62 - Ci vediamo a casa

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Ancora una volta nella mia mente tutto divenne buio.

C'eravamo solamente io e quella sfera.

Nessun portiere, nessuna barriera, nessun tifoso in apnea.

Io e il pallone.

Avevo un solo pensiero: buttare la palla in rete!

Intorno a me tutto era come cristallizzato.

Quanto adoravo quegli istanti. 

Tutto dipendeva da me, dalla mia concentrazione, dalla mia determinazione.

Avevo un potere, in quegli istanti, davvero indescrivibile.

Fissai un'ultima volta il pallone, quasi a volerne catturare la fiducia, quasi a sentirmi interamente parte di lui. Presi un ultimo respiro e tirai, forte, con tutta l'anima che avevo in corpo.

Il pallone si sollevò in volo poi, dopo un instante, una piccola frazione di secondo, deviò la sua traiettoria verso il basso, fino a depositarsi nell'angolo destro della rete, a portiere battuto.

Un urlo di gioia pura sfuggì via dalla mia gola, la testa leggera e il cuore reso pesante dalle mille emozioni contrastanti che lottavano dentro di me.

D'impulso mi voltai per cercare Andrea ma quello che vidi fu lo spicchio di tribuna che avevo fissato per tutto il tempo. 

Erano tutti in piedi, c'era molta confusione ma ebbi la netta sensazione di scovare quegli occhi, gli unici che riempivano i miei pensieri, intenti a fissarmi.

E allora mi lasciai andare, lasciai cadere ogni barriera, ogni muro e scoppiai in un pianto dirotto sollevando le braccia e puntai gli indici verso quello spicchio, dove il mio cuore aveva albergato negli ultimi ottantasette minuti.

Non riuscii a portare a termine la mia dedica però, perché, in un batter d'occhio, Andrea e tutti gli altri mi furono addosso sommergendomi di parole urlate e di abbracci sconnessi che mi fecero precipitare sul prato verde in un urlo colmo di gioia.

Sorrisi, imprecazioni e lacrime si mescolavano tra loro. Eravamo ad un passo dal sogno ed ero circondato dalle persone che più amavo. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quelle emozioni. Il mio cuore era un treno impazzito e sembrava non voler tornare ad un ritmo normale.

La nostra scalmanata esultanza fu presto fermata dal fischio dell'arbitro che ci richiamò all'ordine per portare regolarmente a termine quegli ultimi minuti di gioco.

Quei minuti nemmeno parvero cominciare, fu solo un correre entusiasta ed in scioltezza, un portare in campo una gioia che proprio non riuscivamo a contenere.

Furono i tre minuti più folli di sempre. Oramai nessuno pensava più al pallone, nulla era più importante di quella vittoria che avevamo appena realizzato di aver conquistato.

Al triplice fischio dell'arbitro il caos invase il verde del prato. Tutti scesero in campo, dalle riserve ai massaggiatori, dall'addetto stampa ai magazzinieri. Tutti eravamo stretti in un unico abbraccio.

Qualcuno dello staff, non saprei dire se previdente o fiducioso, aveva fatto preparare delle magliette celebrative che indossammo tutti di fretta e furia per continuare quella festa tra risate, coreografie azzardate e gavettoni.

In tutto quel marasma cercai con lo sguardo Adriano, lo vidi venire verso di me con un sorriso soddisfatto ad illuminargli il volto.

-Ce l'abbiamo fatta!-  disse.

Io annuii ed accolsi l'abbraccio che lui mi stava offrendo.

-Ce l'abbiamo fatta davvero!-  confermai al suo orecchio.

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