CAPITOLO VENTIDUESIMO

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~Non dichiarai mai il mio amore a parole; eppure, se gli sguardi sono un linguaggio, anche il più perfetto idiota avrebbe capito che ero perdutamente innamorato.~
-Emily Brontë (cime tempestose)

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-Il coniglio si può mettere nel brodo. Possiamo fare una zuppa.- dice la ragazza con la voce ancora segnata dall'imbarazzo.
-Mi sembra una buona idea- si intromette Gale per alleviare l'aria di tensione nella piccola grotta.
Passiamo le due ore consecutive a spellare il coniglio e tagliarlo a cubetti dopo averlo cotto. Lavoriamo fianco a fianco, gomito contro gomito in silenzio, mentre Gale sonnecchia in un angolo. Gli unici suoni che fendono l'aria sono i colpi di tosse che provengono dalla ragazza. Non è un buon segno.
Un odore invitante si sparge nell'aria e Gale apre gli occhi, ha fame, bene.
Ci sediamo tutti e tre in cerchio passandoci a turno la piccola ciotola di zuppa. Far bere il brodo a Gale si rivela più difficile del previsto. Manda giù qualche cucchiaiata e poi dice di essere sazio. Ci vuole un'ora di adulazioni, suppliche, e di minacce ma alla fine, un sorso alla volta, lui svuota la pentola. Poi lasciamo che si addormenti.
-Allora,- comincio -da quanto tempo siete qui?- le chiedo.
Il suo viso diventa tutto rosso ma subito lei nasconde le sue emozioni.
-Da due o tre giorni. L'ho trovato vicino al fiume mentre riempivo la borraccia e l'ho portato fin qui a forza.- un colpo di tosse la scuote. Sta peggiorando.
-Lo so, hai lasciato delle tracce.-
-Ho fatto del mio meglio.- Mi guarda, i suoi occhi sono taglienti.
-Almeno io non l'ho abbandonato.- Mi ricorda.
-È stato lui ad abbandonare me.- Preciso. Poi mi ricordo. -Però si è fatto perdonare.- Mi correggo con finta malizia.
-Ho notato.- Il suo sguardo di nuovo tagliente.
-Lo ami?- Mi chiede.
-Si- È più facile mentire davanti a lei.
-E tu?- Le lancio un'occhiata. Le sue guance si colorano di nuovo.
-È mio amico.- Risponde con la voce un po' malferma.
-Non hai risposto alla domanda.-
-È finita l'acqua.- Dice scrollando la borraccia per dimostrare che non contiene nulla. Si alza e si avvia verso il fiume con piccoli passi silenziosi. Qualche colpo di tosse si sente in lontananza.

Scosto le foglie intrecciate usate come porta per guardare il resoconto giornaliero nel cielo. Nessuna nuova vittima. Comunque, io, Gale e la sua amichetta abbiamo offerto al pubblico una giornata abbastanza interessante. Si spera che gli Strateghi ci concedano una notte tranquilla.

Qualche ora dopo Gale e Faccia di Volpe dormono placidamente ai lati opposti della grotta. Mi guardo intorno, cercando un albero adatto per sistemarmi, non ho intenzione di dormire con loro.
-Katniss.- sento una voce chiamarmi e istintivamente mi avvicino al mio amico.
-Ho freddo.- dice. La sua fronte è molto calda ma nonostante questo i suoi denti battono provocando un flebile rumore ritmico. Lo infilo faticosamente in un sacco a pelo e poi mi sistemo insieme a lui per temerlo al caldo. Quando le sue braccia mi avvolgono la vita vengo investita da tutti i ricordi dei primi giorni nell'arena, quando non era tutto una finzione.
Mi sento al caldo e al sicuro vicino a lui ma più passa il tempo più realizzo
che non è caldo, è bollente, perché il sacco trattiene il calore febbrile di Gale. Gli controllo nuovamente la fronte e la sento scottare. Non so che fare. Lasciarlo nel sacco e sperare che cali la febbre? Portarlo fuori e
sperare che l'aria della notte lo raffreddi? Finisco con l'inumidire un pezzo di benda e gliela metto
sulla fronte. Sembra poco efficace, ma ho paura di fare qualcosa di troppo drastico.

Passo la notte fra le sue braccia attendendo che la sua temperatura cali. Ogni tanto cambio la benda e cerco di non soffermarmi sul fatto che, alleandomi con loro, sono molto più vulnerabile di quando ero sola.
Bloccata a terra, di guardia, con una persona gravemente ammalata di cui prendermi cura e una addormentata.

I 74° Hunger Games: GalenissDove le storie prendono vita. Scoprilo ora