Capitolo Nove: Gennaio

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Nessuna festa dura per sempre e, per quanto qualunque studente possa sperare il contrario, a gennaio si ritorna inevitabilmente a scuola. Il giorno del rientro fu tragico: rivedere in un sol giorno Grace e Ashley non fu esattamente la cosa migliore della mattinata, e consapevole della stretta allo stomaco che le sarebbe presa ogni volta Kate pensò bene di saltare la colazione. Fu una scelta saggia, in effetti, data la quantità di stress che la tormentava già intorno alle undici di mattina, ma non avrebbe potuto saltare il pranzo senza rischiare di sentirsi male. Sfortunatamente per lei non aveva messo in conto la necessità di cibarsi, presto o tardi; ragion per cui non portò nulla da casa, trovandosi costretta a dover andare in mensa.

Erano settimane che evitava contatti con chiunque: non aveva nemmeno risposto al messaggio di Grace, evidente scusa per litigare e non di certo per riappacificarsi. Ashley non l'aveva più cercata - il che, per quanto si potesse sentire in colpa, era un bene - e si era totalmente dimenticata del motivo di tutto questo casino.

«Kate!» urlò una voce maschile, quasi ansimante, dalle sue spalle. La ragazza si fermò, sospirò, chiuse gli occhi e si voltò prima di riaprirli; sapere chi si sarebbe trovata davanti non facilitava il tutto. «Cosa c'è, Aaron?» domandò al ragazzo con voce ferma ma stranamente atona. Il viso appariva annoiato, più che arrabbiato o teso, e Aaron rimase interdetto per qualche secondo. «Io... Io volevo chiederti scusa per la festa di Tania. Insomma, per quello che...» «Sì, ho capito» lo interruppe bruscamente lei, facendo per andarsene. «Kate!» la chiamò nuovamente indietro, quasi in ansia. La ragazza ora era visibilmente tesa; strinse i pugni, voltandosi nuovamente verso Aaron. «COSA VUOI» tuonò sillabando, osservando il ragazzo spaurito fare un passo indietro. «Volevo solo chiederti di u-uscire qualche volta...» mormorò lui, occhieggiando il pavimento; sembrava in imbarazzo, stato che faceva internamente godere Kate più di quanto fosse disposta ad ammettere. Fece oscillare i bruni capelli sciolti prima di rispondere con una risata stizzita. «Oh sì, lo vedo! La mia migliore amica ti muore dietro e tu mi salti addosso come un cane. Mi fai litigare con lei, mi fai tallonare da una lesbica e dopo avermi fatto passare delle feste di merda vieni qui, strisciando, a chiedermi di uscire? Ma ti sei bevuto il cervello?» chiede con tono accusatorio a voce alta, altissima; già in molti si erano voltati ad ascoltare al "cosa vuoi", ma alla fine del suo sfogo Kate si accorse di essere stata ascoltata da, se non l'intera mensa, almeno da buona parte di essa. Arrossì, essendo ora anch'essa imbarazzata; credeva di aver chiuso il discorso, ma quando cercò di voltarsi il ragazzo la interruppe per l'ennesima volta. «Allora non sei lesbica!» esclamò lui con un filo di gioia e speranza, e la frase - seppur detta con tono flebile - scatenò qualche minuto d'ilarità in tutta la sala. Kate arrossì fino alla punta dei capelli, tornò a guardare il ragazzo ancora più imbarazzato ed esplose dalla rabbia. «VAFFANCULO, AARON!» gli urlò addosso con tanta forza da farlo scappare via. Kate restò a guardare la sua frangetta nera svolazzargli intorno al capo mentre lui affrettava la sua corsa, poi digrignò i denti e ancora una volta non fece in tempo a voltarsi verso il bancone che una persona entrò nel suo campo visivo.

Grace. La quale, per inciso, stava andando via. «Grace!» urlò lei, ora, cercando di chiamare la sua ex migliore amica, ma prima che potesse raggiungere l'uscita era già sparita nei corridoi. Avrebbe potuto correre, raggiungerla, parlarle, spiegarle; gettò in terra lo zaino troppo pesante per permetterle di rincorrerla e...

«Come hai potuto?»

Una vocina flebile e rotta dal pianto veniva dalla sua destra. Si girò a guardare da chi o cosa provenisse e le si strinse il cuore; Ashley era letteralmente sciolta in lacrime. Si fermò a guardare il labbro inferiore che tremava e tremava impedendole di parlare, i goccioloni che si raggruppavano sotto il mento per poi cadere, i capelli tinti di rosso che si confondevano con le gote e le labbra e anche con gli occhi, ormai; si sentiva in colpa, terribilmente in colpa, ma non poteva dirlo. D'un tratto, la rabbia prese il sopravvento e soffocò anche i sensi di colpa che finalmente cominciavano a far capolino in lei. «Cosa vuoi anche tu da me, Ashley? Io non ho fatto nulla. Hai cercato letteralmente di saltarmi addosso. Tu hai problemi, te ne rendi conto?» le sibilò contro, facendola singhiozzare. Le si spezzava il cuore a vederla così, ma più la guardava più forte infieriva. «Cosa pensavi, che fossi lesbica? E perché mai? Solo perché non ho un ragazzo?» le domandò, scoppiando a ridere. Ashley portò le mani al viso, nascondendolo nelle lunghe maniche del maglione, e cominciò a singhiozzare con violenza. Kate si sentiva non poco a disagio; afferrò lo zaino, se lo portò su una spalla e mandò al diavolo il pranzo, attraversando la sala per uscire nel parcheggio sul retro.

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