Capitolo 6 - Sogni strani (R)

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«Non può essere.»

Il cuore mi batteva all'impazzata e i palmi delle mani iniziarono ad inumidirsi.

«Non preoccuparti, Theo è un ragazzo in gamba tornerà presto.»

L'invano tentativo di Scott di tirarmi su il morale non funzionò un granché anzi, sortì l'effetto contrario: poiché si trattava appunto di un ragazzo in gamba, il fatto che se ne fosse andato mi fece sentire ancora più in colpa.

Strinsi forte il lenzuolo tra le mani. «E se fosse in pericolo? E se fosse ferito rinchiuso da qualche parte? Perché cavoli non siete preoccupati? Perché ve ne state seduti lì come niente fosse? Non siete amici suoi?»

La mia disperazione si mescolò con una potente rabbia: come riuscivano ad essere tanto impassibili?
I due ragazzi non mi guardavano neanche in faccia, rimanevano immobili a osservarsi le mani in grembo, pensierosi probabilmente ma comunque fermi.

Dovevo agire: mi aveva salvato la vita ed io, come minimo, mi sarei preoccupata per la sua. Tentai di alzarmi di scatto dal letto con una conseguente ricaduta dovuta a un forte capogiro.

«Diana, stai bene?!»

La voce allarmata di Stiles mi fece innervosire ancora di più: si preoccupavano di me, persona sconosciuta, ma non di un ragazzo scomparso.

«Sì» risposi acida. Dovevo architettare un piano. «Ora se non vi dispiace vorrei riposare, quindi vi chiedo di lasciarmi sola.» Sprimacciai il cuscino e incrociai le braccia sul petto, segno che per me la conversazione era conclusa lì.

Il volto di Stiles era contratto in una smorfia. «Ma...»

«Stiles, andiamo.» Scott si alzò per primo trascinando dietro di sé l'amico che prima di lasciare la stanza mi rivolse un semplice sorriso dolce come a scusarsi.

Lacrime calde iniziarono a scivolarmi sul viso: mi sentivo così in colpa per Theo, se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai potuta perdonare; in più, come se non bastasse, il fatto che nessuno facesse nulla per ritrovarlo mi rendeva ancora più frustrata. Non capivo il motivo per il quale lo avevano lasciato solo in una situazione simile.

Qualcuno bussò alla porta e io mi asciugai con un lembo del lenzuolo le lacrime, sperando che chiunque sarebbe entrato non se ne sarebbe accorto.

«Buongiorno tesoro.» Melissa fece il suo ingresso con un bel vassoio colmo di cibo: il mio stomaco di rimando brontolò. «Immagino che tu abbia fame, dato che non mangi qualcosa di consistente da qualche giorno ormai.»

Annui soltanto, non avevo voglia di parlare. L'infermiera appoggiò le leccornie sul tavolino accanto al letto e attese che mi servissi. «Allora, vuoi prima la buona o la cattiva notizia?»

Sospirai, allungando le mani verso un bel panino ancora caldo. «Buona.» Speriamo che sia davvero ottima, pensai amaramente.

«Dopodomani puoi già uscire. Tua madre ha mandato all'ospedale tutte le carte firmate, quindi sei libera.»

Finalmente. Emisi un sospiro di sollievo che subito però si mozzò in gola. «E la cattiva?» chiesi tremante.

«Dovrai presentarti ogni settimana per almeno un mese a causa di vari controlli.»

Risi di gusto e quei mi andò di traverso qualche briciola. «E tu la consideri cattiva? Io mi aspettavo la diagnosi di chissà quale male incurabile. Ti consiglio di rivedere la tua gamma di brutte notizie.»

Sorridemmo entrambe.
Il resto della giornata la passai a rassicurare mia madre e così pure il resto della mia famiglia il giorno seguente.

L'ultima notte che passai in ospedale feci un sogno molto strano, anche se forse era più da considerare un ricordo distorto. Era come se fossi in uno stato di veglia, mentre ripercorrevo momento per momento il primo giorno di scuola con la sola differenza che il dolore dei colpi subiti era impresso talmente a fuoco nella mia testa che, al pensiero, riuscivo a rievocarlo e dunque a provarlo nuovamente.

«Svegliati, svegliati Diana.» Mi sentivo percuotere, ma non riuscivo ad aprire gli occhi.

