3.CAPITOLO: Accantoniamo la maturità e comportiamoci da bambini dispettosi

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VICTOR

« Si può sapere perché ti sei conciato in questo modo? » mi domandò papà non appena uscimmo di casa.
« Perché non ti piace? » alzai un sopracciglio fingendomi offeso « Guarda che la pelle va di moda! » aggiunsi saccente, entrando in macchina.
Mio padre sbuffò senza commentare ulteriormente il mio abbigliamento.
In effetti se c'era una cosa che odiavo di più delle canzoni Pop, era proprio la pelle!
Quel completo orrendo me l'aveva regalato Sébatien, il mio migliore amico, al mio ventesimo compleanno, per farmi uno scherzo. Non l'avevo mai indossato, e avevo anche cercato di rifilarglielo sotto mentire spoglie, il Natale seguente, ma non c'era stato verso di restituirlo al mittente. Così avevo finito per tenerlo buttato nell'armadio come ultima chance di fare fuori il mio vecchio in qualche occasione speciale — anche mio padre odiava gli indumenti di pelle — e quale miglior momento se non quello di conoscere la mia sorellastra?
Poggai i piedi sul cruscotto. Le converse rosso scarlatto che avevo indossato erano un pugno nell'occhio con il mio abbigliamento "sexy", ma — a dirla tutta — erano la cosa più bella che indossavo.
« Per piacere Victor. Evita » brontolò mio padre distogliendo per un breve momento lo sguardo dalla strada.
« Ehi siamo proprio Mr.Simpatia stamattina, eh? » replicai sbuffando, ma abbassando ugualmente le gambe.
« Allora si può sapere perché vuoi farmi partecipare a questa pagliacciata? Tanto lo sai che non andrò a vivere in quella casa e non lavorerò con la mia cara dolce "sorellina" » sbottai tagliente, sottolineando a posta l'ultima parola.
« Ne abbiamo già parlato, Victor. Lo farai, e questo é quanto » taglió corto Jean.

