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15.

Allontanarmi da Kovu fu come smettere di respirare per un arco di tempo troppo lungo: insostenibile e all'apparenza letale.

Quando ci sciogliemmo dal nostro abbraccio e i nostri corpi furono a una distanza minima di sicurezza il mio intero essere fu pervaso da un brivido gelido.

Credetti di essere la sola ad averlo percepito eppure anche il cavaliere stava tremando, lo sguardo basso alla ricerca di una risposta ai suoi pensieri.

Stargli lontana adesso che eravamo stati così vicini pareva non avere senso e sperai con tutta me stessa che lui pensasse lo stesso.

Era inutile negare l'attrazione che c'era tra di noi e che c'era sempre stata, era inutile tentare di dimenticare il sostegno e l'appoggio dei primi istanti, inutile negare i dubbi e le incertezze che si erano risolte ogni volta in una carezza o in una parola gentile.

Negare ciò che avevo provato con quel bacio, che non avevo mai neppure creduto di desiderare, sarebbe stato come negare di star vivendo.

Eppure il cavaliere non mi guardava, tremava fermo sul suo posto, cercando tra le lastre del pavimento una risposta che non c'era e che non ci sarebbe mai stata.

«Kovu», con uno slancio gli fui accanto e gli sfiorai il braccio con le dita ancora bollenti.

Ma, appena lo toccai, il cavaliere balzò indietro come spaventato.

E come non esserlo?

Tra noi c'era passione, trasporto e perfino desiderio.

C'era qualcosa di più di semplici carezze o di fiducia reciproca ed era tutto assolutamente sbagliato.

Il modo in cui si era allontanato da me mi fece sussultare e il suo sguardo balzò immediatamente sul mio, l'espressione incredula e quasi delusa.

Non da me.

Non da ciò che avevamo affrontato tra baci e carezze nascosti nell'angolo buio di un corridoio.

Ma da sé stesso, per non essere riuscito a dominare ciò che provava nei miei confronti.

Capii immediatamente le sue intenzioni, le lessi nei suoi occhi e sperai di essermi sbagliata.

«Per favore non farlo», gli occhi iniziarono a bruciare e dovetti spingere le unghie nei palmi delle mani per trattenere le lacrime.

«M-Mi dispiace, Alba», con voce strozzata mi diede le spalle e tentai con tutte le mie forze di non correre verso di lui per stringerlo a me e non lasciarlo andare mai più.

Come poteva andarsene ora? Allora niente aveva avuto importanza? Niente di tutto ciò meritava di essere combattuto, con le unghie e con i denti?

«Ti prego non andare», ma Kovu era già sparito tra le mura del palazzo.

Entrai nella mia stanza come una furia.

Le prime vittime furono le pareti: mi lanciai su una di loro con tutta la forza, le unghie sulla carta da parati sembravano minacciare di scoppiare da un momento all'altro stridendo fastidiosamente lungo la parete. Caddi a terra, portando con me il cassetto di legno scuro, facendolo schiantare sul pavimento con un tonfo, riversando persino un vaso pieno di rose bianche che non avevo minimamente notato.

Le rose rimasero intatte, caddero con leggiadria nonostante lo schianto, ma non potei dire lo stesso del loro contenitore che si distrusse in milioni di piccoli pezzi.

Quando mi misi in piedi corsi verso la finestra, buttando giù le tende, strappandole persino in qualche punto, per poi raggiungere il letto e ribaltarne il materasso.

The white knightWo Geschichten leben. Entdecke jetzt