Capitolo 17

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Paulo's pov.
Il mattino seguente, come d'accordo, andai in ospedale da Rosie. Quando arrivai fortunatamente non era ancora stata dimessa, così rimasi ad aspettarla  sui seggiolini.
Dovevo ammettere che ero particolarmente nervoso quel giorno, e non sapevo nemmeno io il perché.

«Si è appena svegliata. Tempo che fa colazione e si riprende un po' e la possiamo dimettere. Nel frattempo puoi entrare a salutarla se vuoi.» disse il dottore ed annuii. Entrai subito nella sua stanza e un sorriso fece capolinea sul suo bellissimo viso.
«Paulo! Pensavo non saresti venuto.» disse mentre le sue guance si colorarono leggermente di rosso.
«Invece eccomi qua. Mantengo sempre le promesse io.» le sorrisi.
«Posso?» indicai il lettino e lei annuì, così mi ci sedetti sopra.
«Allora, come stai questa mattina?» le chiesi e lei mi sorrise.
«Sto bene, grazie. E tu?»
«Molto bene.» le sorrisi.
«Paulo posso chiederti una cosa?» mi chiese e io, ovviamente, annuii.
«Sei fidanzato?» chiese e quella domanda mi spiazzò completamente, quanto avrei voluto dirle che era lei la mia bellissima fidanzata.
«Lo ero.» le dissi, cercando di non piangere.
«Oh, mi dispiace, vi siete lasciati?» mi chiese lei, curiosa. Nel suo sguardo non c'era malizia, solo molta tristezza e curiosità, scossi la testa.
«Lei.. ha avuto un incidente.» dissi e delle lacrime scesero sulle mie guance.
«È morta?» mi chiese allarmata. Mi sfiorò la mano e per un attimo potei sentire un brivido sul braccio, mi mancava sfiorarla.
«No, certo che no, per fortuna, non lo avrei mai superato altrimenti. Lei ha perso la memoria, talmente forte questo incidente, e non si ricorda più di me.» spiegai. Mi guardò dritto negli occhi, senza accorgermene qualche lacrima stava già rigando il mio volto.
«Era davvero importante per te, vero?» mi chiese e mi prese per mano.
«Non puoi capire neanche quanto.»
«Ti manca?» annuii con la testa bassa e altre lacrime scesero lungo le mie guance.
Sentii due braccia avvolgermi e vidi la piccola Rosie abbracciarmi. La strinsi forte tra le mie braccia, accarezzandole la testa, mi mancava davvero tanto quel contatto.
«La ami ancora?» mi chiese poi e io annuii.
«Non ho mai smesso di farlo.»
«Mi dispiace Paulo.» mi disse ancora.
«Tranquilla Rosie, passerà.»

«Tu invece? Hai un fidanzato?» chiesi. Sapevo benissimo che ricordava ben poco dei suoi anni passati, ma magari potevo tirarle fuori qualche informazione o piccolo ricordo, per riportarla da me.
«Io, non lo so, credo di no.» alzò le spalle.
«Mi vuoi raccontare della tua infanzia?» le chiesi e lei ci pensò su, in quel momento captai uno sguardo confuso, forse stava unendo i puntini.
«Io non mi ricordo molto, abitavo in Argentina con mia mamma, non so perché ora sono qui» mi disse, «però mi ricordo che con me in Argentina c'era anche un bambino, che giocava sempre con me, ma non mi ricordo il suo nome.» disse e il mio cuore fece un salto. Si ricordava di un bambino che giocava insieme a lei da piccola, nonché io.
«Vuoi parlarmi un po di questo bambino?» le chiesi e lei annuì incerta.
«Non ricordo molto, mi ricordo solo che una volta, visto che dei bambini più grandi non volevano farmi giocare. Lui aveva litigato con loro, perché ci teneva che giocassi anche io.» mi disse quelle parole e persi un battito. Ricordavo benissimo quella volta.

[...]
«Le femmine non sanno giocare a calcio.» disse uno dei due ragazzi guardando male Rosie.
«Ti sbagli.» disse lei avvicinandosi.
«Vai via! Non puoi giocare con noi, è una partita tra maschi.» disse nuovamente il bambino, prima di spingerla e farla cadere. Scoppiò a piangere e prima di correre via gli tirò un pugno sul braccio.
«Rosie! Tutto okay?» le chiesi rincorrendola. Lei scosse la testa, così le presi cautamente il ginocchio, notando i graffi e il sangue che usciva da essi.
«Paulo che ci fai qua vai a giocare!» mi disse ma scossi la testa, non avevo intenzione di lasciarla.
«Se non giochi te non gioco nemmeno io.» la abbracciai e la aiutai ad alzarsi, per poi riaccompagnarla a casa.
[...]

