Capitolo quarto: lo ZOO di Crowley.

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Da quello che avevo capito e da quello che Ezechiele mi aveva detto, Sam non doveva sapere di essere posseduto da un angelo. In un primo momento mi ero detta: "ehi, okay, e allora?" Insomma, cosa me ne importava? Neanche sapevo come facesse di cognome quell'uomo, perché mai avrei dovuto dirgli che un angelo dal nome improponibile era nel suo corpo? Dean e l'angelo mi persuaderono quindi a non toccare mai l'argomento, per poi passare ad altre faccende.

Tipo alla mia presenza.

Jensen non si era mostrato entusiasta, anzi: era piuttosto incazzato. A ripensarci, anche io non ero poi stata così intelligente. Insomma, mi ero fatta teletrasportare in una serie tv mai vista prima e di cui avevo solo sentito parlare le rare volte in cui prestavo ascolto a Rebecca, dato che lei ne parlava continuamente e senza mai tacere. Il pensiero della mia amica senza anima sdraiata nel suo letto mi fece rabbrividire. Ezechiele si rintanò in chissà quale angolo scuro nella mente di Jared, il quale, dopo essere tornato in sé, si guardò intorno sconvolto. Prima che potesse fare domande Jensen gli disse che, proprio quando i demoni ci stavano per saltare addosso, una luce aveva avvolto la stanza e ci aveva teletrasportati tutti lì. Mi era sembrata la cazzata più brutta mai detta nella storia della cazzate, ma per Jared le parole del collega avevano un senso e quindi lasciai correre.

<<Siamo tornati nel mondo reale?>> chiese Jared ancora una volta, aggrottando le sopracciglia. Jensen annuì e sospirò di sollievo, incrociando le braccia al petto <<Allora perché lei è qui?>>

<<Guarda che ti sento.>> mi intromisi io, mettendomi tra i due ed evitando di alzare gli occhi al cielo. Dietro di lui, vidi Jensen guardarmi in cagnesco, e capii che la mia parte era arrivata. "Inventati delle stronzate", mi aveva detto Jensen, tranquillo, "Quanti anni hai, tredici? Ti verrà naturale." Lo avevo corretto dicendogli che ne avevo diciotto, per poi fare spallucce. Mi era sembrato facile, a chi non lo sarebbe sembrato? Insomma, siamo tutti bravi a mentire ai genitori, ai professori e ai compagni di classe. Ma mentire a quei due attori non era così facile come avevo previsto. Se solo fossi stata più attenta quando Rebecca mi raccontava filo e per segno ogni singola puntata di Supernatural! Non avevo argomentazioni valide, non avevo nulla. Non avevo altra scelta se non improvvisare, cercando di risultare credibile <<Ehm...>> borbottai, schiarendomi la gola <<...la luce...>> mi tenni sul vago, gesticolando. Non trovando le parole, decisi di cambiare argomento. Battei quindi le mani, dondolandomi sui talloni <<Allora.>> battei le mani <<Dov'è Adabbon?>>

<<Prima di tutto si chiama Abaddon.>> mi corresse Jensen, piuttosto infastidito <<E secondo, come diavolo faccio a saperlo io?>>

<<Usa qualche incantesimo.>> risolsi la questione io, facendo roteare gli occhi al cielo e sperando che le mie parole avessero un senso. I due colleghi si guardarono negli occhi per qualche secondo, prima di salire nella macchina nera che si trovava proprio al nostro fianco. Non ebbi altra scelta se non quella di seguirli, così mi poggiai sui sedili posteriori. Per una buona parte del viaggio non feci altro se non guardarmi i piedi sporchi e ridotti a tavolette di ghiaccio. Provai più di una volta a scaldarmeli con le mani, ma non stavo ottenendo grandi risultati. Inoltre, cercando di non farmi notare, raddrizzavo la schiena e guardavo di sfuggita il mio riflesso nello specchietto retrovisore, finendo di tanto in tanto ad incrociare gli occhi con quelli verdi di Jensen. La cosa più atroce era la mia faccia. Non mi ero neanche resa conto di essermi graffiata la fronte, ma il peggio avveniva più in basso, verso gli occhi. Erano cerchiati di nero ed arrossati in modo terribile. Un panda, realizzai afflitta, sono un panda. Avevo le labbra gonfie per chissà quale cavolo di motivo ed i palmi delle mani neri, sporchi di matita per gli occhi. Cercai di sistemarmi i capelli biondi con le mani, ma più passavo le dita tra le ciocche, più sembravo fare danno. Abbassai lo sguardo sul mio corpo, arricciando il naso nel notare un brutto livido sul ginocchio sinistro. Indossavo ancora una vecchia maglietta di mio padre, talmente lunga da arrivarmi fino alle ginocchia. Sotto la maglietta avevo dei pantaloncini attillati, e nient'altro. L'anima di Rebecca avrebbe aspettato ancora un po', dato che in quel momento sentivo il bisogno primordiale di una doccia e di un cambio. Lanciai un'occhiata a Jared, il quale stava leggendo uno strano diario pieno di scarabocchi e disegni, e valutai i suoi vestiti. Scossi poi il capo tra me e me, realizzando che non mi sarebbero mai entrati. Mi sporsi infine verso Jensen, e proprio mentre stavo prendendo le misure tra me e me mi sorprese ancora una volta a fissarlo. Mi chiese se mi servisse qualcosa, visibilmente scocciato ed accanto a lui Jared ridacchiò, prendendosi gioco di me. Io borbottai qualcosa tornando a sedere e quelle furono le uniche parole pronunciate in quaranta minuti di viaggio per strade deserte e foreste. 

This must be fake mine! [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora