, né la sua gabbia toracica per la respirazione. "che sia morto?" pensò tra sé la ragazza. -Poli...- vide la sua coda ondeggiare e le orecchie del gatto muoversi verso la sua direzione, ma l'animale aveva qualcosa di sbagliato nei suoi movimenti e nei suoi comportamenti; è vero che Marceline aveva ammesso di non aver mai visto gatto più strano al mondo, ma è anche vero che non lo era mai stato così tanto, né così inquietante. -Poli...- riprese la ragazzina e il gatto cominciò lentamente a girarsi verso di lei a piccoli scatti e ciò zittì definitivamente la ragazza che rimase col fiato sospeso fino a quando il gatto non si girò del tutto verso di lei.
Sobbalzò il giullare al grido terrorizzato di una ragazza destabilizzata dalla paura e ridacchiò a quella vista a dir poco epica per i suoi occhi, come per quelli del clown che divertito si godeva la scena: Marceline sul corridoio che fissava un gatto ormai morto, sporco di sangue secco, senza occhi e con un sorriso accuratamente cucito sul muso che si estendeva da una parte all'altra del volto mostrando i denti di acciaio rinforzato e seghettati come coltelli. Era pronto ad azzannargli il collo quando lo squillare di un telefono la portò alla realtà.

-Pronto, Erika...?- balbettò la ragazza spaventata. -Marceline buongiorno, stai bene?- la ragazza non sapeva che rispondere -Tutto bene Erika...- sussurrò insicura guardando la porta della cucina che dava al corridoio, -Sicura? Non mi sembra...non è che hai paura di morire?- la voce di Erika improvvisamente mutò divenendo bassa, baritona, terrificante e troppo profonda per i suoi gusti, e quella sua ultima frase le rimbombò nella testa con mille sfumature, come se non fosse lei a controllare la sua mente, come se tutto quello che stesse accadendo fosse opera di qualcuno che non era lei...-BASTA!- urlò di botto. -Tutto questo è frutto della mia immaginazione, non sta accadendo nulla di strano. Io sono nel mio angolo sicuro.- cercò di rassicurarsi lei mentre dall'altro capo del telefono Erika con-la-kappa cercava di attirare l'attenzione di Marceline per chiedere spiegazioni: -Marcy?!- disse una volta. -Marcy, pronto?!- disse una seconda volta. -Scusami Erika ma devo andare- rispose Marceline interrompendola al terzo prevedibile richiamo e attaccandole il telefono in faccia. Da quel momento in poi non rispose più ma cercò di rilassarsi, di darsi una spiegazione logica a quella "visione", giungendo ad una sola soluzione: verificare. Si avvicinò quindi al cassetto dei coltelli  da cucina, ne estrasse uno, e datosi il fatto che già una volta aveva ucciso per salvarsi la vita dal padre non avrebbe esitato a farlo una seconda volta, e quindi si diresse al corridoio ove si fermò a metà: il gatto era lì, immobile, fisso verso la porta d'ingresso.

Il circo fantasmaWhere stories live. Discover now