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Mi resi conto di piangere solo quando la vista si offuscò del tutto, rendendomi impossibile procedere ancora; non appena mi fermai, però, la fatica si abbatté sul mio corpo, lasciandomi senza fiato: fu come se le budella si fossero intrecciate tra di loro, costringendomi a piegarmi sulle ginocchia, i polmoni si restrinsero come una spugna secca, aumentando di volume solo quando riuscii a prendere un pieno d'aria.

Non lo vidi ma fui certa che Kovu si fosse fermato ad aspettarmi, approfittando anche lui di quel mio momento di debolezza per riprendere fiato.

«Alba», lo sentii avvicinarsi ma, quando le sue mani calde sfiorarono le mie spalle, il mio corpo balzò bruscamente indietro, mettendo le braccia in avanti, quasi come in posizione di difesa.

«Non possiamo rimanere qui, è mattina, potremmo essere delle prede facili qui, lo sai», continuò a parlare ma tutto ciò che usciva dalla sua bocca non aveva più senso.

Era come se ogni parola uscisse distorta dalle sue labbra sottili, arrivando a me confusa ed indecifrabile.

«Dobbiamo andare», tenendosi a distanza minima di sicurezza, il cavaliere mi tese la mano, guardandomi negli occhi, «per favore, ascoltami», la sua voce era lenta, calma, ma nei suoi occhi leggevo la pena che provava nei miei confronti.

«L'hai ucciso», fu come realizzare tutto in quel momento, «tu l'hai ucciso», il mio risuonò come un gemito strozzato. Non riuscivo, non potevo, guardare ancora e sostenere lo sguardo dell'assassino di Roman, del mio migliore amico, strappatomi via per sempre.

Eppure lo guardai, chiedendomi se si sentisse minimamente in colpa per quello che aveva fatto.

Quando gli occhi di Kovu affrontarono i miei, il suo sguardo vacillò come la fiammella di una candela. Credetti di vederlo tremare ma decisi di rimanere salda sulle mie posizioni.

Kovu aveva ucciso Roman, il cavaliere avrebbe pagato le conseguenze della sua colpa.

«Non c'era nient'altro che potessi fare, lo giuro», il modo in cui lo disse mi spezzò il cuore ma non potetti fare altrimenti; con un profondo ringhio, azzerai la distanza tra di noi e gli tirai uno schiaffo, sentendo l'adrenalina e il dolore salire dalla mano fino alla base del collo.

Preso alla sprovvista, Kovu cadde in ginocchio, sprofondando nella terra umida di pioggia.

«Aveva trovato il tuo pugnale, lo avrebbe detto alle guardie, al Re in persona e solo per vendicarsi del tuo rifiuto», le sue parole mi ferirono come una lama.

«Non è vero, mi aveva restituito il pugnale», tremai e mi strinsi nelle spalle, sentendo il dolore tramutarsi in brividi ed in pelle d'oca lungo tutte le braccia.

«Ed è qui con te, ora? L'hai lasciato nella tua stanza durante la sera? Hai visto Roman durante l'intera serata?», ogni sua domanda era un colpo al cuore.

Era vero, non avevo il pugnale con me.

Era vero, Roman non si era fatto vedere per l'intera sera.

Ma era anche vero ciò che mi aveva detto quel pomeriggio, era così?

Si era davvero preoccupato per me e per la mia condizione o era solo un modo per far sì che mi fidassi di lui come ai tempi in cui eravamo come fratelli?

Ma la verità era anche un'altra.

Kovu aveva picchiato Roman e, a giudicare dalle condizioni del cavaliere, lui non aveva contraccambiato i colpi.

Kovu l'aveva spinto e colpito così tante volte contro terra da ucciderlo.

«Tu sei un mostro, Kovu», sentii il mio cuore spezzarsi in mille pezzi e così il suo quando le parole, riflessi dei miei pensieri, uscirono dalle mie labbra.

The white knightWhere stories live. Discover now