capitolo otto

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-Mamma sono a casa- disse Marceline entrando nella sua dimora. Il suo sguardo brancolava nel buio dell'ingresso mentre la sua mano tastava silenziosa il muro alla ricerca degli interruttori che le avrebbero permesso, una volta azionati, di non temere più nessun angolo di casa. Ma tastando quel muro che le sembrava improvvisamente infinito sentì la sua mano essere toccata da qualcosa di freddo, appuntito a sentir meglio, e forse avrebbe perso la mano se per un impulso improvviso del cervello non gliela avesse fatta togliere immediatamente dal muro; guardò il suo telefono posizionando un dito sul tastino verde pronta per cominciare una telefonata con le forze dell'ordine, mentre l'indice sinistro azionò la torcia che l'oggetto aveva come accessorio incorporato. Illuminò il muro accanto a lei con man tremante, ma tutto quel che vide erano solo gli interruttori e le chiavi penzolanti dal chiodino al muro, quelle che probabilmente l'avevano toccata qualche istante prima: la sua mano era andata oltre gli interruttori senza volerlo, e questo stava a dire che Marceline si era spinta inconsapevolmente oltre la soglia della casa, avvicinandosi al buio che rendeva infinita casa sua. Accese le luci facendo un respiro profondo e pesante, levandosi di dosso ogni tipo di preoccupazione: era inutile essere paranoica per stupide allucinazioni dovute ad una stanchezza che lei non aveva provato, ma che pur di dare una spiegazione ad ogni suo strano comportamento, o visione, si era convinta di ciò. Sembrava soffrire di manie di persecuzione, e poi per cosa non si sa, ma forse quelle sue preoccupazioni non erano del tutto infondate... lasciando le luci completamente accese in ogni angolo di casa, chiudendo le porte, o quelle che più la inquietavano e la destabilizzavano, si diresse verso la sua stanza sul pianerottolo ma si tenette al di fuori di essa, a fissare la porta che le pareva  avere qualcosa di sbagliato...-La ragazzina è troppo intelligente, mi sta stancando! Posso andare lì a spaccargli quella sua testolina brulicante di ipotesi inutili?- snervato, il giullare, aveva farneticato ma il clown lo ignorò del tutto continuando a seguire ogni singola mossa della ragazza senza farsene scappare nessuna, studiandola attentamente, capendo i suoi pensieri e ridendone sotto i baffi, bramando il suo sangue e facendo apparire in quei suoi occhi bianchi un barlume di pazzia. 
La ragazza fissava quella porta e i suoi stipiti con circospezione e tenendo conto di ogni oggetto presente su di essa con meticolosità, constatando in fine che la porta non avesse nulla di sospetto e che essa fosse quella di sempre quando, scuotendo la testa, la passò una volta per tutte convinta della sua ultima accortezza: in fin dei conti , stanchezza o non stanchezza, volente o nolente, le sue sensazioni erano state troppo forti quel giorno per non essere ascoltate, così come il suo sesto senso, così come tentava di dare retta a quella sua ipotesi così idiota. "Su, è ora di andare a dormire" disse tra  sé Marceline sedendosi sul letto e osservando il suo armadio con fare spaventato; più tardi lo avrebbe chiuso a chiave di modo che i suoi pensieri non la tenessero sveglia inutilmente. Con tranquillità si cambiò, come sempre e il vedere che non stava succedendo niente la stava acquietando.-Quell'idiota che fine ha fatto? Se io fossi stato lì l'avrei già rapita!- urlò ancora più spazientito Candy facendo rimbombare la sua voce per la stanza e svegliando dal suo riposo Jack. Cadde il freddo e il giullare cambiò colore più di una volta capendo quello che aveva appena combinato, -Jack...sei tu?- balbettò strofinandosi una mano sulla spalla dal gelo che improvvisamente aveva preso a regnare nella stanza, ghiacciando le muffe sulle pareti e rendendo l'aria tagliente dal freddo; sentiva il sangue fermarsi nelle vene per via del congelamento, ammesso e non concesso che lui avesse delle vene ricche di sangue in giro per il corpo. -Quante volte...- cominciò la figura macabra con voce roca -...Ti  ho detto di NON disturbarmi mentre dormo?- domandò, probabilmente retoricamente, ma Candy rispose comunque: Jack in quella situazione era letale quanto Jason dai capelli neri. -Tante...- balbettò ancora -...Mi dispiace, Jack....- mugolò spaventato. -Me ne infischio delle tue scuse.- gli ringhiò l'altro in preda alla rabbia, -Sei una palla al piede, e se morissi non faresti un soldo di danno.- calcò le ultime parole allungando una delle sue grandi e lunghe braccia verso il povero giullare che terrorizzato, indietreggiò. -Stai fermo.- gli intimò il clown, -No...- rispose Candy timidamente. Jack abbassò il lungo braccio ghiacciato e, tornando nel suo angolo, si risistemò l'amaca. -Anche tu ci hai messo molto tempo per far scappare di casa la ragazzina, quindi non lamentarti di Jason: lui, in confronto a te è in grado di fare qualcosa di più che tirare martelli in testa alla gente, abbi fiducia.- e dopo aver sussurrato quest'ultime cose il clown si rimise placidamente sulla sua amaca, tirando pesantemente su col naso, si girò con fare goffo a pancia sotto addormentandosi in poco tempo. Attorno a Candy il ghiaccio si sciolse e una piccola e dolce vocetta attirò la sua attenzione oltre lo specchio.
-Spero di poter passare la notte senza dovermi preoccupare di nulla...- disse Marceline alzandosi e dirigendosi verso il portagioie, e maneggiando tra i cassettini ne tirò fuori una piccola chiave in bronzo decorata in modo raffinato, a mano, non troppo piccola né troppo grande; perfetta per l'armadio che poco dopo chiuse a chiave. La rete del ragno aveva intrappolato la sua preda, e nascosto nell'ombra aspettava che essa smettesse di opporre resistenza per poi cibarsi del suo succoso sangue. -Devo ricordarmi a togliere quella ragnatela da quell'angolo della stanza...il ragno mi inquieta- e forse non sarebbe stato solo quello ad inquietarla quella sera.