Sorrisi guardandola.
«Volevi bene a quel bambino?» chiesi e lei annuì contenta.
«Sì, penso proprio di sì.» disse poi e il mio sorriso aumentò. Con queste piccole considerazioni mi stava facendo il ragazzo più felice del mondo.
«Eccoci qui Rosie, è arrivato il momento. Dai che torni a casa.» il dottore ci interruppe facendo il suo ingresso in stanca e lei sorrise, battendo poi le mani.
La aiutai ad alzarsi.
«Dovrei vestirmi.» disse e guardò il suo grembiule, fece una risata.
Le passai i vestiti che erano sul termosifone e lei mi ringraziò.
«Vado e torno.» disse chiudendosi in bagno.
La aspettai e intanto firmai qualche documento.
«Sono pronta.» disse e alzai lo sguardo su di lei. Era bellissima, nonostante i capelli un po' arruffati raccolti in una coda disordinata.
«C'è qualcosa che non va?» chiese lei guardando i suoi vestiti, scossi la testa ridendo.
«No, anzi, sei bellissima.» le dissi e lei arrossì.
«Grazie.» sorrise poi. Mi alzai e la raggiunsi.
«Ho preso il mio telefono» lo tirò fuori dallo zainetto e me lo mostrò, «guarda.» lo schermo era leggermente rotto, ma mi soffermai sullo sfondo, una nostra foto.
«Come faccio ad avere questa foto? Quando l'abbiamo scattata?» mi chiese lei guardando il suo telefono preoccupata.
«Siamo amici, magari l'abbiamo scattata un giorno che ci siamo visti.» dissi, restando sul vago.
«Paulo.. ma io e te ci conosciamo da tanto?» mi chiese. Non potevo dirle nulla che avrebbe potuto sconvolgerla.
«Io.. no, penso di no.» le dissi e lei annuì.
«Ma io ho avuto un incidente?» mi chiese e rimasi spiazzato da quelle parole. Entrammo in macchina.
«Perché me lo chiedi?»
«Non lo so. Mi ricordo solo di essermi messa a correre sotto la pioggia, e poi il vuoto.» mi spiegò. Rabbrividì a quelle sue parole.
«Non lo so Rosie.» dissi io e lei alzò le spalle, cambiando argomento.
«Dove andiamo?» chiese poi guardando la strada.
«Un attimo a casa mia, ti va?» chiesi e lei, un po' titubante, annuì.

Appena arrivati parcheggiai la mia auto in garage e la feci scendere.
«Eccoci.»
«È davvero una bella casa.» mi disse guardandosi attorno meravigliata, la ringraziai.
«Vieni, entriamo.» la presi per mano e lei rabbrividì a quel contatto. Ma non si spostò, anzi, strinse la sua mano intorno alla mia.
«Mamma, siamo a casa.» urlai appena entrato. Mia mamma corse vicino a noi a salutarci. Quando vide Rosie per poco non svenne.
«Rosie! Come stai?» chiese mia mamma e la abbracciò. E solo allora le nostre mani si divisero.
«Io.. bene. Come fa a conoscermi?» chiese Rosie guardando mia mamma. La presi un attimo un disparte e le ricordai che Rosie aveva perso la memoria.
«Paulo mi ha parlato di te.» sorrise ad entrambi, e Rosie si girò verso di me, meravigliata.
«Volete pranzare?» mia mamma chiese e io annuii, Rosie aspettò la mia risposta e poi rispose anche lei, accettando.
Andammo a sederci in tavola. Sul frigorifero c'era una foto mia e di Rosie, scattata anni fa. Lei la prese e la guardò per vari secondi.
La rigirò più volte tra le mani. Io e mia mamma ci guardammo e poi posammo lo sguardo su Rosie. Feci per alzarmi per toglierla dalle sue mani, ma lei si fermò improvvisamente sul posto.
«Tutto okay?» le chiesi sfiorandole il braccio. Dopo qualche secondo si girò verso di me, tremando.
«Paulo, quel bambino che ti dicevo oggi, eri tu vero?»

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SPAZIO AUTRICE
Ehi, come vaaaa? Spero vi piaccia il capitolo, Rosie inizia a ricordare alcune cose? Chissà.
Votate e commentate il capitolo miraccomando. Un bacio.
-Fede

Mi Joya //Paulo Dybala Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora