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Mi svegliai e il senso di nausea s'insinuò in me.

Dapprima il mio corpo si piegò con uno scatto fulmineo.

Lo stomaco si contrasse e la saliva, come acido, sembrò corrodermi la gola, risalendo, insieme al mio ultimo pranzo, su per la gola, costringendomi ad aprire la bocca per farlo uscire.

Gli occhi erano talmente spalancati da far male, la gola bruciava come se avessi ingerito un veleno mortale, lo stomaco si chiudeva sempre di più in una morsa.

«Mi spiace molto per il modo dei miei uomini, signorina Wood, ma, purtroppo, sono stati, come dire... necessari», guardai l'uomo che aveva parlato, i capelli corti e biondi, la barba incolta, gli occhi di un azzurro spaventosamente chiaro. Indossava abiti eleganti, uno smoking scuro su una camicia bianca con una cravatta messa troppo stretta, come un cappio intorno al collo, dello stesso colore dell'abito.

Mi guardai intorno: i soffitti alti e le pareti bianche e nude, i macchinari di freddo metallo che mi collegavano strani cavi di gomma, contenenti un liquido violaceo, dritti nelle vene che sembravano bruciare ardentemente, minacciando di scoppiare da un momento all'altro.

Mi agitai immediatamente, non sapendo cosa mi stessero iniettando, e iniziai a staccare i cavi, fermati con dei semplici cerotti.

«Alba, no», la voce dell'uomo era ruvida e prepotente ma io continuai imperterrita, nonostante il dolore. Vidi un paio di guardie avvicinarsi e mi chiesi come avessi fatto a non notarle; una di loro era Kovu.

Feci per alzarmi, poggiando entrambe le mani sul lettino dove sedevo, e lanciando le gambe in avanti, ma lo sforzo fu troppo e vomitai rovinosamente sulle scarpe, una volta lucide, dell'uomo che mi sovrastava.

Ci fu il silenzio per un lunghissimo attimo, poi solo la risata di Kovu, soffocata dal pugno che gli nascondeva le labbra.

Non riuscii ad alzare ulteriormente lo sguardo sui suoi occhi, la vergogna e la rabbia era troppa.

«Mio Re...», una guardia gli si avvicinò ma l'uomo, il benevolo Re Flavius, gli fece segno con la mano per farlo dileguare, ordine che fu eseguito sia dalla prima guardia sia dai suoi compagni che scomparvero uno dopo l'altro come cagnolini che seguivano la coda l'una degli altri, lasciandoci nella stanza. Solo Kovu rimase,anche se avevo sperato per tutto il tempo che seguisse i suoi compagni e con lui anche il Re.

Mi pulii rapidamente le labbra con il dorso della mano poi ritrovai la forza di guardare il Re e il cavaliere dietro di lui.

«Quindi voi ritenete necessario accerchiare una ragazza disarmata, senza alcuna possibilità di proteggersi?», sentii quasi l'acido che mi aveva corroso la gola appropriarsi delle mie parole, sputate con rabbia contro il sovrano.

Avrei voluto colpirlo, farmi valere, fargli capire che, nonostante fossi una donna, meritavo il posto di cavaliere che mio padre mi aveva ceduto con la sua morte.

«Solo per la sua sicurezza, signorina», afferrò un cavo e me lo mise all'altezza degli occhi, «questo contiene un potente vaccino contro le malattie che molti hanno riscontrato nel nostro bel paese», posò l'oggetto e si sedette al mio fianco con un immediato allontanamento da parte mia.

Poteva essere il Re, poteva essere il mio sovrano, il mio capo, ma continuavo a non fidarmi di lui, e non mi fidavo nemmeno del suo cavaliere che, nonostante conoscesse la prassi, non mi aveva avvertita né protetta, e continuava a scrutarmi coi suoi occhi pallidi con espressione seria.

«Penso che abbiate notato quanto possa bruciare questa roba, una volta svegli», continuò il Re con un mezzo sorriso stampato sul volto, «eppure abbiamo riscontrato quanto, durante un lungo sonno, il dolore non venga poi percepito in modo così evidente», poi si voltò verso Kovu, mostrandomi il profilo di un naso lungo ed adunco, come quello di un grosso uccello rapace, «Non lo trovate divertente, mio cavaliere?», e rise di pieno gusto senza neanche aspettare la risposta di quello che era stato il mio compagno di viaggio che non smetteva di fissarmi, questa volta con sguardo quasi compiaciuto.

Notando le nostre occhiate, il Re, senza smettere di sorridere, disse, con tono solenne, a voce ben alta così che potessimo sentirlo entrambi: «Ora che il controllo è finito, signorina Wood, la prego di andare nella stanza che le ho dato a disposizione. Kovu la guiderà fin lì.», guardò il cavaliere e mi porse una mano per aiutarmi a scendere, assottigliando le labbra in un sorrisetto soddisfatto.

«Signorina», disse, baciandomi la mano pulita, «è stato un piacere fare la sua conoscenza», poi si dileguò dalla stanza come un fantasma, senza far rumore.

Tentai di fare un primo passo in avanti ma le gambe minacciarono di cedere e sussultai temendo di cadere giù. Come un fulmine, Kovu mi fu affianco, porgendomi il suo aiuto come il buon cavaliere che credevo che fosse.

«No», dissi, allungando le braccia per allontanarlo, senza guardarlo negli occhi.

Sapevo che, se l'avessi fatto, se mi fossi concessa anche solo il minimo dubbio, guardando i suoi occhi, non sarei più tornata indietro.

«Alba, non arriverai mai alla tua stanza di questo passo!», esclamò dopo avermi visto fare un lungo passo trattenendomi però alle sbarre del letto, «Per favore, permettimi di aiutarti», ma per l'ennesima volta lo allontanai, muovendomi di un altro metro tenendomi stretta alla parete.

Le gambe bruciarono per lo sforzo e lo stringere i denti con quella forza mi fece pulsare dolorosamente la testa. Dovetti fermarmi un momento per prendere fiato ma, nonostante gli sforzi, una volta alzato lo sguardo notai che la porta era ancora lontanissima.

«Alba, ti prego», Kovu si lanciò verso di me e si mise dietro di me, sostenendomi per i gomiti, come se temesse che potessi scivolare via dalle sue mani e precipitare a terra.

«Perché lo fai, uhm?», mi voltai a guardarlo, tremando di rabbia, «Perché ti comporti in questo modo, non riesco a capirti!»

I suoi cambi d'umore mi stordivano, mi confondevano come la marea, dapprima lontana dalla spiaggia e poi vicina tutt'un tratto, con violenza.

Lo sguardo che scorsi sul suo viso fermò ogni mio tremore.

I suoi occhi divennero ancora più pallidi, quasi incolore, e la sua espressione tradì un'emozione che non riuscii a decifrare. Sembrava sorpreso e al contempo triste.

Era uno sguardo impossibile da poter sostenere, sembrava quasi che gli avessero strappato via il cuore dal petto.

«Perché non voglio che tu ti faccia male, Alba», mi guardò, poi chiuse le palpebre, allontanandomi il più possibile dai suoi occhi, come porte aperte sul suo cuore, «Non sopporterei di vederti farti del male», la sua voce parve tremare così chiuse la bocca e riaprì gli occhi per guardarmi fisso.

«E ora, te lo chiedo per favore Alba, permettimi di aiutarti», mi allungò il braccio e aspettò a lungo prima che glielo stringessi, appoggiandomi completamente a lui.

Uscimmo dalla stanza in silenzio e quest'ultimo ci accompagnò fin quando non raggiunsi il mio alloggio, rimanendo sola coi miei dubbi.

E' facile affondare, lasciarsi andare al buio, cadere nell'oscurità, affogare senza accorgersene.

All'improvviso ti manca l'aria, le gambe smettono di funzionare, e poi anche le braccia.

Il tuo corpo si riempie d'acqua e alla fine smetti semplicemente di lottare.

Ti lasci andare, e ti abbandoni alla vertigine.

E non c'è nient'altro che oscurità.

E ti manca il respiro...

adCD

The white knightHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin