Bite my tongue

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CAPITOLO SETTE: BITE MY TONGUE

«... Il primo ordine esecutivo, emanato il 22 Settembre 1862, decretava la liberazione di tutti gli schiavi dai territori...»
Distolse l'attenzione dalla figura dell'insegnante, che stava spiegando nuovamente un argomento già studiato e guardò fuori dalla finestra. Il cielo era ricoperto da nuvole grandi e grigie, quasi nere, che promettevano pioggia da un momento all'altro. Alcuni uccelli neri, forse corvi, attraversavano l'aria con le loro ali dinamiche, come se si annoiassero e non avessero nient'altro da fare. Riportò lo sguardo sul suo quaderno aperto: la penna blu era appoggiata sulla pagina mezza bianca, l'astuccio malamente aperto era posto in cima al banco e lei teneva le sue mani in grembo, senza nessunissima intenzione di prendere nuovi appunti. Non aveva la concentrazione adatta da alcuni giorni ormai: la sua mente viaggiava alla velocità della luce e l'unica cosa che aveva in testa era Derek. In quei giorni non si erano più sentiti, un po' perché aveva avuto impegni con la scuola, un po' perché erano diminuite anche le occasioni di incontro per la sospensione degli allenamenti. Esistevano i telefoni cellulari, ma Derek non si era mai fatto sentire. Aveva paura che fosse arrabbiato con lei: dopotutto, da quando era arrivata, aveva portato solo scompiglio nella sua vita. Deucalion era il problema e il pericolo maggiore a cui aveva sottoposto il ragazzo e quindi capiva se non avesse voluto più avere a che fare con lei. Oppure se non l'avesse chiamata perché si fosse semplicemente stancato di frequentarla.
«Qual è il problema?» sussurrò Malia, dal banco di fronte al suo.
Ripiombò nella realtà e si mosse sulla sedia, avvicinandosi a lei «Cosa?»
«Il tuo cuore sta esplodendo» rispose l'amica, voltandosi indietro e guardandola «E posso quasi sentire le rotelle del tuo cervello muoversi freneticamente, che c'è?»
«Non c'è niente»
«Bugiarda» rispose un'altra voce, proveniente dal banco alla sua destra.
Si voltò verso Stiles e lo guardò mentre la fissava con una mano sospesa in aria senza particolare motivo e la penna incastrata tra le labbra.
«Non sento Derek da qualche giorno» sbuffò, giocherellando con l'angolo della pagina del libro «Ma non è una cosa importante»
Malia la guardò accennando un sorriso e prima ancora che potesse replicare, la professoressa richiamò la sua attenzione «Tate, può dirci gentilmente chi ha promulgato il Proclama di Emancipazione nel 1863?»
La bionda annuì, rimanendo in silenzio. Era ovvio che non conoscesse la risposta, così si infilò l'evidenziatore in bocca ed aprì il libro alla ricerca di un nome, sotto lo sguardo attonito dell'insegnante. Non trovando niente, guardò prima Stiles in cerca d'aiuto, ma lo trovò a ridere come un idiota per una cosa che gli aveva appena detto Scott, così Emma si protese in avanti, avvicinandosi alla testa dell'amica, cercando di non farsi vedere dall'insegnante «Abraham Lincoln» sussurrò.
Malia ripetè sicura la risposta e l'insegnante sorrise compiaciuta «Grazie per la risposta, signorina Grimes»
L'intera classe scoppiò a ridere, mentre Emma arrossiva di vergogna per esser stata scoperta e Malia scuoteva la testa, lievemente divertita.

«Vuoi un passaggio fin da Derek?»
Stiles apparve al suo fianco, mentre, dopo l'ultimo suono della campanella, si avviavano all'uscita. Il ragazzo era sorridente e felice di uscire finalmente da quel posto infernale. Strinse le mani intorno alle bretelle del suo zaino e continuò a camminare.
«Non ho in programma di andare da lui oggi»
«Ma vorresti»
«Stiles, per favore» sbuffò.
Il ragazzo la ignorò completamente: sapeva che non avessero litigato e nemmeno che ci fossero problemi di altro tipo, ma Emma era una sua amica e vederla per giorni con un'espressione pensierosa stampata sul volto non era stato bello. Non c'erano molte occasioni per cui essere felici, nonostante fossero adolescenti in piena crescita e dovessero pensare solo a divertirsi, quindi non voleva proprio che fosse triste soltanto per – ne era sicurissimo – uno stupido malinteso. L'afferrò goffamente per un braccio e la trascinò verso la sua jeep azzurra, ignorando completamente le sue lamentele.
Gemette per la disperazione e l'impulsività dell'amico per tutto il viaggio e alzò il dito medio verso di lui, quando la scese di fronte al loft di Derek.
