Capitolo 36 - I Rifugiati (Parte 2)

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Ho impresso nella mente questo suggestionale panorama apocalittico come se fosse uno foto. Un leggero fastidio nella tempia mi distogliere dal guardare  come se delle nocche stessero tamburellando nella mia testa. Mi isso dal macigno di pietra, tutt'altro che comodo e gli oggetti diventano sfumati.
Mi volto e Daren e a pochi metri da me intento ad esplorare la zona.
«Io riscendo.» Lo informo.
«Sto venendo anch'io.» È la voce di Daren che odo distante anni luce. Percorro lo stretto corridoio per poi giungere di nuovo nell'arena incavata nella pietra. Mi fermo, ma tutto rotea vorticosamente: le persone di sdoppiano e il dolore alla tempia cresce.
«Carl...» È una voce. È alle mie spalle? Davanti?  Non riesco a discernere la provenienza. Sono disorientato e un attimo dopo il mio corpo si lascia calamitare dalla gravità. Casco con la tempia al suolo precipitando nelle tenebre.

***

Cosa mi è successo? Ora la vista mi è tornata nitida.
Sono di nuovo nel cronicario in cui mi sono risvegliato poche ore fa e ho di nuovo un ago conficcato nelle vene, e questa volta fa più male del solito.
Il metallo si è permeato nella mia pelle. Volto lo sguardo incontrando la donna di colore. 
«Come ti senti?» Mi domanda lei pacata; la sua è una ninnananna.
«Cos'è successo?» Chiedo di rimando. 
«Il tuo cervello ha fatto uno sforzo inaudito e così il corpo ha collassato.» Risponde lei. Gira il tablet e uno scanner blu scansiona il mio braccio. Mi ritraggo per poi arrendermi ai controlli.
«Sei un tipo a cui non piace stare a letto» Dice lei sfoggiando un sorriso dolce.
«Devo riuscire a recuperare una persona; non posso perdere altro tempo.  Lei si spaventerebbe a scoprire cosa è stato iniettato nel mio corpo.» Mi isso levando l'ago nella mia vena. Ormai è un rituale ad ogni risveglio.
«Fermo! Devi restare ancora a riposo. Il tuo corpo potrebbe collassare da un momento all'altro.» Pronuncia la dottoressa con fare preoccupato.
«Non posso, come le ho già detto devo andare.»
«Il tuo DNA è diverso dagli altri e il tuo corpo potrebbe risentirne maggiormente.» Constata lei in tono stentoreo. Le luci sono quasi inesistenti e alcune lampade di sono spente.
«Prima dello scoppio della guerra, effettuavo ricerche sui danni che i DNA sintetici provocavano all'uomo .» Insiste lei.
«Sono felice, così in futuro potrà aiutare le persone a cui vengono impiantati dei DNA sintetici. Se ci sarà un futuro per noi.» Rispondo scettico.

«Capisco il tuo desiderio di salvare la persona che ami, ma è rischioso. Il tuo copro risentirà degli effetti del DNA.» Si alza dalla sedia e segue vispa ogni mio spostamento.
Mi cristallizzo sulla soglia del varco «Può aiutarmi a far resistere il mio corpo?» Domando cercando di prevenire ogni eventualità. Se dovrò affrontare questa battaglia da solo, dovrò essere al massimo della mia forza.
«Un modo c'è...» Si sbilancia timorosa fissando il pavimento. «Ma è rischioso!»
«Sono abituato al rischio.» Dico freddo. «Qual'è la soluzione?»
«Non molto tempo fa ho creato una siero in grado di aiutare le cellule e sostenere i ritmi accelerati del corpo, come nel tuo caso. Ma non l'ho mai testato.» Afferma perplessa.
«Bene! Può procurarmi questo siero?» La donna è sorpresa della mia risposta.
Annuisce e si incammina verso l'uscita in penombra. Mi fa segno di seguirla e senza fronzoli ubbidisco. Camminiamo per un po' sino a giungere in un deposito di medicine. La stanza è concentrata e tanto grande da contenere quattro scaffali per ogni lato della parete rocciosa. Quasi tutte le mensole sono vuote; sono presenti solo alcuni flaconcini e bottigliette aperte che contengono pochissimo liquido al loro interno.
«Ormai ci sono rimasti pochissimi medicinali!» Afferma mesta.
Avanza verso uno scaffale per poi spostarlo dalla parate. Si abbassa e pesca un flaconcino contenente del liquido blu.
La dottoressa osserva per qualche minuto le boccette, poi si alza ponendomi il siero. Ma Daren bighellonando e fischiando si piomba nella stanza.
«Carl, sono andato in quella specie di ospedale, ma non c'eri. Tutto bene?» Chiede dalla soglia del varco. Appena avvista la sostanza del liquido sfoggia un sorriso sornione. «Questo posto mi piace perché finalmente c'è una dottoressa di colore» Afferma euforico, e la dottoressa elargisce un sorriso. «Quando sei pronto a partire, vieni a cercarmi così ti inietto il siero.» Aggiunge lei sorridendomi con gli occhi. Agguanto il flacone osservandolo per qualche secondo. «Grazie.» Bofonchio.
La sua mano è soffice e delicata, mi ricorda la mano della mamma. «Ho deciso di fare il medico per aiutare le persone, non per farle ammalare. E poi il mio nome è Opal.» Finisce sorpassandomi. Il suo corpo crea una debole raffica di vento freddo che alza leggermente i miei capelli.  «Se ci fermassimo qua?» Domanda e il liquido crea un riflesso nei suoi occhi.
Rimugino sulla domanda, per poi riflettere se è davvero Daren quello che ho davanti, ovvero la stessa persona che voleva sterminare tutti i Ribelli, oppure è un'altra persona, quella che vuole restare in questo posto senza fare nulla per porre fine alla guerra.
«Vorresti dire che dovremmo rinunciarci, che io debba arrendermi e lasciare Chryssa e mio fratello nella grinfia di mio padre?»
Lui tentenna. «N-no...» Balbetta. «Volevo solo dirti che sono stanco di tutto questo. Carl non possiamo fermali! Anche se i Rifugiati si alleassero a no, non ce la faremo.» È la prima volta che mi sofferma a rimuginare quanto questa guerra ci abbia mutato nel profondo. Un tempo l'entusiasmo era l'unico sentimento di cui Daren disponeva, invece adesso, la pusillanimità della guerra l'ha invaso.

MARXAN: LA PRIMA GENERAZIONE [PRESTO CARTACEO]Where stories live. Discover now