Capitolo sette

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Nella penombra del presbiterio il pastore Gordon se ne stava seduto in un angolo a leggere alcuni versi del Qoelet. Quegli stessi versi che qualche giorno addietro egli aveva spiegato al funerale di Jacob. Pensieri di vanità e temporaneità, che il più delle volte gli uomini fanno fatica ad accettare. Gordon era solito leggere a bassa voce quando si imbatteva in passi significativi, come a ricalcarne l'importanza. Così il suo bisbigliare tenue ed invariato si diffondeva all'interno della chiesa vuota, come fumo di incenso. Ed era proprio in quei momenti di necessaria solitudine che la sua figura di pastore, di guida spirituale, si ritirava e subentrava la figura del Dubbio, il volto dell'infedele. Perché se l'uomo che scrisse quelle antiche parole non aveva trovato il Senso, pensava, aveva perlomeno il privilegio di sostituirlo con ogni sorta di ricchezza e di potere; cosa che un comune mortale non può permettersi. Poteva avere allora il diritto, proprio lui, di lamentarsi della vanità intrinseca delle cose? Tanto più lo avrebbe un mezzadro, che se ne sta chino nei campi dall'alba al tramonto. Ma forse, si disse, è proprio questo il punto: avere tutto per rendersi conto di non avere niente. Raggiungere il tetto del mondo e trovare solo un soffitto di legno marcio, e non poter far altro che riscendere."Che importanza può avere dunque vivere settant'anni o viverne trecento? Solo una ruota che gira più a lungo", pensò. Chiuse la Bibbia, con un soffio di scoraggiamento al cuore. Anche stavolta non era riuscito a capire.

Il portone della chiesa si aprì e un'ombra lunga fece il suo ingresso sul pavimento bagnato di luce lunare. L'uomo si tolse il cappello in segno di riverenza e rimase fermo davanti all'entrata per qualche istante, dopodiché prese a camminare, lentamente, avvicinandosi al pastore. Sedutosi nella prima fila di panche, estrasse una sigaretta.

«Sai bene che non si fuma qui. Non sprecarla.»

L'uomo rimise la sigaretta nel pacchetto. Poi si guardò attorno.

«Per la miseria! Dovresti abbellirlo un po' questo posto. è così...»

«Austero?»

«Tetro.»

«Gusti. Dimmi dunque.»

«Reverendo, temo che la situazione ci stia sfuggendo di mano. In tutti questi anni abbiamo sempre creduto di essere al sicuro, di non dover temere alcuna minaccia. Ma io non...non mi sono mai sentito al sicuro veramente. Ho sempre pensato che potesse succedere qualcosa prima o poi, tu...mi capisci, vero?»

«Sì, vai avanti.»

«La verità è che siamo vulnerabili e dobbiamo valutare l'ipotesi che tutto potrebbe cambiare in un attimo. E ora ci sono delle incognite che non avevamo mai considerato prima.»

«Ti riferisci a quell'uomo, Price?»

«Sì, esatto.»

«è un uomo curioso, ed è importante essere curiosi nel suo mestiere. Certo però che la curiosità a volte non porta da nessuna parte. O peggio. Purtroppo alcune persone lo hanno imparato a loro spese.»

«Eh già...»

«Perché quel ghigno? Non è una bella cosa. Ci sono foreste dove agli uomini non è consentito andare. Speriamo che il signor Price se ne renda conto e si ravveda. Nel frattempo possiamo solo vegliare su di lui.»

«Vuoi che lo faccia io?»

«Ci conto.»

L'uomo si alzò dalla panca, e dopo essersi risistemato il cappello uscì a testa bassa dalla chiesa. Quando il portone si chiuse, il pastore Gordon gettò un 'occhiata alla Bibbia che teneva in mano. Quelle parole ispirate continuavano a riecheggiare dentro di lui. Sicché "ogni cosa era vanità e un correr dietro al vento."

Quel giorno Vincent e Oliver conclusero il giro di visite dei conoscenti e dei parenti di Jacob. Era stata una giornata dura e per Vin l'unica maniera di concluderla degnamente era quella di buttarsi sul letto della sua camera d'albergo e dormire profondamente. Durante tutta la giornata Hunt si era dimostrato un 'ottima spalla, intuitivo e con una certa dose di umorismo quando serviva. Le ore passate insieme lo resero però consapevole, e questo Vincent lo aveva capito, che il detective gli stesse nascondendo qualcosa. Domande rimaste insolute, conversazioni deviate, risposte politicamente corrette. Price non era uno sprovveduto ed Hunt non era uno stupido. Ora la sera stava calando ed erano sulla via del ritorno.

«Sei mai stato a New York?» gli chiese il detective.

«Una volta, tanto tempo fa.»

«E come ti è apparsa?»

Oliver alzò gli occhi per trovare le parole giuste.

«Come un immenso calderone in cui ribolliscono milioni di creature; un formicaio fatto di uomini, macchine ed animali che si incontrano e si scontrano ogni giorno per contendersi un pezzo di cemento. Per me che non ero mai stato neanche fuori dal Montana fu un'esperienza traumatica», disse ridendo.

