Quel foglio era lì, davanti ai suoi occhi, come un incomprensibile rebus. Ancora stordito e confuso dalla movimentata mattinata che aveva avuto, con i polsi fasciati di nascosto per non far vedere le ustioni, si stava lasciando lentamente andare alla deriva, come se le informazioni fossero così tante da non riuscire a passare tutte assieme per la porta, provocando un annichilimento dei suoi pensieri. Il soffitto di legno della camera gli appariva improvvisamente basso e opprimente. La sua mente sembrava chiusa a chiave. Gettò uno sguardo fuori della finestra e vide i fumi della segheria elevarsi verso il cielo plumbeo. Era una giornata di sonno e di incompiutezza. Una giornata di pioggia che non arrivava mai. Erano successe tante cose e se le sentiva addosso tutte, pesanti come quel cielo. Decise di andarsi a fare un goccio per rimettere in circolo un po' di ossigeno al cervello. Si diresse alla Tana del Gufo, ed entrato si mise a sedere di fronte al bancone, aspettando qualcuno che lo servisse. Il locale era quasi vuoto e il fuoco aveva già cominciato a riscaldare l'aria, in attesa della clientela serale. Di lì a poco Amanda Reed, la proprietaria, uscì fuori dalle cucine e gettò su Vincent un'occhiata di stupore mal celato.

«In cosa posso servirla, agente?»

«Sorpresa di vedermi qui a quest'ora?»

«Beh a quest'ora di solito i poliziotti stanno con altri poliziotti, a fare il loro lavoro da poliziotti. E poi, sinceramente, pensavo fosse ripartito per New York ormai.»

«Ho avuto una giornata lunga e difficile. Mi sono concesso un po' di riposo. Per quanto riguarda la seconda affermazione, non la credo. Non è da molto che sono qui ma abbastanza da capire che l'ultimo a sapere cosa faccio sono proprio io. Comunque un bourbon con ghiaccio, grazie.»

«Non credo che le serva. Ha già la lingua sciolta, detective», disse la donna prendendo da dietro il bancone la bottiglia del whiskey.

«é nativa di qui, signora Reed?»

«Signorsì, da tre generazioni! Sono nata e cresciuta in questo posto. è la mia casa.»

«Sono sincero, lei non è la prima persona in cui noto un certo attaccamento alle proprie radici da quando sono a Silver Lake. C'è un senso di appartenenza molto forte qui, più che in altri posti. Come mai?»

«Silver Lake è una piccola comunità montana. Siamo sempre rimasti isolati dal resto dell' America. Di contro questo ha permesso la sopravvivenza di valori ormai andati perduti altrove: lealtà, onore, rispetto. E sopratutto senso di appartenenza. La gente che vive qui non si sente parte del mondo. Gli basta sentirsi parte del posto.» La donna alzò lo sguardo e guardò Vincent per una manciata di secondi. «C'è forse qualcosa di sbagliato in questo?»

«No, nulla. Ognuno conduce la propria esistenza come più gli aggrada», rispose il detective, e mandò giù un altro sorso di bourbon. In quel mentre entrò Henry Sullivan, che andava a farsi il suo solito bicchiere a fine lavoro. Si sedette sul bancone, a neanche un metro da Vincent. Salutò Amanda che, senza aggiungere altro, gli porse una birra doppio malto in bottiglia piccola. La solita. Nel locale si diffuse un piacevole silenzio, mitigato in parte dalla radio in sottofondo che trasmetteva una vecchia canzone dalle tinte delicate e notturne. Poi, dopo qualche sorso, Henry si voltò verso Vin e lo guardò per un momento. E riprese a bere.

«Sei ridotto a uno straccio!» gli disse.

«Felice anch'io di rivederti», rispose Price, con un mezzo sorriso dipinto in volto.

«Sembra che questo luogo ti stia succhiando l'anima.»

«è che», abbassò la voce, «ho avuto un problemino con un morto.»

«Chi?»

«Il tuo amico nel bosco. O meglio, l'uomo che credevi che fosse.»

«Ti riferisci a Coo...»

Al di là della nebbiaWhere stories live. Discover now