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Un'ombra si staglia lungo la porta della stanza di Evan, assumendo poi l'aspetto di Clara.
- Eleanor, credo che tu sappia il motivo per cui sono qui - dice.
Annuisco, cercando di non distogliere lo sguardo dal suo volto.
- Ho preso una decisione. Voglio salvarlo dalla sua eterna dannazione - il mio tono è solenne. Il viso di Clara sembra contrarsi leggermente, mentre i suoi occhi appaiono tristi.
- Speravo che tu decidessi di andartene. Le cose si complicheranno, Elanor. Sei in un pericolo che tu non puoi neanche immaginare...non abbassare mai la guardia e non fidarti di nessuno, eccetto il signor Woods. Buona fortuna!
- Aspetta! - grido, ma lei è già sparita.

Inizio ad aprire gli occhi quando avverto uno strano dolore nella parte destra del collo. Quando realizzo che Evan sta bevendo da me, il mio primo istinto è quello di iniziare muovermi, spaventata, nell'intento di divincolarmi. Lui mi tiene ferma contro il materasso senza un minimo sforzo, continuando indisturbato a fare ciò che stava facendo già prima del mio risveglio, carezzandomi gentilmente la testa, come per calmarmi.
- Shh - mormora sollevando di poco la testa e passandomi un dito sulle labbra, schiudendole. Cala la bocca vorace su di esse e mi afferra il viso fra le mani, forti e possenti. Un gemito mi sfugge nella sua bocca e lui schiude le labbra in un sorriso, mostrando i canini. Mi morde il labbro inferiore e sento che ne sta succhiando il sangue, prima di fermarsi e passarmici la lingua sopra.
- Ben svegliata, Miss Donato - sussurra con una punta di ironia.
Va alla finestra e scosta le tende, permettendo così alla luce del sole già alto nel cielo di inondare la stanza. Strizzo gli occhi per abituarmici, poi lo osservo smarrita. Lo ha fatto per me?
- Sono a conoscenza di quanto tu soffra in questo posto per via della  poca luce e che preferiresti trascorrere il tuo tempo fuori di qui, perciò gradirei accompagnarti per una passeggiata in giardino, più tardi - dice, voltandosi verso di me.
- Ermine avrà già preparato qualcosa da mangiare per te, Eleanor. Va'. Ci vedremo appena avrai terminato -.
Mi sistemo il vestito e l'acconciatura, sperando di non risultare eccessivamente scossa allo sguardo silenzioso di Ermine. Sovrappensiero, passo due dita lungo i contorni dei suoi morsi sul collo. - Dovrei...dovrei andare così? - balbetto. Lui mi guarda, mentre un sorriso storto gli spunta sulle labbra ben definite. Diminuisce la distanza che ci separa fino a fermarsi direttamente davanti a me. I suoi occhi mi scrutano attentamente, diventando di un verde sempre più intenso, e non capisco se ciò sia dovuto al gioco di luci ed ombre nella stanza. Si posano sulla mia pelle offesa, poi allunga una mano e toglie gentilmente la mia per sfiorarmi i segni rossi con le sue dita. Sorride compiaciuto. Si china e deposita un lieve bacio su di essi, inumidendoli con la punta della lingua e soffiandoci sopra, causandomi una scarica di brividi di piacere. - I miei morsi sono marchi, Eleanor. Dimostrano il mio possesso e rivendicano ciò che mi appartiene - sussurra inchiodandomi con lo sguardo.
Deglutisco, riuscendo a rimanere immobile. - Anche se l'unica a poterti vedere qui è Ermine, deve comunque avere ben chiaro questo - soffia, sollevandomi di poco il mento, tenendolo fra le dita. China lentamente la testa e mi sfiora le labbra con le sue. Poi si scosta leggermente, arricciando la bocca e mostrando i canini. Un ringhio basso gli sfugge dalla gola e fa un paio di passi indietro, lasciandomi andare.
- Ci vediamo più tardi - dice, prima di voltarsi verso la finestra.

Entro nella sala da pranzo e mi siedo al tavolo, dove Ermine mi aspetta con la tavola imbandita. Le sorrido educatamente, ma non posso fare a meno di sentirmi notevolmente a disagio quando sento il suo sguardo su di me. Lo tiene incollato al mio collo ed io mi affretto a consumare il mio pasto e mi alzo di scatto, dirigendomi verso la grande scalinata all'ingresso. Esco fuori, crogiolandomi nel calore dei raggi solari, scacciando almeno in parte il freddo irrazionale che mi è penetrato fin dentro le ossa.
Faccio qualche passo, addentrandomi nei giardini. Ammiro ancora una volta la bellezza di queste siepi e, senza rendermene conto, giungo ai piedi della fontana, al centro del labirinto. Dopo ciò che accaduto l'ultima volta, non ho la minima intenzione di trovarmi qui, da sola, per poi scatenare l'ira di Evan. Un fruscio cattura la mia attenzione, paralizzandomi. Una macchia rossa ed indistinta che scorgo con la coda dell'occhio mi porta a voltarmi, ma non c'è nessuno. Deglutisco, mentre indietreggiando, cerco di fuggire da questo posto.
Qualcuno mi afferra da dietro per le spalle. L'urlo mi esce dalla gola prima che possa fermarlo, mentre due mani mi fanno voltare per guardare in faccia colui che si trova alle mie spalle. L'espressione seria del volto di Evan non mi fa presagire nulla di buono. Mi osserva a lungo, fissando il suo sguardo nel mio.
- Cosa stai facendo ancora qui, da sola? - chiede in un sussurro basso, con un velo di minaccia nella voce.
- Io...non era mia intenzione venire qui, è come se una forza oscura mi avesse attirata - balbetto.
La sua mascella ha un guizzo ed il suo sguardo scivola lentamente da me per studiare le siepi circostanti.
Annuisce piano, come a voler dimostrare di credere alle mie parole. Sollevata, rilasso le spalle.
- Sono qui, adesso - dice, afferrandomi un braccio e tirandomi a sé. Passa una mano fra i miei capelli, carezzandomi la testa brevemente. Emette un ringhio basso mentre preme il petto contro di me.
- Andiamo - mormora a denti stretti. Posso percepire la tensione in ogni sua parola, ogni suo gesto e, quando sollevo di poco la testa per guardarlo, essa è ben visibile anche sul suo volto dai lineamenti quasi angelici, ma che ora hanno assunto una sfumatura demoniaca. Mi trascina con sé fuori dal labirinto di siepi e sono costretta a correre per mantenere il suo passo. - Cosa succede? - chiedo, ma non risponde e si limita ad accelerare il passo, fermandosi soltanto una volta davanti il portone d'ingresso della villa. - Evan, che succede? - ripeto, con il respiro affannoso per la breve corsa. - Entra - ordina, lanciando un'occhiata al di là della mia spalla. Tento di protestare, ma non me lo permette, spingendomi dentro e chiudendo le porte non prima di aver dato una seconda occhiata al giardino apparentemente vuoto e silenzioso.

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