Un rumore di cocci attirò l'attenzione della ragazza che armandosi di una mazza da golf si avviò verso il piano inferiore, ove un gatto stava placidamente accucciato sul mobiletto dell'ingresso a guardare i cocci vuoti del vaso che prima si presumeva stare al posto dell'animale. Questo era un gatto tigrato, dal pelo arancione e mancante di un occhio, che fissava Marceline ferma sulle scale che davano al pianerottolo; la ragazza sospirò sollevata -Polifemo! Che spavento che mi hai fatto prendere: pensavo fossi un intruso- sorrise leggermente -che sciocchezza eh?-, il gatto miagolò scendendo dal mobiletto, -Adesso è tardi ma ti riporterò alla tua padrona domani mattina, va bene?- l'animale non rispose e nemmeno diede segno di aver capito le parole della ragazza; si fissò  sulla porta di ingresso, spalle alla ragazza, e non si mosse più. -Polifemo sei il gatto più strano che abbia mai visto- ridacchiò Marceline. -Non ti dà fastidio se ti lascio da solo al buio, vero? ma sì, in fin dei conti tu vedi al buio- cominciò così a ripercorrere a retroso la strada dove tutte le luci erano state accese, fino a chiudersi nella sua stanza. Spense la luce e velocemente si infilò sotto le coperte del letto, calma e rilassata, ripensando alla giornata trascorsa in tranquillità e serenità senza mai accorgersi del ragno e della sua tela che la stavano man a mano intrappolando a sua insaputa.

Il circo fantasmaWhere stories live. Discover now