«Insomma, ti è piaciuta.»

«Oh, da morire! No, la verità è che noi uomini non siamo fatti per vivere così ammassati. Mi sembra un'esistenza contro natura. Voglio dire, abbiamo bisogno di spazi aperti.

Quando ero a New York alloggiavo in un hotel di Manhattan. Ogni mattina mi alzavo presto per fare un giro a Central Park, perché era l'unico luogo che mi desse un po' di pace. Mentre camminavo osservavo con una certa malinconia tutte quelle donne che facevano footing alle sette di mattina prima di rituffarsi nell'inferno di cemento. Secondo te perché in ogni città c'è un parco o un giardino? Perché senza quella porzione di verde ci sentiremmo soffocare.»

«Beati voi che siete rimasti nel paradiso terrestre allora», esclamò Vin incrociando le dita delle mani dietro la nuca. «So che siete alquanto orgogliosi di ciò che avete creato.»

«è così, anche se non è del tutto corretta come affermazione. Questi luoghi esistono dall'alba dei tempi. Noi non abbiamo creato nulla. Ci siamo limitati a preservare.»

«Preservare. Direi che è la parola azzeccata per questo posto. Siamo arrivati. Puoi lasciarmi qui, grazie Oliver.»

Il vicesceriffo scaricò Vincent all'Hotel Rose con un saluto amichevole, intento a celare la sua diffidenza. L'auto si allontanò, finché le luci dei fanali non scomparvero nel buio delle strade di Silver Lake. Price si mise una mano in tasca come per cercare un pacchetto di sigarette, per poi rendersi conto di aver smesso di fumare da quasi un anno ormai. Si ricompose tra sé e sé. Dopo essersi accertato che non c'era nessuno nei paraggi, prese a camminare. Le parole di Henry Sullivan gli ritornavano alla mente. Per quanto Vincent avesse insistito, il boscaiolo non era voluto entrare nello specifico, ma le sue informazioni si erano rivelate comunque molto utili. Ma di chi poteva essere spaventato e come sapeva certi dettagli, ancora non lo aveva capito. "Guardati attorno. Ci sono cose più vecchie degli alberi qui", gli aveva detto. Si guardò attorno: aveva ragione. "E' come se un velo di vecchiaia si posasse su ogni angolo di questo posto, pensò."

Certo era che si sentiva qualcosa di strano. C'era un misterioso legame alchemico tra quell'ambiente e le persone che lo riempivano. Ogni abitante di quel tranquillo paese gli appariva come un personaggio unico, ben delineato e caratterizzato, ma al contempo parte del tutto. La sensazione era quella di trovarsi in un teatro, seduto su una poltroncina di velluto rosso intenti a guardare il palco, dove ogni oggetto di scena e ogni personaggio avevano un ruolo ben preciso, all'interno del grande spettacolo della vita. E certe volte la vita gli appariva come una buffa tragedia, così grottesca e goffa. Una sceneggiatura lasciata incompiuta, riempita frettolosamente con scarti di pensieri per essere portata in scena nel momento più inaspettato.

Nella sua mente frammenti di immagini cercavano una collocazione. Vincent aveva sentito ciò che gli sfuggiva passargli più volte accanto, ma non era mai riuscito ad afferrarlo. Sentì che il sonno lo stava abbandonando. Così si diresse alla Tana del Gufo per schiarirsi le idee con un goccio di brandy. La padrona, Amanda Reed, lo guardò con iniziale stupore, dopodiché lo salutò calorosamente, chiedendogli cosa desiderava da bere. Ad ogni sorso i pensieri andavano delineandosi nella sua mente. Mentre quella figura, quell'uomo, che Henry affermava di aver visto nel bosco rimaneva immobile al centro dei mille ragionamenti, e di questi nessuno era veramente plausibile. Quell'uomo, pensò, era la chiave di tutto. ma non si trovava serratura che potesse aprire. In parole povere quella chiave non aveva ragione di esistere. O perlomeno così sembrava. Se si trattava davvero del Chirurgo, James Cooper, come Henry sospettava, allora chi erano gli uomini che lo inseguivano? Purtroppo il ricordo era incompleto e la lontananza delle sagome tra i fitti alberi di abete avevano contribuito ad una visione ancora più sfocata e distorta. Ma nonostante ciò Henry era quasi sicuro che quell'uomo fosse proprio lui. "Se così fosse, forse in questo locale Cooper non ci ha mai messo piede", pensò.

Vincent bevve l'ultimo sorso. Dal fondo del bicchiere prosciugato saliva l'aroma del brandy e del legno. Inspirò più forte: qualcuno alle sue spalle stava mangiando del pollo fritto. Tutt'attorno un piacevole silenzio univa i commensali nel loro solitario masticare. Mentre alla radio Louis Armstrong cantava di quanto fosse meraviglioso il mondo.

Al di là della nebbiaWhere stories live. Discover now