Arrivammo nel vialetto di Julie, in meno di venti minuti. Ad aspettarci sull'uscio della porta socchiusa, vi era la donna che mi aveva messo al mondo.
Con splendenti boccoli biondi cotonati, un corpo snello e longilineo, una mangiata di lentiggini sparse sul naso e le guance, e due occhi davvero particolari. Mi stupii che mio padre fosse stato il fortunato delle sue attenzioni.
Avevo già visto più di una volta quella donna. La prima, quando era ritornata da noi, e altre due volte dopo, quando aveva tentato di riallacciare i rapporti anche con me, e non solo con mio padre.
Avevo trovato Julie troppo esuberante e sfacciata, e generalmente — anche se mi circondavo soprattutto di ragazze del genere — non mi piacevano molto quel tipo di persone. Così avevo obbligato il mio vecchio a non portarla più a casa e a non nominarla nemmeno in mia presenza. Ne era nata ovviamente una discussione colossale, ma per mia fortuna, l'avevo scampata. Così non avevo più visto Julie, fino a quel momento ovviamente.
« Ciao ragazzi! » ci salutò con un sorriso fin troppo abbagliante. Io risposi con uno sguardo ironico che era il mio cavallo di battaglia, mio padre, invece, le fece il baciamano.
"Disgusto a go-go" pensai storcendo il labbro superiore.
« Jean, l'auto peró conviene che la parcheggi lì » suggerì Julie indicando un posto tra gli alberi poco più avanti del suo vialetto.
« Abbiamo vicini rompiscatole » si giustificò ammiccando a me con fare complice.
Roteai gli occhi per quel supplizio.
Mio padre, da bravo cagnolino, ritornò all'auto e la spostò proprio come aveva proposto Julie.
Quando finalmente Jean ritornò, lui e la sua nuova fiamma — o vecchia, a seconda della prospettiva da cui la si vedeva — si avviarono alla porta di casa.
« Se vi dispiace, io non entro » esclamai addossandomi ad una macchina grigio metallizzato parcheggiata dall'altro lato della strada.
« Dispiace eccome! » sbottò mio padre facendo per tornare indietro. Per fortuna però, Julie lo prese per un braccio bloccandolo.
« Va tutto bene. Lascia che si ambienti » la sentii dire con una calma da far invidia al supremo maestro Zen.
Jean sembrò calmarsi per un attimo e il suo viso, da paonazzo che era diventato, ritornò color bronzo.
Quando sparirono in casa, ricacciai l'aria che non mi ero accorto di trattenere fino a quel momento.
Chiusi per un attimo gli occhi e ascoltai il rilassante silenzio di quella zona di Parigi. Era la Periferia, magica e bella, quasi come il nostro quartiere. Forse solo un pochino più riservato e appartato, ma per il resto la calma e la tranquillità era la stessa di dove abitavo anch'io.
Adoravo la Periferia rispetto alla città. Parigi l'amavo, ma amavo anche il silenzio prima della tempesta.
E parlando di tempesta, per poco non mi travolse una.
Oscillai pericolosamente di lato e quasi finii lungo disteso a terra. Mi voltai rabbioso e notai con disappunto una ragazzina in pigiama che troneggiava su di me adirata e con dei capelli da pazza.
« Sei un'invasata o altro? » sbottai fissandole le pantofole a forma di cane, il pigiama color verde acido, e delle bretelle di reggiseno logorate dal tempo.
« Invasato ci sarai tu! » mi rispose per le rime, poi farneticò qualcosa riguardo la sua auto. Strabuzzai ancora di più gli occhi, dicendole chiaramente che per me era solo una mocciosa.
Lei sembrò non ascoltare una parola di quello che dicevo; poi la voce di Julie ci raggiunse, facendomi capire che avevo di fronte a me, niente poco di meno che la mia futura sorellastra.
Mi venne da ridere!
Era una Ranocchia al 100%!
E mentre la "suddetta" continuava ad aprire e chiudere la bocca come un pesce rosso, pensai che sarebbe stato divertente farmi odiare da lei durante quella breve visita. Perché se anche lei si fosse opposta a quella pazzia di unire le nostre famiglie, allora tutto sarebbe ritornato alla normalità e mio padre ci avrebbe pensato mille volte prima di sconvolgermi di nuovo l'estate.
Con un sorrisetto malefico che la diceva lunga su i miei piani, la oltrepassai allegro arrivando sulla soglia della porta prima di lei. Fu così che le sbattei la porta in faccia.
1 a 0 per me, e 'fanculo ai miei ventidue anni di maturità.
Quando sentii bussare insistentemente contro la porta, mascherando il mio sguardo vittorioso, misi mano alla maniglia e mi ritrovai di fronte la Ranocchia.
« Ops. Non mi ero accorto che si era chiusa » mentii spudoratamente cercando di mantenere uno sguardo serio. Lei mi fissò gelida e borbottò qualcosa tipo « Sì come no ». Poi, prima che mi rendessi conto di quello che stava per fare, sentii una leggera pressione sulle mie converse. Abbassai lo sguardo e vidi le sue enormi e ridicole pantofole pestarmi il piede sinistro.
Trattenni a stento una risata.
« No dico. Sei davvero convinta di avermi fatto male con quelle "cose" che francamente, sconfinano nell'osceno? ».
La sua bocca carnosa — cosa che non avevo notato poco prima — rimase nuovamente spalancata per l'indignazione. Era così buffa che scoppiai in una fragorosa risata, prima di sentirmi soffocare.
Annaspai in cerca d'aria e mi resi conto che la Ranocchia mi aveva ficcato in bocca un pacco di fazzoletti, presi dal tavolino accanto alla porta.
La mia "cara" sorellastra, così, mi superò a testa alta e con sguardo fiero, inforcò le scale che portavano al piano di sopra.
Mi strappai letteralmente i fazzolettini di bocca, sputacchiando disgustato e gettandoli per terra. Presi una boccata d'aria, respirando a fondo.
« Strega » sibilai irritato come non mai.
Intanto, Julie era andata ad accomodarsi assieme a mio padre e a quello che evidentemente era suo marito, nel salotto alla sinistra della porta.
Con notevole disagio, li raggiunsi e sprofondai in una poltroncina color glicine proprio di fronte ad un tavolino di vetro scuro, e al padre dell'invasata.
Oggettivamente parlando, era un bell'uomo. Alto, un fisico abbastanza asciutto per l'età che doveva avere, con un po' di riporto all'attaccatura dei capelli bianchi — che un tempo erano stati sicuramente castani — carnagione chiara, bocca pronunciata, sopracciglia folte, occhi sinceri color verde giada e un aspetto che trasudava fascino da tutti i pori.
Un tempo doveva essere stato molto popolare tra le ragazze, riflettei.
Lui e il mio vecchio si somigliavano parecchio, a quanto pareva. E in quel momento capii perché Julie li avesse scelti così simili.
« Allora, tu devi essere il mio patrigno! Tanto piacere » mi alzai di scatto allungando la mano verso quell'uomo. La mia ironia però non scappò a mio padre che mi ammonì con un'occhiataccia.
« Piacere, sono Pierre » si presentò lo sconosciuto con una voce calda e accogliente. Rimasi per un attimo interdetto. Non mi sarei mai aspettato tanta accoglienza per il figlio incestuoso di sua moglie.
Intanto Julie aveva chiamato di nuovo la Ranocchia che era dovuta accorrere suo malgrado.
Si sedette accanto a suo padre incrociando le braccia al petto con un broncio anche peggio del mio.
Si era cambiata e pettinata.
Aveva indossato una tuta grigia lunga — con il caldo che faceva? — e una canottiera dello stesso colore. Il reggiseno però non se l'era cambiato.
« Non é che così sei migliorata » le dissi divertito, non potendo trattenermi.
Lei, in tutta risposta, mi fece lo stesso gestaccio che le avevo fatto io qualche minuto prima, appoggiato alla sua auto.
La ignorai, e anche i nostri genitori lo fecero.
« Allora, Victor » cominciò Julie « Ti piace la casa? » mi chiese con un sorriso raggiante, per niente preoccupata della tensione che si respirava in salotto.
Rimasi muto e immobile, con un'espressione funerea. Mi alzai solo quando mio padre mi lanciò un'occhiataccia.
« Okay. Diamoci un taglio! » esclamai poi, ormai al limite della sopportazione.
« Vi rendete conto che questa situazione è surreale, vero? ».
« Victor » mi ammonì Jean.
« No, papà! Sto dicendo le cose come stanno! Io non verrò a vivere assieme a questa Ranocchia e a suo padre. Senza offesa » aggiunsi in direzione di Pierre che continuava a sorridermi gentile.
« EHI! » sentii a stento la voce dell'invasata.
« E non lavorerò nella sua pasticceria! » conclusi furioso, indicando Julie con l'indice.
« Ti stai comportando come un bambino di dieci anni, Victor! » mormorò flebilmente mio padre.
« Era meglio che lo fossi stato! Così potevo chiamare il Telefono Azzurro e denunciarti per abbandono di minori! » controbattei ancora in piedi, stringendo forte i pugni.
« Ma io non ti abbandono! ».
Fu volta del mio vecchio di alzarsi dal divanetto dov'era seduto assieme a Julie.
« Vado solo in vacanza per due mesi! A settembre ritornerà tutto alla normalità. O quasi » aggiunse poi sottovoce.
« Ti ho detto che non verrò a vivere qui! Non puoi costringermi! » replicai cercando però di calmarmi.
« Ed io ti ho detto che ti blocco la carta di credito e chiedo a zia Apolline di venire a vivere a casa nostra. Così vediamo se vuoi davvero stare lì » mi minacciò proprio come aveva fatto la prima volta che gli avevo detto che restavo dov'ero, e che non aveva appigli legali per fermarmi. Mio padre invece aveva trovato "altri modi" per rovinarmi l'estate.
La zia era una donna eccentrica e stralunata con dieci gatti al seguito, tre ex mariti, e una memoria tanto labile da mandare al manicomio.
Insomma, Apolline era il metodo migliore per farmi ritornare sulla mia presa di posizione.
« Tanto vado a stare da Sébatien » detto questo, voltai le spalle ai presenti, e uscii da quell'opprimente salotto sbattendo la porta della villetta alle mie spalle.

