22.CAPITOLO: La villona della riccona

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VICTOR


Avevo passato la notte in bianco.

Non ero riuscito a togliermi dalla testa la ragazza del diario. E per giunta, quello che avevo sentito alla vicinanza del corpo di Adèle, aveva sconquassato completamente il mio umore.
Quando si era messa a leggere, avevo immaginato il suo viso come quello della ragazzina francese che raccontava le sue giornate durante l'occupazione tedesca.
Mi ero immerso dentro i suoi pensieri e perso nella sua voce. L'odore di vernice presente in stanza, ancora accennato, non aveva però oscurato il profumo di gelsomino che Adèle aveva ancora indosso. Ero stato perverso da uno stato di leggerezza e tranquillità mai provati prima.
Avevo fissato i suoi caldi occhi spruzzati di viola vagare sulle pagine antiche, intenta a restare concentrata sul francese elementare che aveva davanti.
Una ruga d'espressione in mezzo alle sopracciglia aveva reso la sua espressione così attenta e matura che per un momento sentii la Ranocchia trasformarsi in un bellissimo cigno.
Da sempre, ero stato attratto da donne mature — fin da piccolo — e quel momentaneo cambiamento di Adèle aveva scatenato dentro di me un putiferio di emozioni differenti.
Sorpresa. Curiosità per quando sarebbe diventata più grande. Eccitazione. Desiderio...
Quando avevo sentito un moto allo stomaco e una leggera pressione all'altezza del cavallo dei pantaloni, l'avevo cacciata via. E lei era tornata la Ranocchia di sempre.

Dopo aver fatto colazione in silenzio assieme al Signor Dubois — che non era andato a lavoro — ignorai le tre chiamate di mio padre, e seguii Adèle alla macchina.
Andammo alla pasticceria per incontrarci con dei fornitori, poi caricammo alcune cose che avremmo dovuto portare alla villetta di Giselle, e partimmo per Montfermeil.
Il tragitto in auto fu peggiore di quanto mi aspettassi.
Quando prendevamo la metropolitana per andare a "La Bonne Vie" — ogni mattina — io e Adèle passavamo, schiacciati tra più di mille persone, soltanto quindici minuti assieme. Non avevamo modo di chiacchierare e pensare al silenzio imbarazzante che si poteva creare tra noi. Quel giorno, invece, sentivamo l'aria pesante della notte precedente spingerci verso un mutismo assoluto.
Adèle guidava con gli occhi fissi sulla strada davanti a sé senza la benché minima espressione. Immobile e attenta, se ne stava rinchiusa nei suoi pensieri impossibile da scalfire o raggiungere.
Ero curioso di conoscere cosa le passasse per la testa, ma non ero sicuro di voler cominciare quel tipo di conversazione con lei.
Non dopo che mi ero sentito così attratto dalla sua espressione matura e distante.
Dopo Monique avrei dovuto imparare, e invece facevo sempre lo stesso errore.
Immaginare cose impossibili e inafferrabili.

Giungemmo a destinazione in un'oretta.
« Cavoli!! » esclamai, quando ci trovammo dinanzi ad un enorme cancello nero in ferro battuto.
« Vive qui la vecchia? » chiesi stupito mentre Adèle attendeva che la padrona di casa aprisse il varco per far entrare la sua auto.
Non ottenni risposta, ma non ci fu modo di replicare perché il cancello si aprì immediatamente.
Entrammo adagio, percorremmo un lungo vialetto malmesso e ciottoloso. La vegetazione tutt'attorno era arida e secca, come se non fosse stata curata da moltissimo tempo.
Dopo una piccola curva in salita, davanti a noi, apparve una villetta color  giallo pallido con infissi rosa confetto e una decina di finestre spalancate al secondo e terzo piano.
« Riccona » borbottai invidioso prima di scendere dalla macchina.
La Ranocchia aveva parcheggiato ed era uscita sbattendo la portiera.
Pessimo segno.
« Aiutami » disse indicando i sedili posteriori.
Senza proferire una sola parola, presi alcuni cartocci e buste dal retro dell'auto, e mi avviai all'enorme portone d'ottone dell'entrata.
Al posto del campanello vi era un anello antico a forma di bocca di leone. Era mezzo scheggiato e logorato dal tempo, ma dava comunque l'idea di un ornamento classico e regale.
Con le mani occupate, aspettai Adèle, che mi raggiunse con una lentezza disarmante.
Quando bussò, un uomo in frac e panciotto nero, venne ad aprirci.
« Benvenuti! La Signora De La Feré vi stava aspettando » si fece di lato per invitarci ad entrare.
La prima cosa che mi saltò all'occhio, fu l'enorme scalinata a chioccia che si estendeva per tre piani. Era stretta e tortuosa, con il corrimano lucidato di bianco matto, e un tappeto rosa pallido bordato d'oro che saliva per tutte le scale, ricoprendole interamente.
« Sono per la festa? » l'anziano signore dal vestito elegante, indicò le buste che tenevamo strette.
Adèle ed io annuimmo simultaneamente, e prima che potessimo dire altro, silenziosamente, arrivarono tre camerieri tutti impettiti a liberarci le mani sparendo poi, nell'ala ovest della villa.
« Aspetti, quello é mio! » la Ranocchia inseguì uno dei servitori lasciandomi solo con il vecchio servitore.
« Venga. La porto dalla Signora...» disse l'uomo con un sorriso gentile.
Il suo viso era così avvizzito, che mi chiesi se non si potesse sgretolare da un momento all'altro.
Mentre saliva le scale con il busto eretto e una postura davvero brillante per la sua età, mi domandai che lavoro facesse prima di diventare un dipendente tutto fare in quella villa.
Il suo corpo era esile, ma si poteva notare benissimo che da giovane doveva essere stato un tipo atletico.
Non aveva nessun accenno di gobba e il passo spedito e il fatto che non avesse l'affanno dopo tre piani a piedi, dimostrò la mia teoria.
« Lei lavora qui da...quanto? » domandai, non potendo frenare la mia curiosità.
L'uomo anziano sorrise di nuovo, ma senza fermarsi a guardarmi. Raggiunse una porta socchiusa e finalmente mi rivolse la sua attenzione.
« Non sto lavorando » mi rispose prima di bussare.
« Avanti » l'accento francese marcato e sensuale di Giselle, mi arrivò alle orecchie.
« Ora può accomodarsi » detto questo, l'uomo mi voltò le spalle e andò via.
Entrai in uno stanzone immenso.
Era tre volte la camera di Adèle.
Il tavolo rotondo al centro, circondato da una decina di sedie, sembrava quello di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.
« Caspita! Vi trattate bene » commentai sarcastico guardandomi intorno.
Due quadri ricoprivano interamente le pareti, altrimenti spoglie, della camera. C'era Napoleone, la Presa della Bastiglia e altri due che non conoscevo. Ma sicuramente rappresentavano qualcosa di significativo avvenuto in Francia. Vi erano illustrati degli ufficiali francesi a cavallo e un campo immenso.
« Ti piacciono? ».
Giselle, accoccolata sul divanetto rosa confetto proprio sotto la finestra spalancata, indicò con lo sguardo i dipinti.
« Non male » mormorai cercando di sembrare il più possibile distaccato. Meglio non dare troppa confidenza a quell'eccentrica vecchietta.
La donna sorrise divertita, alzandosi con fatica.
In automatico, mi protesi verso di lei pronto ad aiutarla, ma lei scosse la testa.
« Ce la faccio » disse mettendosi in piedi e aggiustandosi con decoro il foulard giallo limone che le era scivolato dal suo collo sottile.
Trattenni a stento una mezza risatina.
« Questa l'ho già sentita » borbottai.
Giselle alzò un sopracciglio confusa.
« Sì. La Ranocchia...Adèle » mi corressi subito « lo dice spesso ».
« Cosa? »
« Che ce la fa da sola »
« Ed è vero? ».
La domanda implicita della donna parve sondare un terreno fin troppo scivoloso per i miei gusti.
Incrociai le braccia al petto come a volermi proteggere dallo sguardo indagatrice di Giselle.
« Sì » risposi secco.
« Bene. Una donna deve sapercela fare da sola ».
Giselle sorrise con la bocca, ma gli occhi dicevano tutt'altro.
L'amarezza del suo tono mi fece comprendere che — molto probabilmente — se aveva avuto un marito, evidentemente l'aveva lasciata sola nel momento del bisogno.
« Vuoi del tè? » mi chiese poi, avvicinandosi piano alla tavola rotonda, dove vi era poggiato un vassoio con una teiera e delle tazze azzurrine.
Mi versò del liquido verde e mi tese la mano.
« Prendi » disse « Il tè aiuta a rilassarsi» aggiunse.
Lo accettai mio malgrado, non avendo nessuna intenzione però di berlo.
Mi rigirai la tazzina tra le mani ripensando alla sera precedente e quindi, alle pagine di diario trovate in pasticceria.
Quelle che Adèle mi aveva gettato contro prima di uscire dal magazzino de "La Bonne Vie", le avevo portate con me come mi aveva detto.
Erano ripiegate nella tasca posteriore dei jeans pronte per essere tirate fuori nel momento più opportuno.
« Senta...» cominciai « vado a chiamare Adèle. C'é una cosa che le dobbiamo far vedere » dissi, voltandomi quel poco per non essere scortese, avviandomi verso l'uscita della camera ancora con la tazza tra le mani.
« Arrivo subito » precisai facendo per girarmi completamente e afferrare la maniglia della porta.
In quel momento però, si spalancò e Adèle mi apparve davanti in una nuvola rosso scarlatto.
La tazzina volò in alto e il contenuto si rovesciò tutto.
Il rumore di cocci rotti mi fece capire cosa era successo.
La Ranocchia mi aveva travolto con in mano un vestitino. Il suo sorriso raggiante era andato via via sfumandosi quando si era resa conto di essermi venuta addosso.
« Sempre un'invasata sembri! » protestai dispiaciuto per aver rovinato il servizio da tè della Signora Giselle. Mi abbassai a raccogliere i pezzi sbriciolati della tazzina azzurra.
Non appena mi rialzai, notai il viso scioccato della Ranocchia.
« Sì! Esatto! Hai rovinato una bellissima tazza! » la rimproverai a posta. Ma lei non stava affatto pensando al povero servizio di porcellana della vecchia riccona, ma all'abito che aveva tra le mani, macchiato inevitabilmente di té.

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UN PENSIERO AI PAESINI E ALLE CITTÀ COLPITE DAL TERREMOTO DI QUESTE SETTIMANE.
TUTTA L'ITALIA SI STRINGE IN UN SOL CUORE❤️

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SPAZIO "Promo Grazie❤️

Di: Piccola42

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