Prologo.

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Canzoni per il capitolo:

Ludovico Einaudi ft. Greta Svabo Bech - Circles

One Two - Without You

"Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi." diceva Nietzsche.

«Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi», diceva Nietzsche. Riuscivo a rispecchiarmi in molti aforismi, ma quello era l'unico che in un qualche modo, ogni volta che guardavo il cielo, mi ricordava le tantissime difficoltà e i tantissimi problemi che avevo affrontato in quegli anni. La mia vita non era stata semplice, ma lo è mai per qualcuno? Eppure ho sempre pensato che il bello fosse proprio quello: incontrare tante difficoltà lungo il proprio cammino, e saperle affrontare a testa alta per uscirne come per- sone migliori.

Tutto iniziò durante gli anni delle medie, quando pensavo che svegliarsi presto la mattina fosse l'unico mio grandissimo problema.

Avete presente quando nella vostra vita entra a far parte una persona che fin da subito, ne siete sicuri, sarà in grado di offrirvi talmente tanto da poterle dare la vostra totale fiducia? Questo è ciò che mi successe.

A dodici anni non ero una di quelle ragazzine timide che amano stare da sole, anzi, mi piaceva essere circondata da tanti amici. Ero molto espansiva, estroversa, solare. D'altronde, come potevo non esserlo quando attorno a me avevo persone che riuscivano a trasmettermi solo positività, come per esempio il mio migliore amico, Tommy, e i miei genitori?

Alla mia classe un giorno si aggiunse un ragazzino davvero particolare. Mi fece sorridere quando lo vidi per la prima volta. Era buffo: i capelli mossi gli coprivano in parte il viso paffuto e portava occhiali da vista con la montatura blu. Teneva lo sguardo basso e le spalle ricurve. Lo osservai incuriosita, seguendo ogni suo movimento e ascoltando ogni breve parola sussurrata davanti all'intera classe.

«Sono Ethan, piacere», si presentò, le guance che diventavano via via più rosse, fino quasi ad assumere lo stesso colore della maglietta che indossava. Era un ragazzino imbra- nato e strano, e io ero affascinata dalle persone che in qualche modo si distinguevano dalle altre. Aspettai con ansia la ricreazione per avere l'occasione di parlargli. Mi avvicinai a lui per presentarmi.

«Ciao, sono Désirée, ma tu chiamami Daisy. Ti va di essere mio amico?»

Di solito, a quella mia domanda, i ragazzi scoppiavano a ridere: sembrava una frase un po' troppo diretta. Però, almeno, di solito rispondevano qualcosa. Lui no. Ethan si limitò semplicemente ad alzare lo sguardo dal suo quaderno per osservarmi. Mi fissò per qualche lungo secondo, prima di cambiare direzione e scrutare qualcosa in cielo. Quello non fece altro che accrescere la mia curiosità.

Nei giorni seguenti riprovai più volte ad avere un dialogo con lui, ma l'unica cosa a cui sembrava dare importanza era il cielo. Il suo quaderno era pasticciato con stelle, lune, soli e nomi stranissimi che, dopo aver fatto una breve ricerca su internet, capii appartenere a delle galassie. Quella doveva essere la sua passione: ecco perché era sempre così distratto a lezione e perché non sembrava dare molta importanza al mondo che lo circondava. Quella scoperta mi fece avvicinare ancora di più a lui: continuavo a fissarlo e a cercare di fargli domande, senza mai ottenere una risposta.

In classe non aveva legato con nessuno, e anche con i professori parlava solo se veniva interrogato.

Stavo prendendo in considerazione l'idea di mollare e di lasciarlo perdere, perché magari preferiva starsene da solo e non aveva bisogno di amici. Ma tutto cambiò verso metà anno. Mi ero promessa che sarebbe stato il mio ultimo tentativo e che, se non avesse funzionato, mi sarei arresa. Mi avvicinai a lui durante la ricreazione. La maggior parte dei miei compagni di classe giocavano in giardino con il pallone, mentre Ethan era seduto su una panchina con un libro in mano, all'ombra di una gigantesca quercia.

STARLIGHTWhere stories live. Discover now