Capitolo quattro

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Pioggia che batte forte, abiti scuri, occhi bagnati. Questo è ciò che ci si aspetta da un funerale. Ma quel giorno non pioveva, il cielo si limitava a minacciare acqua senza avere intenzione di mandarne giù veramente. L'intera comunità si era radunata per dare il suo ultimo saluto a Jacob Hill. Chi indossava l'abito da lavoro, chi la solita giacca sudicia, da trent'anni. Chi la solita faccia. Quei panni erano parte della loro identità ormai. Erano parte del personaggio, un po' come Paperino e la sua blusa da marinaio. Un po' come Hitler e la sua uniforme. La voce del pastore sbiascicava salmi che si andavano a perdere nel vento.

Polvere alla polvere, cenere alla cenere...

Nella sua navigata carriera Vincent aveva assistito ai più efferati delitti. La vista di un corpo morto gli lasciava ormai poco spazio alla pietà e allo sgomento. Ma ora le prospettive sembravano cambiate. In tutti quegli anni trascorsi a cercare prove e moventi non si era mai soffermato sul vero perché delle cose. Cominciò allora a chiedersi quale fosse il senso di tutto ciò. Il significato della vita e della morte, cose del genere insomma. Gli venne in mente una frase del Macbeth sentita anni prima:

"La vita non è che un'ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla."

Si chiese se fosse realmente così. Sperò di no.

Il pastore smise di parlare e la bara venne calata nelle profondità della terra. Qualche goccia di pioggia timidamente iniziò a scendere, infrangendosi sui cappelli dei presenti. In fondo alla comitiva Henry Sullivan seguiva lo svolgersi della cerimonia con un certo distacco, assorto nei suoi pensieri. Ricordò quando due sere prima, alla Tana del Gufo, aveva parlato con Jacob per l'ultima volta. Le parole di quelle conversazione erano annebbiate dall'alcol, ma lentamente il suo cervello le stava facendo riemergere da quel torbido mare di ricordi frammentari. Si parlava di Cooper, che era morto. Era stato proprio lui a riferire al vecchio Jacob dell'accaduto. Non c'era da sorprendersi, pensò: la metà degli abitanti era già a conoscenza dell'episodio dopo solo un paio d'ore da quando era avvenuto. Le voci corrono in fretta nelle piccole città. Con la mente ritornò indietro fino all'incontro avvenuto nel bosco, il pomeriggio dello stesso giorno. A quell'uomo che fuggiva. "Che fosse Cooper?" si chiese. In quel momento l'idea che lo fosse gli parve incredibilmente chiara e logica. Si aggirava per il bosco con una pistola, chi poteva essere se non il killer? Un killer impaurito e spaesato, che si era avvicinato a lui. Un'implorazione che non aveva ascoltato. Si rese conto di aver evitato una bella rogna.

Henry si allontanò dal resto dei presenti e prese a dare un'occhiata ad alcune tombe nel cimitero. Una mano gli si posò sulla spalla.

«Qualcosa che ti è tornato in mente?» gli chiese Vincent.

«No, nulla di importante.»

«Pazienza, cosa guardi?»

«Non si vede?»

«Sì, infatti. Sai, provo un certo interesse per gli epitaffi. Mi chiedo quali vite passate si nascondano dietro una data e una croce. Prendi questa qui ad esempio: nata nel 1826 e morta nel 1890. Non se ne sa altro, a parte che 'fu una donna onesta, timorata di Dio e madre di famiglia', come dice l'iscrizione. Ma non c'è più nessuno che possa dirci chi fosse realmente questa donna. Nessuno che abbia sparlato alle sue spalle per una vita per poi tesserle addosso, una volta morta, un abito in odore di santità. Già me lo immagino il girotondo di ipocriti attorno alla sua tomba, pronti a raccontare con aneddoti più o meno romanzati la bontà di questa donna. Mi chiedo cosa direbbe lei se potesse parlare. Non avrebbe più niente da perdere. Potrebbe finalmente raccontare con tutta sincerità che razza di persona era stata in vita, cancellando di colpo tutte le menzogne che la gente aveva detto su di lei. Magari è stata una vera bastarda! Odiata da tutti.»

«Ne hai di fantasia per essere un agente federale.»

«Diciamo che un po' di fantasia aguzza l'ingegno nel mio lavoro, basta non abusarne. Tu invece come te la cavi con l'immaginazione? Perché non riesco a capire se hai visto per davvero quello che pensi di aver visto o te lo sei soltanto immaginato.»

«Non me lo sono immaginato! Cos'è, mi credi pazzo?»

«Oh certo che no, altrimenti non avrei mai iniziato questa conversazione. Parlare davanti a una tomba con uno sconosciuto non rientra tra le mie priorità. Perciò dimmi cosa hai visto.»

«Un cervo.»

«Un cervo?»

«All'inizio credevo fosse una persona. Ho pensato potesse essere il killer. Ma era solo un cervo e io ero troppo sbronzo per notare la differenza.»

«Capisco, un cervo quindi.»

«Sì.»

 Il funerale volse al termine. Vincent tornò al suo alloggio, presso l'Hotel Rose. Informò i suoi superiori che sarebbe rimasto a Silver Lake ancora qualche altro giorno, dopodiché si preparò la cena: una simmenthal con contorno di insalata. Mentre mangiava accese il televisore. Sul canale tre davano un vecchio cabaret degli anni '70. La voce del comico sul palco gli teneva compagnia, riempiva il silenzio di quella camera d'albergo. Non importa cosa dicesse, l'importante era che parlasse. Si sentì gradualmente piombare addosso tutta la stanchezza delle indagini condotte nelle ultime dodici ore, da quando aveva trovato il cadavere in piena notte fino al funerale. Non aveva avuto neanche un attimo di pace ed ora era stremato. Si buttò sul divano e nel giro di due minuti si addormentò profondamente. Mentre il comico alla tv si apprestava a fare la sua ultima battuta.

Al di là della nebbiaWhere stories live. Discover now