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Un lieve bussare alla porta della mia stanza mi fa spalancare gli occhi, impaurita.
Mi avvicino, e lentamente, poso una mano sul pomello.
-Miss Donato, sono io- sento la voce di Clara -potete aprire la porta?-.
Faccio come dice.
Lei mi fa un sorriso, anche se timido.
-Sono venuta per informarvi che la colazione è pronta- dice -preparatevi; io vi aspetterò qui fuori. Ho il compito di accompagnarvi personalmente-.
Annuisco anche se poco convinta, poi mi dirigo verso l'enorme armadio in legno scuro, lo apro.
Stupita, osservo ogni capo ed accessorio riposti con estrema cura su ogni mensola.
Scelgo un abito bianco, stretto in vita da una sottile fascia dello stesso colore.
-Mangiate con calma, tornerò tra poco- Clara mi lascia nella sala da pranzo.
Mi siedo allo stesso posto di ieri sera, inizio a mangiare senza un reale entusiasmo.
-Buon giorno, Miss Donato- Evan entra nella stanza poco dopo.
Alzo lo sguardo su di lui, poi lo volto dall'altra parte.
Mi fissa a lungo.
-Deduco che non avete ancora aperto il mio regalo-.
-Sinceramente- ribatto io -non nutro alcun interesse nel farlo-.
Lui arriccia le labbra, pare innervosirsi temporaneamente.
Fortunatamente, ritrova subito la calma.
Si avvicina, posa una mano sul tavolo sporgendosi verso di me.
-Mi sembra di averti detto- sussurra -di non farmi arrabbiare-.
Deglutisco guardandolo negli occhi.
Ancora una volta, mi pare di scorgere qualcosa di strano, in essi.
-Vi aspetto all'ingresso principale tra venti minuti- alza la voce e si allontana -a dopo, Miss Donato-.
Venti minuti dopo, sono nel posto stabilito.
Evan compare con un sorriso stampato in volto.
-Complimenti per la scelta del vestito. Candido come la neve, puro come il vostro cuore-.
Indietreggio.
-Grazie- riesco a balbettare.
Mi posa una mano sulla bassa schiena mi sospinge in avanti, fuori dalla casa, nel giardino.
-Dove mi state portando?-.
-Vi piacciono le rose, da quanto ricordo. Vi sto portando a far vedere le mie-.
Arriviamo di fronte una grande siepe verde e cosparsa di rose.
Sono meravigliata.
-Ma...- inizio -voi avevate detto che nel vostro giardino c'erano solo rose bianche-.
Rimane in silenzio, così mi volto verso di lui.
Uno strano sorriso gli increspa le labbra piene.
-Infatti- dice infine.
Lo osservo, non capendo cosa intende.
-Ma...queste sono rosse-.
Lui mi inchioda con il suo sguardo, mantendendo sempre un sorriso enigmatico sulle labbra.
Poi, i suoi occhi ricadono sulla collana che mia madre mi ha regalato e che porto al collo.
Piega le labbra.
-Ah, vi prego di sbarazzarvene- la indica con un lieve gesto -e di aprire il mio regalo; è la buona educazione-.
-Perchè dovrei?- ribatto immediatamente -è un regalo di mia madre; è l'unico oggetto che mi ricorda la mia famiglia, la mia vita!-.
-Tua madre ti ha concessa a me- alza il tono della voce -e non osare mai più nominare la tua famiglia o parlare del tuo passato, altrimenti prenderò dei provvedimenti. Sono stato fin troppo gentile con te-.
Detto questo, se ne va, lasciandomi davanti alla siepe di rose rosse.
Torno in camera, passo davanti al mio riflesso nello specchio.
La mia pelle è più pallida che mai, le labbra carnose e rosee.
Lentamente, mi tolgo la collana regalatami da mia madre.
Recupero la scatolina di velluto nero contenente il regalo di Evan e la apro, senza il minimo entusiasmo.
Sfioro con le dita il fermaglio per capelli di un rosso vivace; la forma rimanda a quella di una rosa.
Indosso un nuovo vestito e mi sistemo i capelli con il fermaglio datomi da Evan.
Scendo al piano di sotto, percorro i corridoi della villa buia e silenziosa.
Non incontrando nessuno sulla mia strada, esco in giardino e mi dirigo verso la siepe di quest'oggi.
Mi avvicino alle rose, rosse come il sangue.
Allungo una mano per sfiorarne i petali, ma mi blocco all'istante, quando sento Evan tuonare:
-Non toccarle-.
Mi ritraggo subito, spaventata da una sua possibile reazione negativa.
Mi guarda serio, poi tende il braccio destro verso di me, porgendomi la mano.
