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I giorni successivi trascorrono lenti e monotoni. Non vedo Evan fino alla sera e quando lui non c'è, sono costretta a stare sotto la supervisione di Ermine. Spendo le notti in compagnia di Evan, il quale sembra abbastanza sicuro di non volermi uccidere bevendo tutto il mio sangue. Invece, ne prende piccole dosi ogni notte, per non rischiare di indebolirmi eccessivamente. Non capisco cosa provi e per questo motivo non mi sento affatto sicura, nonostante abbia esplicitamente dichiarato di non volermi uccidere.
- Perdonatemi, Miss Donato, ma devo lasciarvi. Restate qui fino al mio ritorno - la voce di Ermine mi distoglie dai miei pensieri. Sollevo lo sguardo su di lei, smarrita.
- Come? Perché dovrei aspettare qui? - chiedo.
- Ordini del signor Woods. Non vuole che voi rimaniate sola troppo a lungo o che vaghiate per i corridoi della villa - spiega semplicemente. Certo. Evan vuole che io resti in un'unica stanza senza troppe lamentele. Ma perché? Sono sicura che tutto questo ha a che fare con ciò che è successo nel labirinto. Qualunque cosa fosse. Per giunta da quel giorno non siamo più usciti a fare una passeggiata.
Decido di non obiettare e di lasciarla andare con un cenno affermativo del capo. Se davvero è accaduto qualcosa, allora dovrò scoprirlo da sola.
Mi alzo dal tavolo imbandito e mi allontano, iniziando a camminare avanti e indietro. Tendo le orecchie: la casa è silenziosa come sempre. Aspetto vari minuti, poi esco dalla stanza, guardandomi cautamente attorno. Non ho idea di dove siano Evan o Ermine, ma se dovessi incontrare uno dei due, allora sarei nei guai. Salgo la scalinata dell'ingresso e faccio per dirigermi verso la mia camera, ma un urlo improvviso richiama la mia attenzione. Mi fermo con la mano sulla maniglia della porta, guardandomi intorno.
Sembra provenire dall'altro lato del corridoio. Mi dirigo verso la fonte dell'urlo e mi trovo davanti la porta della stanza di Evan.
Un altro piccolo grido supera le pareti, seguito da una serie di gemiti soffocati. Il gelo mi pervade mentre resto ferma a fissare la porta. Poi, come se non fossi in me, allungo una mano e spingo la porta, la quale si apre su una scena che mi spezza in due contro la mia volontà. Un singhiozzo soffocato mi sfugge dalle labbra mentre guardo impotente Ermine, nuda fra le braccia di Evan. La sta  tenendo come ha fatto con me. È come se dell'acqua gelida mi avesse appena travolta.
Lo sguardo di Evan ricade su di me, mentre un rivolo di sangue gli scende dalle labbra. Lo asciuga con la lingua, tenendo i suoi occhi verdi incollati ai miei. Lascia andare Ermine e fa un passo verso di me. Indietreggio, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
- Non vi avvicinate! - urlo, poi mi volto ed inizio a correre. Devo andare via da qui. Non c'è più alcun motivo di restare.
Arrivo al portone d'ingresso, ma Evan mi si para davanti, sbarrandomi la strada.
- Lasciatemi andare - dico.
- Dove? Dove andrai? Non puoi andartene.
- Al contrario. Mi sono concessa a voi per salvarvi dalla maledizione, ma mi avete...- mi blocco. Tradita? Ingannata? Delusa? Cosa posso dire? Credevo di essere importante per lui. Di essere amata, anche se nella maniera più perversa e contorta possibile.
- Eravate con Ermine - mormoro.
- Non è nulla per me. Se non un passatempo.
- Come lo sono stata io - concludo, indignata.
- Non andartene. Non puoi - dice.
- Non voglio restare qui. Voi non potete essere salvato. Siete solo un mostro incapace di amare - sputo.
Pare essere stato schiaffeggiato.
Ne approfitto per spostarlo di lato e correre fuori. Percorro il lungo viale fino al cancello, dove una carrozza trainata da dei cavalli neri è ferma ad aspettarmi.
- Eleanor! - l'urlo di Evan è terribilmente vicino. Senza riflettere, salgo su e mi lascio cadere sui morbidi sedili. La carrozza parte e prima di allontanarmi troppo, mi volto a guardare dal finestrino il cancello dal quale sono appena uscita. Evan è lì, circondato da una nube nera nella quale si dimena disperatamente. Quando i suoi occhi rossi si fissano nei miei, mi allontano bruscamente dal finestrino, tirando la tendina nera.
Quando mi affaccio nuovamente, il paesaggio scorre rapido attorno a noi, mostrando le mie amate campagne londinesi. Le ruote della carrozza divorano la strada sterrata, finché non iniziamo a rallentare in prossimità di una dimora a me ben nota. Sono a casa. La gioia e l'incredulità mi pervadono con una forza sconosciuta, e salto giù dalla carrozza non appena essa si ferma. Non c'è nessun cocchiere. Come ho fatto ad arrivare fin qui?
Scuoto la testa per non pensare a questo, adesso. Mi affretto all'entrata e busso con tutta la mia forza. Una ragazza dai capelli neri apre la porta.
- Casa Donato. Come posso aiutarvi? La signora non è in casa.
- Alice - sussurro, con la voce strozzata per la forte emozione.
La ragazza alza gli occhi su di me e la sua bocca si spalanca, mentre la sorpresa è ben visibile sul suo volto.
- Signorina Eleanor! Dio vi benedica, è un miracolo! Come siete tornata? State bene? Entrate, forza - inizia a dire, spostandosi per farmi entrare. L'odore familiare di casa mi pervade le narici ed io prendo un respiro profondo. È una sensazione così bella...avevo dimenticato tutto questo. Cosa significa sentirsi a casa.
- Vostra madre è in città per delle commissioni. Tornerà a breve. Venite - informa Alice guidandomi verso la stanza di mia madre.
- Potete aspettarla qui. Sarà fuori di sé dalla gioia di riavervi qui. Lo sono anch'io. Non sapete quanto sono stata in pena per voi - dice prendendomi le mani.
- Oh, perdonatemi, parlo troppo. Sarete stanca. Povera ragazza, costretta al volere di...quell'uomo - esita, poi sospira. - È tutto finito, ora. Grazie al Cielo -.
Già, tutto è finito, ma qualcosa mi rende nervosa e non sono totalmente tranquilla. Nulla impedisce ad Evan di venirmi a cercare. E quando lo farà, mi troverà e allora mi ucciderà. Ho sperato di essere la ragazza che si sarebbe distinta per averlo salvato, quando invece sarò solo l'ennesima Donato morta per mano sua.

Fine.

Info:
Per chiunque volesse e per chi ha apprezzato la storia, il sequel è "Bleeding Roses".

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