«Me ne torno a casa» disse, sporgendosi dal finestrino e arricciando le labbra per mandarle un bacio volante. Emma chiuse gli occhi e scosse la testa: aveva ragione Derek, era davvero fastidioso «Tanto non credo che tu abbia bisogno di me»
La ragazza nemmeno lo ascoltò: lo sentì sgommare via e rimase sola di fronte a quell'edificio che tanto la terrorizzava. Anzi, tutto il quartiere, in realtà, le faceva venire voglia di scappare a gambe levate.
Sospirò, cercando di calmarsi e si avviò al suo interno. Non c'era motivo di essere nervosi: era stata lì molte volte e conosceva bene Derek, quindi perché doveva tremare come una foglia e sentire il cuore in gola? Forse aveva paura. Paura che fosse arrabbiato e che la buttasse fuori di casa con la stessa velocità con cui era entrata.
Scosse la testa, dandosi mentalmente della stupida, e si avviò all'interno: trovò il portone principale aperto, così salì le scale fino a trovarsi di fronte alla tana del lupo. Alzò la mano per bussare, ma la porta si aprì senza che lei avesse fatto niente e si ritrovò di fronte ad un Derek piuttosto sorpreso.
«Hey» disse, imbarazzata.
Lui si spostò lasciandola entrare, senza liberarsi di quell'espressione confusa che aveva stampata sul volto «Non dovresti essere a scuola?»
«Siamo usciti un'ora prima»
«Ah» rispose soltanto, poi si sforzò di dire qualcos'altro «C'è qualche problema? E' successo qualcosa?»
Emma scosse la testa guardandosi attorno per un po', per poi tornare a fissare il ragazzo di fronte a sè. Indossava una canotta grigia che li fasciava perfettamente il petto, pregna di sudore. Sicuramente si stava allenando. Aveva un paio di pantaloni, anch'essi stretti, ed era scalzo. Stava in piedi di fronte a lei e la guardava come se si aspettasse qualcosa. Si pentì immediatamente di essere lì, forse avrebbe dovuto lasciare che le cose facessero il loro corso. Eppure sembrava che tutto stesse andando bene: stavano ancora provando, ma avevano trovato un equilibrio tutto loro, fatto di un misto di curiosità ripagata e mistero ancora incompreso. Si passò una mano dietro il collo, massaggiandoselo lievemente, fece poi ricadere il braccio lungo il fianco e lo guardò negli occhi.
«Sei arrabbiato con me?»
La sua voce rimbombò in quella stanza così grande e vuota, eppure già piena di bei ricordi vissuti insieme. Derek la sentì arrivare alla sua mente, ma anche al suo cuore e la sua confusione aumentò. Arrabbiato? Con lei? Gli venne quasi da sorridere per la ridicolezza della situazione. Lei avrebbe dovuto essere quella arrabbiata con lui, soprattutto dopo averle raccontato ciò che aveva fatto a Paige.
«No» rispose quindi lentamente, cercando di intuire la sua reazione.
La bocca della ragazza si aprì in una o muta, piena di sorpresa. Si era aspettata qualsiasi risposta: da un semplice ad un insulto vero e proprio, ma non si era certo preparata a questo.
«Perché pensi che debba essere arrabbiato con te?» continuò il ragazzo, facendo un passo verso di lei e intrappolandola tra il suo corpo e la piccola colonna che era sulla parte destra della stanza.
«Per quello che è successo con Deucalion: Isaac e Aiden stavano per sbranarsi e-» iniziò «Insomma, vi sto mettendo in pericolo»
«Ne ho viste di peggio» rispose allora il ragazzo, accennando un sorriso di conforto «Piuttosto, tu sei arrabbiata con me?»
«Che?»
«Sì, sai... Per la storia di Paige»
Emma lasciò cadere all'indietro la testa e una risatina divertita lasciò la sua bocca, mentre Derek continuava a fissarla senza capire cosa stesse succedendo. La ragazza tornò seria e lo guardò di nuovo «Ti ho già detto che non ha importanza»
Se fosse stata un'altra persona a dargli una risposta del genere si sarebbe infuriato. Ma aveva Emma di fronte e non gli era passato nemmeno per l'anticamera del cervello di arrabbiarsi. L'ultima cosa che voleva era farla soffrire, farle del male; l'ultima cosa che voleva era vederla distrutta ed in pericolo per uno come lui. Era questo in parte il motivo per cui non l'avesse mai chiamata in quei giorni: gli piaceva, di questo ne era sicuro, ma avrebbe fatto del bene ad entrambi se l'avesse allontanata il più possibile da lui e dalla sua vita. Era difficile, perché Emma gli stava facendo provare sentimenti che aveva pensato di non essere più in grado di possedere ed usare, ma la cosa che contava era allontanarla da lui per proteggerla.
