5.CAPITOLO: Pasticceria, accettazioni e lampi di genio

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ADÈLE

Altri tre giorni erano andati via, ed io non ero ancora riuscita ad aprire un solo libro. E presto avrei avuto ancora meno tempo per poterlo fare.
Quella mattina, alla vigilia della partenza di mamma e Jean, ero stata letteralmente buttata giù dal letto all'alba per seguire Julie alla pasticceria.
« Devo istruirti su un paio di cose » mi aveva informato la sera prima, senza accennarmi altro, mentre preparava le valigie con un'allegria da far venire il vomito.
« D'accordo » le avevo risposto cupa, prima di dileguarmi in camera mia e sbattere la porta.
Non potevo credere che davvero mi stesse affidando la cosa a cui teneva di più al mondo.
La sua pasticceria "La Bonne Vie", era la prima cosa che si era conquistata con le sue sole forze. Suo padre, all'epoca un deputato, le comprava ogni cosa — che brutta vita, certo — e lei aveva sempre detestato non poter arrivare ai suoi obiettivi da sola, mettendo in gioco sé stessa e raccogliendo consensi, senza dover ricorrere a suo padre.
Così, compiuti diciotto anni, abbandonò la casa dei suoi genitori a Parigi, per trasferirsi in Periferia e vivere da sola, e lavorare duramente come tutte le sue amiche.
Fece pratica in un ristorante, cominciò dei corsi di marketing e di cucina, e finalmente, con tutto quello che aveva guadagnato e messo da parte, era riuscita ad aprirsi una piccola attività tutta sua.
Man mano la pasticceria si innalzò, diventando così famosa nel quartiere, e raggiungendo perfino la popolarità in alcune zone della città. Molte volte i Parigini arrivavano fin lì solo per assaggiare le specialità della mamma.
E fu allora che "La Bonne Vie" — che chiamò così ironizzando sulla vita che suo padre aveva sempre tentato di darle ma che lei aveva sempre rifiutato — divenne tutta la sua vita.
E adesso, stava per diventare la mia vita.
O almeno, per quell'estate.
Scesi dall'auto di mia madre, una Minicouper rosso cremisi, e mi bloccai ammirando ciò che avevo dinanzi.
Di fronte ai miei occhi, una tendina bianca e rigata color verde Tiffany, proteggeva l'entrata della pasticceria dal sole cocente di quella mattinata di giugno.
L'intonaco dello stesso colore, con disegni floreali e pasticcini tutti dipinti in rosa e fucsia, dava al marciapiedi grigio e triste, una luminosità quasi accecante. Chi passava di lì, non poteva rimanere indifferente a quel pugno nell'occhio che era "La Bonne Vie".
La porta trasparente, con due scarpe col tacco di Swarovski appese sopra ad essa con dei campanelli, tintinnava ogni volta che un cliente oltrepassava la soglia. E in quel momento, quando varcai l'uscio della pasticceria, fece esattamente lo stesso piacevole suono che aveva sempre fatto in quegli anni.
Dentro, l'aspetto era praticamente identico all'esterno. La carta da parati era verde acqua, con tante torte, pasticcini, e scarpe disegnate dai colori più accecanti. Un bancone di metallo sempre lindo e pinto, con teche di vetro contenenti dolcetti di tutti i tipi, si estendeva ad U per tutto il locale. Dietro di esso, una porticina, lasciata quasi sempre aperta, dava accesso al laboratorio di preparazione per i dolci e prelibatezze varie.
Poggiai una mano su uno dei tavolini rotondi, ornati con tovaglie a quadratini piccoli, sempre bianchi e color Tiffany, e mi guardai attorno come se avessi vissuto di più in quel posto che a casa mia.
« Ciao Adèle! » Dorothée e Didier mi salutarono contemporaneamente. Due gemelli dizigoti, con la passione per il cibo e per mia madre, erano rispettivamente il Capo Chef e Aiuto Chef. Anche se Didier gli ricordava sempre che erano sullo stesso livello, che erano entrambi dei capi lì dentro. Non vi era nessun "aiutante o assistente".
Dorothée però lo ignorava sempre, ridacchiando.
« Ciao ragazzi! » sorrisi loro osservandoli. Indossavano il tipico cappello bianco da Chef, sotto capelli color carota ispidi e ribelli; il camice bianco, sempre macchiato di crema o panna o cioccolato che ad entrambi stringeva in vita, e un cartellino con i loro nomi seguiti dal loro simbolo preferito.
Didier aveva una decolté rossa disegnata, Dorothée, invece, un gatto.
« Julie ci ha detto che farai l'apprendista » scherzò Didier allungandosi per scompigliarmi i capelli. Ero diventata grande, ma quell'abitudine non l'aveva mai persa.
« Didi, lasciala stare! Non vedi che non è entusiasta! » brontolò Dorothée ammonendo il fratello.
La Capo Chef mi capiva sempre. Forse anche più della mamma.
Aveva una quarantina d'anni, e praticamente mi aveva cresciuto, soprattutto nei giorni in cui i miei genitori erano troppo occupati con i loro rispettivi lavori.
« Non è che non mi fa piacere...» cominciai « é che...»
« Tesoro, allora: queste sono le chiavi del magazzino sul retro, questo è il codice di sicurezza, questa l'agenda dei clienti abituali con i rispettivi nomi e pietanze, così saprai sempre prima cosa prendono. É importante mantenere un clima di familiarità qui dentro. I clienti adorano sentirsi in famiglia » mia madre fu una valanga di informazioni. Mi piazzò tra le mani due mazzi di chiavi, un'agendina di pelle marrone piccola quanto la mia mano, dei fogli scarabocchiati con una scrittura illeggibile, e un cartellino con il nostro cognome: Dubois.
« Questo portalo con fierezza sempre! » disse quasi commossa indicandolo.
Annuii sospirando ormai rassegnata.
« Mamma ho bisogno di aiuto » mormorai poi abbassa voce, capendo finalmente che non avrei potuto fare tutto quello che mi ero prefissata per quell'estate se non ci fosse stato qualcun altro con me.
« Hai Philip e Victor » mi sorrise lei, rammentandomi il cameriere secolare che lavorava insieme alla mamma da quando praticamente aveva aperto.
« Ma Phil ha quasi sessantanni! » replicai abbattuta « E quell'imbecille non verrà mai » sbottai poi, riferendomi al mio nuovo fratellastro.
« Vedrai che verrà » ammiccò Julie cercando di rassicurarmi.
Più facile a dirsi che a farlo.
In quel momento, il mio cellulare prese a squillare con insistenza. Lo tolsi dalla tasca dei jeans e lessi il nome di Martine sul display.
« Tine, ciao! Tutto be...»
« Oh Adè! Sono a pezzi » la voce della mia amica mi arrivò ovattata e distante.
« Tine! Che succede? » le domandai allarmata.
« Posso venire da te? Sei a casa? » Martine aveva un tono così abbattuto che credetti di sentire un piccolo singulto tra un sospiro e l'altro.
« No, sono in pasticceria. Ma ora sto tornando a casa » dissi liquidando l'occhiataccia di mia madre e avviandomi alla porta. Salutai con un cenno del capo i due gemelli Didier e Dorothée e mimai con le labbra a mamma "è un'emergenza", poi ritornai alla mia amica.
« Martine, vediamoci a casa mia. Sto arrivando! » detto questo riagganciai, correndo fino alla fermata della Metro più vicina.

Una pasticceria per DUE (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora