Heartless

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Nella mia vita possiamo dire che non c'è stato mai stato un singolo istante in cui abbia potuto dire che faceva meno schifo. Ricordo per esempio la vigilia di Natale di quando avevo dieci anni. Io e mia zia ci recammo al Queen Victoria Markets, un grande negozio all'aperto famoso in tutta Melbourne per acquistare alcuni addobbi natalizi, quando al momento del pagamento di alcune palle di natale si ricordò di aver dimenticato i soldi a casa. Ricordo il momento in cui si guardò spaesata e chiese sottovoce al venditore se potesse barattare la mia collana con una stella come pendente, con le sue "palle" natalizie. Per fortuna il venditore le disse di no e mia zia se ne andò di lì sbraitando contro il poveretto accusandolo di non capire nulla sul commercio. Oppure quella volta in cui mia nonna Gilda mi offrì delle caramelle all'arancia e dopo averle mangiate mi disse che le dovevo cinque dollari. Quelle caramelle tra l'altro erano anche senza zucchero. O quell'altra volta in cui mio padre mi chiese a soli sei anni di andargli a comprare il rotolo di carta igienica perché era rimasto bloccato in bagno e non poteva uscire.

E ora mi ritrovo invece a bussare alla porta dello studio del signor Jenks.

"T.Jenks." dice l'insegna sulla sua porta.

A venirmi ad aprire alla porta è una donna sui trent'anni. Porta i capelli castano chiaro raccolti in una coda di cavallo ordinata e una camicetta lilla abbinata ad un paio di jeans chiari.

"Salve, si accomodi" mi saluta cordialmente e mi indica di aspettare il mio turno in una piccola sala d'attesa con le pareti azzurre e qualche quadro appoggiato qua e là. Mi siedo su una delle sedie di plastica grigia e mi guardo intorno. A cinque sedie da me è seduta una ragazza poco più grande di me con i capelli per metà neri e l'altra parte azzurra con un piercing sul sopracciglio. Seduta alla seconda sedia di fronte alla mia è seduta con sua madre accanto, una bambina che credo potrebbe avere dieci anni che si stritola le mani in movimenti nervosi. Mi guardo ancora attorno ringraziandomi mentalmente per non aver permesso a mia madre di venire qui con me e continuo a ispezionare la stanza. Mi accorgo poi di essere fissata da un ragazzo seduto all'ultima sedia. Ha i capelli castani corti con qualche riccio mosso e gli occhi di un azzurro intenso. Porta una felpa larga, nera, molto simile ala mia e gli skinny jeans neri che gli fasciano le gambe. Lo fisso anche io con sguardo di sfida e anche lui fa la stessa cosa con me squadrandomi da capo a piedi. Subito dopo distoglie lo sguardo estraendo dalla tasca degli skinny il cellulare guardando lo schermo con una espressione irritata. Ha si e no la mia età. Distolgo a mia volta lo sguardo, pregando di uscire il prima possibile di lì, da quella stanza infernale. Quando la porta si apre la segretaria con la camicetta lilla fa entrare la bambina con sua madre all'interno dello studio. Spero arrivi subito il mio turno. Ora nella stanza resto solo io, il ragazzo e l'altra ragazza. Sbuffo rumorosamente e noto dalla finestra il cielo tuonare. Grandioso, ora come ci ritornavo a casa?

Dopo quella che mi risulta un'eternità, finalmente mamma e figlia escono di lì ed entra la ragazza dai capelli colorati.

Meno uno. Finalmente dopo il ragazzo sarei entrata io. Gli rivolgo un'altra occhiata e lo becco a fissarmi. Giro la testa da un'altra parte e sento piano piano nella stanza di Jenks il suono di un pianto. Aggrotto curiosa le sopracciglia, poi piano piano la voce si attenua  e dopo poco tempo anche lei esce di lì.

"Mins"

Chiama la donna e il ricciolino si alza e si chiude la porta alle spalle.

Meno zero. Riesco già a sentire i fuochi d'artificio esplodere nel cielo nel momento stesso in cui sarei riuscita a scappare da qui.

"Smith"

Finalmente tocca a me. Entro senza esitazione e mi sbatto la porta alle spalle. La segretaria esce dalla stanza per lasciarmi con Jenks.

Le pareti dello studio a differenza di quelle della sala d'aspetto, sono di un marrone molto chiaro. Il dottore è  seduto su una sedia in legno e sfoglia alcuni fogli posti sulla scrivania in mogano.

Mi schiarisco la voce e subito l'uomo dai capelli chiari alza la testa dai fogli.

"Oh buongiorno. Siediti pure"

Jenks si sistema meglio gli occhiali.

"Piacere sono Thomas Jenks"

"Si già lo so" rispongo.

"Bene. Alissa. Perché sei qui?" mi chiede.

"In realtà non lo so, me lo dovrebbe dire lei. Cosa le ha detto mia madre?" Alzo le spalle e lui ridacchia.

"Non mi interessa quello che dice tua madre. Io sto parlando di te" mi dice osservandomi con i suoi occhi scuri.

"Bhe, già il fatto che lei mi prenda in considerazione, è un punto a suo favore" dico poi io.

"Allora parlami un po'di te" appoggia le braccia sulla scrivana fissandomi.

"Non pensi che si venuta qui per questo" gli rispondo poi continuo assottigliando gli occhi ,"Sono venuta qui solo per far felice mia madre non per parlare dei miei problemi ad uno sconosciuto".

"Oh, ma io non sono uno sconosciuto. Degli sconosciuti non sai neanche il nome mentre il mio lo sai" dice allargando le braccia.

Mi sfugge un sorriso che cancello immediatamente.

"Le dirò solo tre cose su di me per oggi, anche perché penso che mia madre le abbia raccontato in parte la tragica storia. Mi chiamo Alissa Smith, ho diciassette anni e la mia vita fa tanto schifo" sorrido. Un sorriso di quelli privi di emzioni.

"Ci vediamo domani Alissa" mi saluta Jenks.

"Grandioso" gli rispondo con ironia e lui ride.

La stanza d'aspetto è vuota e al contrario di prima i lampi si sono trasformati in una violenta pioggia.

Esco dallo studio e prendo dal pacchetto una sigaretta. L'accendo e solo quando soffio il fumo mi accorgo che quel tale, Mins, è seduto sugli scalini dello studio. Mi siedo sullo scalino più alto e continuo a fumare in silenzio aspettando che smetta di piovere.

"Non sei una di molte parole" mi dice il tizio.

Butto fuori il fumo.

"Wow sei un genio" lo guardo.

Sghignazza, poi tira fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di sigarette e ne prende una.

"Hai un accendino?" mi chiede.

"No, guarda ho acceso la mia sigaretta con uno sputo"

"Molto divertente, davvero" dice con una risata ironica mentre gli accendo la sigaretta.

"Grazie" dice e io non rispondo, mi limito a finire la sigaretta e quando finisce la calpesto al suolo.

Mi alzo dal gradino pulendomi i jeans e alzandomi il cappuccio. Fa niente, raggiungerò casa a piedi.

Scendo anche gli altri gradini e mi incammino.

"Hey!" mi richiama una voce.

"Cosa vuoi?" chiedo voltandomi.

"E' stato un piacere parlare con te" sghignazza.

"Già" alzo gli occhi al cielo voltandomi e ripercorrendo la strada inversa per ritornare finalmente a casa.

Hey mi scuso per la  lunga assenza per chi legge questa storia ma non ho avuto ne tempo ne ispirazione.

In questo capitolo non è saltato fuori nessun rimorso, magari nel prossimo. Mancano pochi minuti al 2017 quindi vi faccio gli auguri per un felice anno nuovo. Spero abbiate passato un buon natale.
Detto ciò al prossimo aggiornamento,  molto probabilmente il 3 gennaio.

Giada.

Per qualsiasi cosa:
Istagram: @giada.sabino
Twitter: @giadasabino

Ho postato in più il trailer di Drug-drogata del tuo sorriso su You tube, per vederlo vedete la storia.

Lasciatemi un vostro parere su questo capitolo è come al solito

#Allthelove e buon anno nuovo❤

Smoking kisses (#Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora