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Ermine ci aspetta in piedi sulla grande scalinata principale.
-Ermine- la voce di Evan riempie la stanza.
-Cosa fai qui?
-Signore, io...-
Evan fa un gesto della mano.
-È pronto ciò che ti ho chiesto?
Lei annuisce, poi ci lascia soli, ed Evan la segue poco dopo, senza dire una parola.
Dato che non possiedo le chiavi della mia stanza, non sapendo dove andare, mi affretto anch'io al seguito di Ermine e di Evan, cercando di essere il più possibile discreta.
Mi ritrovo in un nuovo corridoio, giungendo davanti ad una porta socchiusa che deduco sia la stanza di Ermine.
Da lì provengono la sua voce sommessa e quella possente di Evan.
Si sta sforzando di non urlare. Lo posso capire. Si sta sforzando di non peredere la pazienza.
-Solo questa...- continua a ripetere.
Mi accosto ancora di più alla porta, cercando di sbirciare.
Evan tiene in mano una boccetta di vetro, che scaglia contro il muro in preda ad uno scatto d'ira improvviso. Il rumore del vetro in frantumi viene sopraffatto dal suo grido.
Sobbalzo, spaventata. Quando capisco che il contenuto della boccetta era del sangue, trattengo a stento i conati di vomito.
Evan va verso Ermine e, quando le mostra i canini bianchissimi, do già per scontato ciò che le accadrà.
E invece, le afferra il volto fra le mani e la bacia. Sono così stupita che non emetto un suono. Quando si scosta da lei, Evan affonda i canini nel suo collo ma, dai gemiti che lancia Ermine capisco che deve essere piacevole.
Sono sconvolta. E disgustata. Come diavolo fa a piacerle una cosa del genere? Lo troverà forse eccitante? Arrossisco, vittima dei miei pensieri.
Decido di non voler vedere altro. Nel profondo di me sapevo già come sarebbe andata a finire, ma vedere Ermine nuda nel letto di Evan mi ha causato comunque una fitta al cuore.
Perché avrebbe dovuto importarmi? Lui è un mostro senza cuore, spietato e sanguinario, nonostante il suo comportamento di poco fa, alla fontana.
Ripensando a quella scultura, mi pervade uno strano senso di angoscia.
Improvvisamente, gli occhi rossi di Evan si fissano nei miei. Immediatamente - forse per una questione d'istinto di sopravvivenza - inizio a correre lungo il corridoio parzialmente illuminato, ma so perfettamente che la mia fuga è sciocca ed inutile: lui può afferrarmi da un momento all'altro.
Infatti, poco dopo mi prende da dietro, avvolgendomi le braccia attorno alla vita.
-Non è educato spiare le persone, Eleanor- sussurra minaccioso nel mio orecchio.
-Voi non siete una persona- sputo, trovando il coraggio.
Ride seccamente. -Tu lo sai molto bene questo, non è così? Dimmi perché ci hai seguiti- ordinò.
-Vi ricordo che avete sequestrato le chiavi della mia stanza, per questo motivo vi ho cercato- mento in parte.
-Davvero? Bene, perché non le avrai se è così. Stanotte dovrai venire da me, mia cara Eleanor-.
Sparisce nel buio, con la sua risata.
Passo l'intero pomeriggio camminando nervosamente per i corridoi della villa, perdendo più volte l'orientamento. Sono costretta a rimanere dentro casa, alla luce fioca delle candele, poiché ogni mio tentativo di raggiungere il giardino ed il grande cespuglio di rose non è mai andato a buon fine, ma sempre stroncato sul nascere. Ogni tanto incontro Ermine, la quale mi osserva silenziosamente. Con la sua esile figura sembra quasi uno spettro. Credo mi segua. E credo mi tenga d'occhio per conto di Evan. Rabbrividendo, mi fermo.
-Dovrò aspettare ancora per la cena?- chiedo, rivolgendomi alla cameriera nel tono più distaccato possibile. Non voglio che capisca come mi tremi la voce.
-Sarà pronta a momenti, se volete seguirmi...
Ermine mi precede con le mani strette l'una nell'altra dietro la schiena ed insiemi giungiamo nella sala da pranzo.
-Accomodatevi pure. Il signor Woods purtroppo non cenerà con voi, ma vi aspetta nella sua stanza non appena avrete terminato il vostro pasto.
Deglutisco, pensando inevitabilmente a ciò che mi si prospetta di qui a poco.
Lo stomaco mi si chiude e non ho più voglia di mangiare, ma cerco di mettere in bocca quanto più pane possibile per rimandare il mio triste destino.
-Ho finito qui- dico, alzandomi con riluttanza.
-Vi accompagno dal signor...- inizia Ermine, ma la interrompo:
-No. No, ti ringrazio. Andrò da sola.
Camminando lentamente per i corridoi, cerco di placare il battito frenetico del mio cuore, che però non accenna a diminuire quando poso la mano sulla maniglia della porta della stanza di Evan Woods.
-Eleanor- sussurra lui non appena mi vede entrare. Mi blocco sulla soglia, rimanendo accanto alla porta.
-Vieni qui.
Indica con la mano il letto sul quale è disteso. Indossa un paio di pantaloni ed una camicia bianca sbottonata sul petto.
Nonostante abbia utilizzato un tono di voce suadente, non mi muovo: so benissimo che in realtà sta solo fingendo.
-Avanti, non avere paura- ghigna.
Sbuffa, dal momento che non c'è nessuna reazione da parte mia.
Improvvisamente me lo trovo davanti, la mano destra posata al lato della mia testa. Emetto un verso strozzato per la sorpresa.
-Sai, Eleanor, non ho gradito molto il tuo spiare me ed Ermine durante un momento così...intimo- sussurra, ed io sento il suo fiato sul viso.
È gelido come una notte nel mezzo della stagione invernale.
È gelido come il vento.
È gelido come la morte.
-Ma non voglio propriamente vendicarmi...voglio solo divertirmi un po' e passare la mia notte con te.
-Cosa?- tento di indietreggiare, inutilmente. Sono scioccata.
-Ditemi che non...- provo.
-Ssh- mi ammonisce tracciando con un dito il profilo delle mie labbra.
Si avvicina e mentre sorride scopre un canino.
-Vi prego...- mormoro in un ultimo tentativo, prima che ogni mia protesta venga messa a tacere dalla sua bocca sulla mia. Un dolore lancinante mi fa spalancare gli occhi già aperti in un'espressione di terrore e, quando Evan fa un passo indietro vedo le sue labbra di un rosso vivo. Istintivamente, passo due dita sulle mie labbra e scopro che sono coperte di sangue.
-Che avete intenzione di fare?- domando tenendomi la mano sulla bocca.
-Siete impaziente, Miss Donato, ma non preoccupatevi: siamo ancora agli esordi di questa lunga notte che si prospetta.
Il suo orribile ghigno è l'ultima cosa che vedo, prima di perdere conoscenza.

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