G. Meazza

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Marzo '91

Fu nel marzo o forse addirittura nel febbraio di quell'anno che venni a sapere, durante una delle cene di una delle sere della settimana, che mio padre sarebbe andato per alcuni giorni a Milano per un congresso. Lo venni a sapere a cena perché difficilmente mio padre tornava a pranzo come d'altronde anche io restando a scuola fino alle 18, orario in cui lui veniva a prendermi, e pranzando al refettorio del Convinto Nazionale. Sarebbe andato a Milano, quindi, proprio nella settimana in cui si sarebbe giocato il ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa tra l'Inter, la mia Inter, e l'Atalanta. Non appena saputo della vicina partenza e resomi conto, con una associazione mentale istantanea in collaborazione tra cuore e cervello, della concomitanza della partita proprio in quei giorni, il mio entusiasmo schizzò alle stelle come pure fortissima la mia richiesta di poter partire con lui per andare a vedere la partita.
Ora qui cominciano intrecci di emozioni, strategia, perseveranza e situazioni nuove incredibili per me. Dovrei farne un elenco ma si perderebbe l'intreccio e la connessione tra le cose appena dette. Per me quel viaggio ha significato e significa tuttora moltissimo. Moltissimo perché sarei partito staccando da scuola, che in quel periodo soffrivo particolarmente non per i voti ma per l'ambiente o forse per l'età puberale, sarei andato a Milano dove tra l'altro abbiamo sempre avuto cari amici, avrei preso per la prima volta in vita mia l'aereo e soprattutto avrei visto per la prima volta la mia amata Inter allo stadio Giuseppe Meazza(San Siro!) ma anche il fatto che sarei partito con mio padre un po' come il film con Sordi e Verdone. Che figata!

Accaddero molte cose in quel viaggio e durante quel soggiorno a Milano. Ci fu anche una parola, anzi due, che ci accompagnarono durante quei giorni: "full credit". Non so perché ma per ogni cosa questa espressione veniva fuori, la ripetevo come un mantra quasi. Nasceva dal fatto che l'intero viaggio e soggiorno era a carico della casa farmaceutica organizzatrice dell'evento che spesava tutto ma proprio tutto (altri tempi!).
Non dissi niente ai miei compagni di scuola ne tantomeno alla scuola o meglio ai docenti, proprio a causa di quella insofferenza di cui vi dicevo. L'ordine tassativo dato in consegna a mia madre nel caso di telefonate di eventuali compagni fu che io in quei giorni fossi praticamente un malato moribondo. Mi portai pure alcuni libri in una cartella un po' per convincermi e per convincere mia madre che non sarei rimasto indietro con i compiti. Rimasero intonzi.

Gli amici "milanesi". Altro motivo di contentezza per questo viaggio era il poter passare dei giorni con questi nostri più che carissimi amici di famiglia, storici dei miei e di noi ragazzi figli loro rispettivamente, con i quali passavamo insieme i mesi estivi. Ho adorato e portato con me fino ad oggi quei momenti, come i pomeriggi con le figlie di Paolo o il pranzo o le cene con tutti loro. Allora non potevo sapere che non si sarebbero più ripetuti, non esattamente in quel modo almeno.

San Siro. Forse lasciare questa parte in bianco riuscirebbe a far capire meglio cosa significassero per me quei momenti. L'entrare al Meazza con gli occhi puntati fissi verso l'alto già dallo spiazzale fuori per poi muoverli incessantemente da destra a sinistra e dall'alto verso il basso dentro lo stadio proprio come quando non si sa dove guardare prima. Io tutto bardato da cappellino e bandierone che da fermo copriva il mio Montgomery. Poi iniziò la partita e i ricordi si fondono con le sensazioni del momento, col tifo della Nord, coi flash delle macchinette, con le urla della gente, con i volti di mio padre e di Paolo e poi improvvisamente un lampo: Gol! e poco dopo di nuovo: Gol! e agitare il bandierone scoppiando di gioia! Finì 2 a 0 per l'Inter infatti qualificandoci così per le semifinali.

Accaddero un paio di aneddoti piuttosto divertenti ma li racconterò magari in un'altra occasione, sono certo non tarderà ad arrivare.

Il viaggio. Prendere l'aereo per la prima volta e sentire quel groppo in gola al decollo, che poi scende fin alla bocca dello stomaco, per poi disperdersi una volta in quota. Ma forse, confesso, questa è la parte più importante, credo una delle più "semprevive" nei ricordi, certamente per me la più bella e anche difficile da raccontare. Non solo per il fatto che fossi in viaggio con mio padre, cosa che mi dava molta carica, ma soprattutto per il mio sentimento di allora, desiderio di oggi, di indipendenza, di fare da solo, di stare in un contesto diversissimo dal quotidiano e vedere che succede, di provare qualcosa di diverso. In questo non sono molto cambiato anzi oggi forse lo desidero ancor di più di allora.

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