Capitolo 26

3.5K 126 35
                                    

Presi un respiro profondo e incominciai a parlare.
«È da quasi una settimana che ho forti dolori alla pancia, ieri mattina ho vomitato.
Tra l'altro ho anche un ritardo, ho fatto un test in preda al panico, sembrerebbe positivo, magari c'è speranza.» dissi e per poco non cadde a terra. Spalancò gli occhi e non rispose.
Qualcosa mi diceva che non l'aveva presa poi così bene. La cosa mi terrorizzava, ma mi rallegrava allo stesso tempo, perché io avevo poche possibilità di partorire e di avere figli, ed ora, forse, ero incinta.
«Sono io il padre vero?» furono le prime parole che disse. Il suo sguardo era un misto di felicità e nervosismo.
«Si Paulo, chi altro dovrebbe essere se no.» dissi ridendo, lui mi saltò praticamente addosso, abbracciandomi. Con le mie mani gli massaggiai la schiena.
«Sono felicissimo, ci sei riuscita.» disse e una lacrima rigò il suo viso.
Non mi accorsi che delle lacrime stavano scendendo anche sul mio viso. Io e Paulo avremmo avuto un bambino. Mia madre lo sapeva già, e ne era abbastanza contenta, sapeva che io e Paulo ci amavamo. E sapeva anche che Paulo era un ragazzo responsabile.
«E se non dovessi farcela?» chiesi e lui scosse la testa, mi prese in braccio e mi fece sedere sulle sue gambe, abbracciandomi.
«Ce la farai amore mio.» mi lasciò un bacio sulla guancia e mi sorrise. Misi la testa nell'incavo del suo collo e lo abbracciai.
«Il dottore ricordi cosa disse? Che avrei avuto pochissime possibilità di avere un bambino, anzi quasi nulle.» gli ricordai e lui ripensandoci sussultò.
«Si ma il test è positivo no? Quindi vuol dire che ce l'hai fatta. E ora rilassati, e godiamoci questa gravidanza, senza preoccuparci di niente.» mi lasciò dei dolci baci sulle labbra e mi accarezzò i capelli.
Mi sentivo così bene tra le sue braccia.
Senza rendermene conto le mie palpebre si chiusero, e così mi addormentai.

——

«Buongiorno piccola.» appena mi svegliai trovai davanti a me il viso di Paulo, in tutta la sua bellezza mattutina.
«Vieni di sotto?» lui chiese e io annuii. Mi stropicciai gli occhi e mi alzai.
«Che ore sono?» chiesi e afferrai il mio telefono, lo accesi e aspettai che si caricasse.
«Le dieci e un quarto.» rispose Paulo.
Scendemmo di sotto e trovai sul tavolo della cucina un piatto di pancake, guardai Paulo che mi sorrise.
«Ti amo.» gli lasciai un bacio sulla guancia e andai a sedermi al tavolo.
«Mi ami solo quando conviene a te.» sbuffò lui, e si venne a sedere affianco a me.
«Ma no sai che ti amo sempre.» gli mandai un bacio volante.
«Sei incredibile.»
«Lo so, lo so, ora lasciami mangiare i pancake però.» dissi e lui alzò gli occhi al cielo ridendo.
«Non mangiarne tanti che oggi hai gli allenamenti.» lo rimproverai e lui si mise a ridere.
«Mancano quaranta minuti all'inizio del mio allenamento. Vatti a vestire o farò tardi, per colpa tua.» mi disse il moro davanti a me.

Una volta pronta scesi le scale e andai da lui, che era seduto sul divano con il borsone sulle gambe.
«Nos vamos?» chiesi e lui annuii.
«Mi pequeña argentina.» mi scompigliò i capelli e lo fulminai con lo sguardo.
«Che musetto adorabile.» mi pizzicò le guance e sorrise.
«Non sono un cane Dybala.» risposi e lui si mise a ridere.
«Dai, perrita, andiamo ancora si fa tardi.» disse e gli tirai una sberla in testa, per scherzare.
Lui scosse la testa e mi prese in braccio, stando attento a non schiacciare la pancia, e mi caricò di peso in macchina.
«Non mi chiamare mai più così, o scendo adesso da questa macchina, e vado a crescere mio figlio con qualcun'altro.» gli dissi ridendo e lui spalancò gli occhi.
Poi scosse la testa e iniziò a guidare, direzione Vinovo.
«Scusa, non ti chiamerò più così.» disse e io annuii soddisfatta.

Appena arrivati parcheggiò nell'apposito parcheggio riservato ai giocatori e entrammo in campo.
Paulo salutò tutti e io feci lo stesso. Vidi Alvaro in un angolo, triste, così decisi di andare da lui.
«Ehi Alvaro, che succede?» gli misi una mano sulla spalla e lui si girò verso di me, facendomi segno di sedermi con lui.
E così feci.
«Devo andarmene Rosie.»
«Devi andartene? Dove? E perchè?» chiesi, lui appoggiò la testa sulla mia spalla.
Gli accarezzai i capelli, mi sarebbe mancato da morire il mio migliore amico.
«Cambio squadra, mi hanno preso al Real Madrid.» disse lui, triste.
«È un grande traguardo no?»
«Si ma non capisci Rosie, non voglio andarmene. Qui ho i miei migliori amici, ho la mia ragazza, ho te. Non voglio abbandonarvi.» gli presi la mano e la strinsi con la mia.
«Ehi Alvarito, è tutto okay. Ci sentiremo tutti i giorni, e ti verremo anche a trovare, sicuramente. Sai che teniamo troppo a te.» lui mi abbracciò e delle lacrime bagnarono la mia maglietta.
«Dai non piangere che poi mi fai sentire male anche a me.» gli dissi e lui rise un po', finalmente un bel sorriso.
«Ora vai ad allenarti!» gli lasciai un bacio sulla guancia e poi andò dove era riunita tutta la squadra.

Mi Joya //Paulo Dybala Where stories live. Discover now