Capitolo tredici

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Mary Gray era intenta a riordinare i libri che nel corso del tempo erano stati spostati qua e là dai pochi assidui visitatori, e a catalogare le ultime opere arrivate. Una volta l'anno doveva ricordarsi di farlo, anche se ad essere onesti ci sarebbero voluti almeno due decadi prima che il bisogno di riordinare fosse risultato davvero impellente. Una semplice libreria d'appartamento sarebbe stata più disordinata di quell'intera biblioteca. Complice, oltre ai pochi lettori, il maniacale senso di ordine e pulizia di Mary. Quel lavoro, alquanto monotono, era per lei un piacevole diversivo, un compito rilassante. Poi un bussare alla porta interruppe la serie di generi e sottogeneri letterari che si districava nella sua mente.

«Vincent!»

«Buon pomeriggio, Mary. Sei impegnata al momento?»

«Stavo riordinando il catalogo dei libri, ma prego entra pure.»

Bisogna sapere che Mary trattava la biblioteca come avrebbe fatto con la propria casa, e il fatto che i libri fossero ammucchiati per terra in ordine sparso le creava un certo imbarazzo, come un ospite improvviso in un salotto sporco e disordinato.

«Vuoi un tè o un caffè?»

«No, sono a posto grazie. Tu come stai?»

«Diciamo bene», e quel "diciamo" risuonava forte come il rintocco di una campana. Effettivamente negli ultimi due giorni il senso di angoscia opprimente le era passato, ma non ci voleva molto per capire che la pace interiore era ben lontana dall'essere raggiunta. "D'altronde", pensò Vincent, "chi ce l'ha questa pace?"

«Ascolta, c'è una cosa che vorrei chiederti. Sono venuto qui perché sei forse l'unica persona di cui mi fidi veramente. Quindi richiedo da te il massimo riserbo e la più totale sincerità. Me li puoi garantire?»

Gli occhi di Mary si spalancarono in un misto di agitazione ed eccitazione. Quando qualcosa di inaspettato irrompeva nella sua vita non poteva fare a meno di provare un brivido di timore, ma alla fine era la curiosità ad averla vinta.

«Sì, certo», rispose.

«Ho scoperto che a Silver Lake accadono cose assai strane dietro la facciata di parole che mi vengono dette, e questa sensazione mi ha accompagnato fin dal primo giorno che ho messo piede qui. Con il tempo però la sensazione ha preso forma: quella di una pianta. Ho bisogno di sapere cosa si coltiva qui.»

Ora gli occhi di Mary erano ancora spalancati, ma vacui. Rimase in silenzio per diversi secondi. All'inizio Vincent si chiese se non avesse chiesto alla persona sbagliata, ma quando il silenzio sì prolungò capì che Mary sapeva bene ciò di cui stava parlando. Infine, dopo aver vinto l'iniziale riluttanza, ella alzò il capo e lo guardò.

«Vieni con me.»

L'auto si fermò a pochi metri da un vasto campo coltivato, poco fuori Silver Lake. Nel mezzo del campo c'erano delle grandi serre. Vincent scese dall'auto in religioso silenzio. Una nebbiolina aleggiava sopra la terra umida; il giorno aveva ceduto il posto al crepuscolo.

«Dunque è qui che si svolge tutto.»

Si avvicinarono alla recinzione.

«Pensi sia elettrificata?» chiese Mary.

«Non lo so, ma preferirei non constatarlo sulla mia pelle. Accosta l'auto alla rete, per favore.»

Vincent montò sul tettuccio della macchina e fissò per diverso tempo la recinzione davanti a lui.

«Passami un bastone o un sasso.» E detto ciò tirò il bastone contro la rete, che in men che non si dica lo ridusse in carbonella, emettendo un breve e intenso bagliore.

Al di là della nebbiaWhere stories live. Discover now