Capitolo ottavo: Mina deve morire.

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Mi sono ubriacata più di una volta, lo ammetto. La prima volta l'avevo passata tutta a vomitare piegata in ginocchio nel bagno di un mio amico, mentre Rebecca rideva come se piovesse, reggendomi la fronte. La seconda e quelle a venire erano state migliori, certo, ma tutte con un fattore comune: non ricordavo nulla di ciò che avessi fatto. Ecco, essere posseduta da un demone era più o meno la stessa cosa.

Appena aprii gli occhi sentii un improvvisa voglia di vomitare e di svenire allo stesso tempo, ma preferii resistere alle tentazione di entrambe e scuotere un po' il capo per schiarirmi le idee. Avevo la vista fin troppo annebbiata e preferii così tenere le palpebre abbassate, non osando alzare lo sguardo. Ero riversa su di un pavimento sconosciuto, ed ovviamente non ricordavo nulla di quanto mi fosse successo. Sapevo perfettamente cosa fosse accaduto nella periferia di Eugene, ma dopo di ché avevo il buio più totale. Mi chiesi quanto tempo fosse passato da allora, ritrovandomi poi a sperare di ritrovarmi sempre in quella piccola città abbandonata e di aver "dormito" solamente per un'ora o due. Non riuscendo a tenere gli occhi aperti, mi rimisi faticosamente in piedi, barcollai fino alla parete più vicina e ripresi fiato, tremando. Dentro di me sentivo una sensazione che per più giorni sarebbe rimasta: freddo. Come se Abaddon avesse preso possesso del mio corpo e non avesse fatto altro che spargere ghiaccio ovunque. Rabbrividivo in continuazione e, nonostante provassi più e più volte a scaldarmi circondandomi il petto con le braccia, non serviva a nulla. Inoltre, avevo terribilmente sonno. Non credevo che Abaddon avesse bisogno di dormire, quindi con tutta probabilità era normale che mi sentissi così stanca. Alzai per un momento lo sguardo, sfidando lo bruciore dei miei occhi, e mi trattenni dal lanciare un grido: le pareti erano coperte di sangue. Non so come feci, ma riuscii a mantenere la calma e a non dare di matto, anche quando mi accorsi che ad essere coperta di sangue lo ero anche io. Deglutii piano e rilassai le spalle, costringendomi a fissare le chiazze rosse sulle pareti e a ripetermi cosa fossero finché il loro significato non divenne un concetto astratto. Sangue, sangue, sangue, pensavo, percorrendo la stanza e studiando le macchie, insomma, ce lo abbiamo tutti. Lo perdiamo tutti. Dopo essere stata posseduta da un Cavaliere Infernale, la vista del sangue non poteva spaventarmi. O almeno, così mi piaceva pensarla. Come ebbi modo di constatare, la casa era piccola ed abbandonata, forse mai abitata. Avevo una gran sete e fame nonostante fossi convinta del fatto che, appena toccato cibo o acqua, lo avrei vomitato del tutto. Muovendomi lentamente arrivai alla porta d'ingresso e per un momento ebbi il terrore di trovarla chiusa, ma per una volta ebbi fortuna. La aprii con facilità e mi accorsi che dava su di una foresta. Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi del perché Abaddon avesse voluto lasciarmi proprio lì, il che generò un'altra questione: perché se ne era andata? Vuoi davvero saperlo, Mina? Mi risposi che no, non ne avevo poi così tanta voglia, e mi affrettai ad uscire da quella casa. Scesi le scale del piccolo portico e seguii semplicemente le indicazioni che trovai mano a mano per uscire, capendo poco dopo di trovarmi nella Louisiana, vicina al confine dell'Arkansas. Dopo qualche minuto mi bloccai, sentendomi colpita da un'improvvisa angoscia: come avrei fatto per tornare in Kansas? Inoltre, mi veniva anche difficile ricordare la zona esatta del Bunker dei fratelli, e non potevo di certo chiedere in giro. Sospirai tristemente, decidendo di continuare a camminare, senza rendermi conto dell'avvicinarsi della notte. Quando essa calò, era ormai troppo tardi per tornare indietro, e non mi rimaneva altro da fare se non continuare ad andare avanti, sperando di uscire di lì al più presto. Più volte mi passò per la mente l'idea di fermarmi ed aspettare che si facesse giorno, ma più tempo passavo in quel posto, più mi sentivo osservata. Di notte, in una foresta si sentono i rumori più impensabili. Per un momento credetti di avere troppa immaginazione, o che magari lo shock mi stava facendo sentire suoni che in realtà non erano veri. Sentire dei passi o degli ululati strani era un conto, ma addirittura delle grida e degli animali ringhiare era tutt'altro. Torna indietro, continuava a sussurrarmi una voce, se corri e ti chiudi in quella casa sarai al sicuro, e non potevo certo darle torto. Ma, da una parte, tornare indietro avrebbe significato passare più tempo in quella foresta, ed era quella l'ultima cosa che avrei mai voluto. Avendo tutto il tempo a disposizione, ma soprattutto per evitare di concentrarmi sui rumori sinistri, decisi di riordinare le idee e di stilare una scaletta delle cose da fare entro la fine dei miei giorni:

This must be fake mine! [SOSPESA]Where stories live. Discover now