Arrivai nel quartiere di Saint-Denis prendendo la Metro a pochi passi dalla casa di Julie e della Ranocchia.
Quando bussai il campanello di Sébatien, attesi solo qualche istante prima di vederlo sbucare dal chiavistello semi aperto.
« Chi è? » chiese con voce impastata.
« Séb apri. Sono Victor! » sbuffai.
Attesi che il mio migliore amico tolse il chiavistello, poi spalancai la porta come se fosse casa mia.
« Devi ospitarmi! » gli ordinai quasi.
« Vic, senti...aspetta » Sébatien farneticava stropicciandosi gli occhi ancora gonfi di sonno, e restando sull'uscio della porta ancora aperta, nonostante io fossi già entrato.
« No Séb. Non hai capito! Devi per forza! » dissi senza ammettere repliche, avviandomi all'interno dell'appartamento. Cercai la porta della stanza degli ospiti e la spalancai.
« Vic, NO! » urlò, ma non lo ascoltai, e così davanti ai miei occhi apparve una ragazza splendida. In short cortissimi di jeans, top rosso che le strizzava il seno prosperoso, e con degli occhi azzurri da far invidia al cielo.
« Oh mio Dio! » urlò lei con un sorriso che man mano si allargava da un orecchio all'altro.
« Victor! »
« Nicole » balbettai senza fiato investito, improvvisamente, da mille ricordi.
« É arrivata ieri sera. Avrei voluto dirtelo, ma non mi hai lasciato il tempo...» si giustificò Sébatien con sguardo rammaricato facendo spallucce.
Nicole Morin era sua sorella.
Ed era stata anche la mia prima ragazza.

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Note:

•Perdono, ma non so se esattamente il "Telefono Azzurro" Francese ha lo stesso nome di quello Italiano.

•Scoperto il secondo e terzo membro del Cast.

Adèle é Emily Browning!

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Pierre é Chris Noth!

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