-Andiamo, la cena è pronta. Stasera mangerai con me-.
Titubante, la afferro; non posso fare altro che ubbidirgli al momento.
-Noto con piacere che hai tolto la collana, per mettere il mio regalo-.
Mi sfiora con un dito i capelli, trattenuti dal suo fermaglio.
-È di tuo gradimento?-.
Sembra aver abbandonato del tutto la formalità, adesso.
Annuisco lievemente.
Ci sediamo al tavolo uno di fronte l'altra, lui al capotavola opposto al mio.
Tiro un sospiro di sollievo vedendo la distanza che ci regala la lunga tavolata.
Evan mi scruta attentamente, prende il suo calice riempito di liquido rosso e lo porta alle labbra, con gesti armoniosi.
Lo imito nel gesto, ingoio il contenuto del mio calice, di un rosso meno intenso.
-Posso fare qualcosa per voi, signore?-Clara entra nella stanza, si avvicina ad Evan.
Lui la guarda, un sorriso malizioso sulle labbra.
-No. Grazie, Clara. Hai già fatto molto-.
Lei fa un cenno, poi si volta per andarsene, ma lui la ferma.
-Anzi no- dice -ti piace questo vino?- si rivolge a me, ed io annuisco, ancora lievemente intimorita.
-Sì, è molto buono-.
Lui sorride compiaciuto.
-Bene, allora. Clara, per favore, portane un'altra bottiglia-.
La ragazza sparisce subito, affrettandosi a portare a termine il suo incarico.
Poco dopo torna con in mano la bottiglia di vino, la posa sul tavolo.
-Puoi andare, adesso, Clara. Hai bisogno di riposare-.
Sospira.
-Hai finito di mangiare?- chiede dopo un po' rivolto a me.
Io annuisco, mi pulisco delicatamente la bocca con il tovagliolo di stoffa.
Evan si alza, mi tende nuovamente la mano.
Stavolta, però, la rifiuto, allora lui mi posa una mano sulle spalle e mi conduce attraverso i corridoi bui.
-Perché sono sempre così tetri gli ambienti di questa casa?- domando.
-Il buio è un fedele alleato- risponde solamente, lasciandomi piuttosto perplessa.
Imbocchiamo un corridoio che non mi sembra di avere mai percorso, ci addentriamo sempre di più nell'oscurità.
-Dove stiamo andando?- chiedo allarmata.
Evan stringe la presa sulla mia spalla.
-Ho pensato ti facesse piacere farmi un po' di compagnia nella mia stanza-.
Come?
-Nella vostra stanza?- esclamo impaurita.
Lui si apre in una risata cristallina.
-Oh, tranquilla. Non ti fidi di me?-.
-Certo che non mi fido di voi!- urlo.
Ripenso a ciò che è successo ieri notte.
Perché Clara mi ha intimato di chiudere la porta a chiave?
-Non urlare- ringhia Evan.
Ammutolisco, mentre ci fermiamo davanti ad una porta di legno massiccio.
Entriamo nella stanza, che intuisco sia la sua.
Una torcia appesa alla parete rischiara l'ambiente, ammobiliato elegantemente.
Il letto, enorme, padroneggia l'intera camera con la sua posizione centrale.
Evan chiude la porta a chiave.
Mi volto di scatto.
Lui si avvicina, strane ombre sono proiettate sul suo volto dalla luce della torcia.
Indietreggio instintivamente.
Vado a sbattere contro il muro accanto al letto, ed in poco tempo, Evan è davanti a me.
Allunga una mano e mi scioglie i capelli togliendomi il suo fermaglio, senza smettere di guardarmi negli occhi.
Avvicina il viso al mio, lo nasconde nell'incavo del mio collo.
-Vi prego- mugolo -non fatemi del male...-.
-Shh- mi interrompe.
Il mio respiro si fa pesante, al ritmo del battito cardiaco accelerato.
Ritrae il suo volto per guardarmi negli occhi.
Urlo vedendo i suoi.
Sono rossi come le fiamme ardenti dell'Inferno; sono gli occhi di un mostro sanguinario.
-Cosa siete?- grido tentando di fuggire, ma lui mi blocca ogni via di uscita.
-Eleanor...mi pare di averti detto che mi dà fastidio quando mi si urla contro-.
Improvvisamente ricordo alcune leggende che mia madre mi raccontava prima di andare a dormire.
-Siete...siete un vampiro?- tento di mantenere la calma.
Lui tace.
-È per questo che Clara era piena di sangue quando sono arrivata qui. Quella povera ragazza, lasciatela in pace!-.
In men che non si dica, lui mi afferra e mi sbatte con violenza alla porta della sua stanza.
-Smettila di farmi perdere la pazienza e ritieniti fortunata, perché sto facendo di tutto per controllarmi. E se smettessi di agitarti e magari ti calmassi, non tenterei di divorarti ad ogni tua minima pulsazione-.
Mi inchioda con i suoi occhi di fuoco.
Deglutisco.
-E comunque- aggiunge -la "povera" ragazza Clara, come dici tu, si concede a me di sua spontanea volontà-.
-Ma io non mi sono concessa a voi di mia volontà!-.
Lui si passa una mano sul viso, mentre emette un sospiro infastidito.
-Poco importa- dice secco -l'importante adesso è che tu sei qui, a mia completa disposizione. Non dimenticarti che noi siamo stati promessi, in un certo senso-.
-Ed ora, ti sarei grato se mi facessi assaporare un po' del tuo sangue, Eleanor- sussurra soave.
Mi allontano da lui.
-No- dico secca.
Lui serra le labbra, i canini appunti ed in massima estensione fuoriescono dalla sua bocca.
-Forse non hai capito- scandisce -questo è un ordine e come tale, esigo che sia esaudito-.
-Non sono la vostra serva e non vi darò mai il mio sangue!- urlo.
Con un ringhio basso, mi afferra per un polso bruscamente.
-Ne sei sicura? Perché non hai molta scelta. Io ottengo sempre ciò che voglio e come lo voglio. Non vuoi farmi bere il tuo sangue di tua spontanea volontà? Non importa. Lo berrò lo stesso, con la forza, e sappi che farà molto più male-.
Avvicina la sua bocca al mio collo.
-Lasciami!- grido disperatamente -aiuto! Qualcuno mi aiuti!-.
Lo sento ridere.
-Sì, fai pure. Invoca aiuto, tanto non verrà nessuno in tuo soccorso. Clara non può nulla contro di me-.
Continuo a dimenarmi, così lui mi solleva di peso e mi getta sul letto, dove mi blocca i polsi sopra la testa.
Scuoto la testa tentando di ribellarmi, ma inutilmente.
La sua bocca ora è sul mio collo, sento il suo fiato caldo solleticarmi la pelle.
-Sei qui per un preciso motivo, Eleanor, ed io intendo portare a termine il mio compito-.
Urlo quando sento i suoi canini affilati penetrarmi con forza, il dolore è insopportabile.
Un bruciore mi pervade la pelle mentre lui beve avido, assetato e spietato.
Stringo gli occhi e serro i denti, tentando di ignorare questo dolore così intenso.
Dopo un tempo che pare infinito, finalmente lui si stacca da me, si rialza dal letto e si ricompone, lisciandosi gli abiti.
Rimango distesa, ancora piuttosto provata.
Porto due dita al collo, le guardo.
Sono imbrattate del mio sangue.
Mi alzo a fatica, fisso il mostro che si trova davanti a me.
Adesso i suoi occhi sono diventati normali, ed un sorriso soddisfatto gli sfiora le labbra, adesso scarlatte come il rivolo che scende da un lato della sua bocca.
-Visto? Ottengo sempre ciò che voglio- dice.
Mi sento umiliata profondamente, violentata e deturpata.
Mi alzo in piedi, mostrando tutto il coraggio che mi è rimasto.
-Siete solo un mostro viziato-.
-Mostro viziato?- ride.
-Me ne vado- dico avanzando verso la porta, ma lui mi sbarra la strada, senza fatica.
-Dove state andando, madame?- mi deride.
-Avete avuto il mio sangue. Lasciatemi andare- ribatto aggressiva.
Lui sogghigna.
-Il sangue non è l'unico piacere a cui mi concedo- sussurra -e poi, decido io quando te ne potrai andare-.
-Questo non lo potete fare!- urlo.
Lui emette un suono infastidito, poi cerca di mantenere la calma.
-Ti ho già detto di non urlare, né di alzare la voce con me. Lo odio profondamente-.
Mi fa sedere sul letto nuovamente, ed io non posso fare altro che ubbidirgli.
Si china su di me, volto il viso dall'altra parte.
-Eleanor- dice -guardami-.
Reprimo le lacrime che minacciano di rigarmi il viso, non lo ascolto.
-Eleanor, ti ho detto di guardarmi-.
Non lo faccio.
-È un ordine!- esclama allora lui perdendo la pazienza.
Rivolgo il mio sguardo nel suo, infuocato e rosso come il sangue.
Si pulisce con la mano il rivolo scarlatto al lato della sua bocca, lecca le dita.
-Mi ero dimenticato di pulire la bocca, che maleducato...-.
-Cosa volete da me?- sussurro con rabbia.
-Oh, è ancora presto per dirvi questo, Miss Donato-.

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