«È solo un incubo, apri gli occhi e tutto svanirà.» Udivo la voce di qualcuno che mi parlava, mentre mi prendeva in braccio, ma non riuscivo a staccarmi da quel tormento per rispondergli.

Occhi blu, zanne, artigli, voci gutturali, portarmi da loro...

«Scott, fa' qualcosa! Non possiamo aspettare Melissa.»

«Spostati per favore e va' alla porta: controlla che non venga nessun altro che non sia mia madre a curiosare.»

Percepii uno spostamento, una mano raccolse la mia; le continue fitte pian piano si affievolirono lasciando spazio ad un'innaturale senso di pace.

Le figure mostruose che nella mia mente mi percuotevano, non mi facevano più alcun male e riuscivo a vedere tutto con maggior lucidità.

«Scott, sta funzionando?»

«Credo proprio di sì dato che ora sono io a star soffrendo come...» Non riuscì a completare la frase che Stiles ridacchiando lo precedette.

«Un cane» concluse soddisfatto di tale affermazione.

Li sentii parlottare in sottofondo mentre, pian piano, ripresi conoscenza; dopo lunghi attimi di silenzio e tre paia di occhi - nel frattempo era sopraggiunta anche Melissa - puntati su di me, l'infermiera si decise a fare domande.
«Allora, cos'è successo?»

Mi interrogai anche io su tale quesito, ripensando a tutto ciò che ero riuscita a ricordare, quasi immobilizzandomi. «Io non ne ho idea.»

Ero ancora tra le braccia del ragazzo dai capelli neri che mi cingeva con fare protettivo. La porta si aprì all'improvviso e, una Lydia vestita in modo impeccabile piena di buste riportanti l'insegna di vari negozi, fece il suo ingresso.

«Che ci fate tutti qui?» Scrutò i presenti con fare indagatore e, dato che nessuno si accingeva a rispondere, lei proseguì fingendo che fosse tutto perfettamente normale. «Io, sono venuta a prendere Diana. Abbiamo un programma fittissimo oggi in preparazione di stasera.»

«Stasera?!» esclamammo in coro.

La ragazza dai capelli rossi fragola si diede un piccolo schiaffo sulla fronte, alzando gli occhi al cielo. «Sì. Stasera. C'è il ballo in onore dell'inizio della scuola, ricordate?»

«Cosa?» Mi uscì un suono strozzato. Non riuscivo a crederci. Considerando poi che non avevo nemmeno un cavaliere, la mia voglia di parteciparvi era pari a zero.

Lydia venne al mio fianco, mandando via i due ragazzi. «Cara, sei l'unica scusata. Voi due invece, dovreste essere già a casa a prepararvi, manca poco oramai!»

«Ma se sono appena le otto e mezza di mattina» affermò Melissa convinta.

«È già anche tardi per i miei gusti, soprattutto se quest'anno dovrò aiutare un'invalida a prepararsi.» Mi fece l'occhiolino e non potei altro che sorridere grata. «Quindi se non vi dispiace ragazzi, vi rubo la dama per il resto della giornata.»

Con dolcezza mi aiutò ad alzarmi, neanche fossi fatta di ceramica.
Una volta con i piedi sulle fredde piastrelle, constatai che mi sentivo decisamente meglio: tesi le braccia verso l'alto e mi stiracchiai, tirando ogni singolo muscolo del mio corpo.

Grazie al cielo le costole incrinate erano già stranamente guarite, così come le varie micro fratture e slogature; un miracolo secondo i dottori. Nonostante i lividi fossero ancora visibili, non si spiegavano come fossi riuscita a riprendermi tanto in fretta.

«Raccogli le tue cose» disse la rossa, perentoria. Feci per prendere alcuni vestiti e con l'aiuto di Melissa andare in bagno per indossarli, ma venni fermata. «Non c'è bisogno che ti cambi, abbiamo fretta.»

Poco convinta, annuii. «D'accordo.»

La osservai con un misto di diffidenza e fare scettico, ma alla fine, sotto lo sguardo incredulo dei presenti e con indosso un camice dai colori slavati, indossai le scarpe e uscii seguita da Lydia.

Purtroppo non feci nemmeno più in tempo a parlare con i due ragazzi che per chissà quale motivo erano già lì al mio risveglio e, soprattutto, non riuscii a scusarmi con loro per il mio completamento. Avrei rimediato alla festa la sera stessa.

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