Capitolo tre

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Il detective era ora visibile e si faceva strada tra allegre famigliole e arzille coppie di anziani per poi nuovamente scomparire e ricomparire a tratti. A Jacob Hill mancava così poco per raggiungerlo. Avanzava affannato nel pulviscolo di gente che lo circondava, tendendo la mano verso di lui, che si faceva sempre più vicino. Infine gli afferrò il lembo del giubbotto.

«Signor Price.»

Vin si girò e vide un vecchio dallo sguardo vacuo, capelli bianchi arruffati e barba incolta. Aveva un naso sporgente e dei piccoli occhi infossati che lo fissavano.

«Salve, lei è?»

«Mi chiamo Jacob Hill.» Si inumidì per qualche istante la bocca impastata. «Io credo di sapere, anzi io so.»

«Sa cosa?»

«Cosa sta succedendo qui.»

Vincent lo guardò interessato. «Perché cosa sta succedendo qui?» Chiese ciò con ricercato stupore ma sapeva a cosa si riferiva il vecchio. Sempre che non fosse troppo ubriaco.

«Io so...so perché è stato ucciso...» Il vecchio respirava con agitazione. I suoi occhi lucidi sembravano uscire dalle loro orbite e penetrare nello sguardo di Price. Vincent lo prese in disparte.

«Allora dimmi!»

«Qui? In mezzo a centinaia di orecchi e di occhi? Sei pazzo, ragazzo! Vediamoci fra un'ora a questo indirizzo.» Gli porse un biglietto e si dileguò.

Vincent se lo mise in tasca si allontanò anch'egli dal grosso della festa, dopodiché lo tirò fuori e lo lesse:

 MUSEO DI STORIA E CULTURA LOCALE DI SILVER LAKE

CASA DEL CUSTODE

DOWNVALLEY STREET

 Lascerò la porta aperta


Intorno all'abitazione di Hill la tenue luce di un lampione era tutto ciò che si opponeva al buio totale della notte. La porta, come previsto, era accostata. Tanto a quell'ora poteva essere soltanto Vincent. Il detective entrò, invadendo l'oscurità che infestava la casa, e fu accolto dalla rassicurante luce di un focolare che riscaldava quelle vecchie e fredde mura. Un maestoso camino, degno di una villa aristocratica, albergava in fondo alla cucina. Vincent si guardò attorno. Notò delle scale che conducevano a un soppalco da cui si intravedeva una camera illuminata. "Il vecchio deve essere lì", pensò. "Probabilmente non mi ha neanche sentito arrivare."

A tastoni cercò l'interruttore e lo accese. Salì le scale di legno, che sotto il peso delle sue scarpe emettevano un dolce scricchiolio. Osservò il piano sottostante: era una casa certamente semplice e arredata alla meglio ma nell'insieme gradevole, a parte la carta da parati a fiori verde che conferiva al resto dell'arredamento una nota di tristezza. Si diresse verso la camera illuminata. La porta era socchiusa.

«Signor Jacob? Sono io, Vincent.»

Bussò, aspettò qualche secondo ed entrò. La prima cosa che risaltava all'occhio quando la porta si apriva era un dipinto affisso in fondo alla parete, in cui erano raffigurati due galeoni in mezzo ad una tempesta. Alla sua sinistra c'era una libreria, ricca di polvere e povera di libri, mentre sulla parete destra uno scrittoio con una lampada accesa. Del vecchio neanche l'ombra. Capì che era inutile continuare a cercarlo dentro casa, e probabilmente lo era anche aspettarlo lì. Si era imbattuto in un povero ubriaco, reso paranoico dalle troppe bottiglie di whisky scolate negli anni. Scese le scale e si diresse verso l'uscita. Poi stette fermo sulla soglia per qualche istante. Si rigirò. C'era ancora una porta. Proprio lì, accanto al camino, in una rientranza della cucina, c'era una porticina. Vincent la guardò e dopo averci pensato un po' su, richiuse la porta d'ingresso e tornò in cucina. Aprì invece quella porticina e si ritrovò di fronte altre scale che portavano ad una soffitta. Vincent cercò l'interruttore; non lo trovò. Allora osservò un altro poco quelle scale. "D'accordo, già che ci siamo..."

Salì le scale facendosi luce con il cellulare. Queste scricchiolavano peggio delle altre. Ad ogni gradino Vincent temeva di sprofondare e di trovarsi incastrato in quelle assi di legno, con tutta la parte bassa del corpo ciondolante a mezz'aria. Un odore di vecchiume permeava ogni cosa. Una volta fatte le scale, Vincent si chiese che cosa ci stesse a fare lui lì, nel buio completo. Non aveva senso. Agitò il cellulare su e giù per controllare il contenuto della soffitta: alcuni scatoloni, dei barattoli di pomodori, un vecchio tagliaerba, una ruota, una mano, dei..."una mano?"

La luce era fioca, si avvicinò per osservare meglio: sembrava proprio una mano. Continuò ad avanzare con il cellulare diritto davanti a sé. Ora c'era un braccio. Spostò il cellulare verso sinistra.

«Mio Dio», sussurrò.

Il vecchio Jacob se ne stava crocifisso, con le mani inchiodate alle assi di legno della parete. Un rivolo di sangue gli scorreva in volto e andava a formare una macchia scura sul pavimento. Gli occhi erano sbarrati e la bocca, spalancata, mostrava i denti digrignanti e giallicci. A parte le mutande, non aveva vestiti addosso. La sua pelle pallida e molliccia sembrava un involucro ormai vuoto e raggrinzito. Vincent distolse lo sguardo ma poteva ancora sentire il rumore costante del gocciolio di sangue che si riversava sulle assi del pavimento. Gli echi della festa erano scomparsi. Non si udivano né musica né grida ma solo il silenzio della notte che avvolgeva ogni cosa. E non si vedevano bagliori se non il bianco candore di una luna calante in un cielo ricco di stelle.

Al di là della nebbiaWhere stories live. Discover now