Capitolo Undici: Incontro

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Marzo.

Erano passati quasi due mesi da quella telefonata, due mesi in cui era andata a scuola solo a singhiozzo. I suoi voti ormai erano bassissimi, ma che importava? Nella testa aveva un casino e aveva già deciso di cambiare scuola l'anno successivo; incontrare Grace e le occhiate degli altri compagni di classe, foss'anche solo nei corridoi, era insostenibile.

Era un mercoledì, un piovoso mercoledì di marzo e si trascinava per un corridoio del secondo piano. Era in ritardo per la lezione di Storia ma probabilmente l'avrebbe saltata, quindi non le importava neanche questo. Era tutta la mattina che cercava di ignorare, come al solito, le risatine degli altri. Evitava accuratamente i giorni in cui avrebbero avuto inglese (non aveva alcuna intenzione di incontrare il nuovo insegnante, femmina questa volta a quanto aveva sentito); così era tornata a sfogarsi nell'unico modo che conosceva, seduta nel parcheggio ad inalare nicotina e catrame rifiutandosi di pensare. Rifugiatasi sotto la tettoia dell'uscita della mensa si era seduta su una delle fioriere più coperte, osservando con insistenza gli schizzi d'acqua sulle sue scarpe pur di distogliere la mente e lo sguardo da quel posto. Non aveva ancora superato del tutto quanto successo un paio di mesi prima e ogni volta che si fermava a pensare alla telefonata di Grace le si stringeva lo stomaco, così... "Meglio non pensarci", ripeteva tra sé come un mantra.

«Credevo avessi smesso di fumare...»

Una voce maschile la congelò sul posto, facendole formicolare le mani e le gambe. Sentì attorcigliarsi lo stomaco mentre trovava la forza per voltare, lentamente, il capo verso l'uomo in piedi accanto a lei. Il professore indossava un completo marrone chiaro; la giacca era sbottonata su una camicia azzurra abbinata ad una cravatta blu che Kate trovava di dubbio gusto. Gli occhi le scivolarono dalle mani dell'uomo, ben ferme nelle tasche dei pantaloni, agli occhi mesti ben puntati su di lei. Le sembrava molto triste, rassegnato e sciupato; non rasava la barba da almeno quattro, cinque giorni forse, aveva perso peso e le rivolgeva un sorriso da cane bastonato. Kate pensò che forse voleva nascondere la concavità delle guance con la barba, ma serviva a poco dato che i vestiti gli cadevano addosso inevitabilmente. "Sembra un fiore afflosciato" commentò in silenzio con una stretta al cuore; si sentiva in colpa per avergli fatto perdere il posto, ma allo stesso tempo sentiva di detestarlo per... Per qualcosa, ecco.

«Kathleen... Kate, io voglio chiederti scusa» cominciò il professore con il suo tono calmo e pacato che la irritò terribilmente. Anche se le aveva risparmiato l'imbarazzo di iniziare una conversazione la ragazza si sentì come schiaffeggiata non tanto dalle sue parole quanto dalla sua voce: si alzò di scatto, allontanando la sigaretta e spingendo in fuori le labbra in un'espressione irata.

«Vuole chiedermi scusa, e perché? Lei è stato LICENZIATO perché ha avuto un comportamento inappropriato in orario scolastico, punto!» esclamò, restando a guardarlo mentre l'espressione che aveva in viso mutava in profonda sorpresa: il professore ridacchiava. «Da quand'è che parli come un dirigente scolastico?» le domandò divertito mentre continuava a ridere in maniera più aperta. Oltre che arrabbiata ora Kate si sentiva ferita: come poteva prenderla in giro in questo modo? Non riuscì a controllare le lacrime, che presero a scorrere copiosamente mentre gli occhi restavano fissi in quelli nocciola del professore che, preso alla sprovvista, quasi si spaventò per quella reazione della ragazza. «Kate... Dio mio, no» mormorò, avvicinandosi alla ragazza e prendendola tra le sue braccia. Kate avrebbe voluto respingerlo, andare via, scappare da quella maledetta scuola ma non riuscì a far altro che affondare il viso nella camicia del professore e continuare a piangere tra le sue braccia. Sentiva le mani dell'altro sulle sua schiena, tra i suoi capelli, il calore del suo corpo sul viso e perché è così maledettamente bello?

«Io... Io c-credo di aver fatto una sciocchezza...» mormorò fra le lacrime, probabilmente inascoltata dall'altro. "Meglio così" pensò, seguitando a singhiozzare.

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