«E invece sì!» esclamò alla fine. Emma cercò di fare un passo indietro colta di sorpresa, ma la colonna glielo impedì «Perché non riesci a vederlo? Ho ucciso un'innocente e non mi meraviglierei se uccidessi qualcun altro! Sono un mostro e non mi merito questo. Faccio del male agli altri, metto sempre tutti in pericolo: sono stanco di questa situazione, sono stanco di dover proteggere sempre tutti da me stesso, tu compresa. Non ce la faccio più»
Deglutì a fatica, cercando di rimandare indietro le lacrime. Aveva finalmente capito cosa provasse Derek, ma a sua volta non voleva rinunciare a lui. Sapeva di essere egoista, sapeva che lo avrebbe quindi obbligato a tenerla lontana da qualsiasi tipo di pericolo, ma quello che c'era tra loro avrebbe fatto del bene entrambi. Poteva essere anche un mostro, ma non si meritava di rimanere da solo come un cane per tutta la vita.
«Tu dovresti aver paura di me» riprese, visto che lei non aveva aperto bocca «Dovresti vivere la tua vita e stare lontana da questo posto, perché quelli come noi portano solo guai»
Ancora una volta non replicò, anzi lo guardò per secondi che sembrarono interminabili per poi superarlo e avviarsi verso l'uscita, dopo aver recuperato la borsa. Si sentiva delusa, sconfitta. Aveva pensato che potesse davvero esserci qualcosa di buono e sincero tra di loro, ma non era così.
Scosse la testa e decise di lasciar perdere: si avviò a passo spedito alla porta, ma si fermò di scatto quando fu sulla soglia.
«Sai di cosa ho veramente paura?» Si voltò di scatto, guardandolo con gli occhi lucidi; scese i tre scalini e si avviò lentamente verso di lui. Derek rimase fermo, senza aprir bocca o muovere un muscolo «Ho paura quando mi guardi dalla parte opposta della stanza e non mi parli; quando non so cosa ti passi per la testa; quando sparisci per giorni e pretendi che non mi preoccupi, quando non rispondi alle mie chiamate, quando penso che potresti essere da qualche parte disteso a terra e sanguinante. Ho paura quando penso a quello che provo per te, a quanto tu mi faccia star bene: quando ci penso e mi sento il cuore in gola. Di questo ho paura, Derek, ma non di te»
Il ragazzo rimase per un attimo completamente immobilizzato da quelle parole sincere, uscite come un uragano dalla bocca di Emma. Era sorpreso, stupito, forse anche confuso. Nessuno gli aveva mai parlato così. Nessuno si era mai preoccupato per lui, visto che non aveva mai avuto nessuno che lo amasse e su cui fare affidamento. Ma adesso l'aveva trovato e non era un altro lupo, un amico, o magari un Alpha, come aveva sempre pensato, ma una ragazzina di diciassette anni, che adesso era in piedi di fronte a lui incredula delle sue stesse parole. Così fu costretto a fermarsi un momento, a riflettere: se quello che aveva appena detto fosse vero, se da quelle parole traboccassero i veri sentimenti di Emma, cosa avrebbe dovuto fare? Sentiva uno sfrenato desiderio di parlare, di dire qualcosa, di esprimere i suoi sentimenti, perché ne aveva parecchi per lei, ma qualsiasi cosa pensasse non era abbastanza esatta, precisa, vera in confronto a quello che lei aveva appena detto. Si guardarono per secondi interminabili, vogliosi entrambi che l'altro dicesse qualcosa e rompesse quel silenzio, ma non accadde. Emma voleva scappare e nascondersi da qualche parte, tanto era l'imbarazzo per i pensieri a cui aveva dato voce. Non c'aveva pensato: erano venuti fuori contro il suo volere, ma erano esattamente ciò che stesse provando per Derek. Aveva capito da tempo di avere sentimenti per lui, ma solo in quel momento diventarono concreti e reali. Diventarono parte di ciò che entrambi, insieme, stavano costruendo. Diventarono le fondamenta. Non si aspettò che Derek facesse lo stesso: non era bravo con le parole e probabilmente ancora non era il momento giusto per lui per aprirsi completamente, ma sapeva che sotto quei muscoli e quella corazza dura ed impenetrabile ci fosse un ragazzo normalissimo con sentimenti umani.
«Ti porto a casa» la voce roca del ragazzo la riportò alla realtà, distogliendola dai pensieri. Lo guardò afferrare la giacca e le chiavi dell'auto, mentre un sorrisino di pura e vera felicità si formava sul suo volto. Notò che cercasse di nasconderlo a tutti i costi, e questo la fece sorridere a sua volta. Forse non era troppo tardi.

The girl who cried wolf | Teen WolfWhere stories live. Discover now