16. Sex On Fire

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Harry

Quando la musica alzava le sue frequenze, quando la gente rideva, parlando fastidiosamente ad un volume troppo alto, quando l'odore di alcool si univa a quello di vissuto: era proprio quello il momento nel quale mi sentivo più alienato, distaccato dal mondo, come un corpo vuoto di cui rimaneva solo il guscio. Perché di tutti quei rumori, quelle emozioni vissute intensamente, io non avevo fatto altro che viverne attraverso il ricordo, il ricordo di come fosse uscire con gli amici senza pensare al fatto che mi trovassi in un posto dove solo due persone sapevano la verità sulla mia cicatrice ad esempio, in un posto lontano miglia e miglia dalla mia casa di provincia, da mia madre, da mia sorella, da mio padre. Sentirsi un pezzo di rifiuto fluttuante nello spazio aveva avuto i suoi vantaggi, primo tra tutti quello di non dover spiegare a nessuno cosa contenesse il mio cervello malato. Tutti tranne Zayn lo ignoravano, lo stesso Zayn che sapeva cosa mai dette, taciute, cose che erano successe lì, nella nuova terra dei sogni, che assomigliavano molto a quelle successe là, nella terra degli incubi. Passato remoto che si fondeva con un passato prossimo, con i profili, le voci e le mani di chi era stato carnefice, autore di una nuova cicatrice, della quale solo parlarne era come un cappio al collo, stretto fino a lasciare i segn

Quando il rebus però aveva una sola risposta, quando l'enigma sarebbe stato svelato, non era dato saperlo, nemmeno a me che ero la vittima.

L'importante era che quel sabato sera, versando alcool a ragazzi dai futuri diversi e compatendo il mio di futuro, pensare al passato non era accettabile. Era anche fuori luogo, visto che avevo passato il pomeriggio a sentire.

Le accezioni del verbo sentire nel vocabolario tutto mio, fatto di teoria e di pratica, erano rimaste bloccate nel tempo a due anni prima, quando l'amore era l'unica cosa che riempiva la speranza ingenua dei miei sorrisi ampi. Per molto tempo, sentire era stato legato solo a Zayn, percepire il suo corpo e il suo respiro mi aveva calmato, le sue mani su di me cullato e dato piacere alle volte, le sue parole accarezzato, il suo amore tenuto saldo. Ma quel giorno, quasi come rituale mistico o religioso, avevo dato un nuovo battesimo a quel verbo duplice. Non si sentiva solo dalle orecchie, come nemmeno solo dal cuore.

Io avevo imparato a sentire ovunque.

Con Louis vicino, facendogli vedere quel poco di mondo che conoscevo, mi ero come svegliato, intorpidito dopo un inverno passato in letargo e mi ero sgranchito le gambe, muovendo gli arti atrofizzati. Un respiro, il suo profumo, le sue mani, gli occhi.

Blu. Mare. Cielo.

Per poi sentire fuoco, il tocco della passione, il contatto dei corpi. L'insaziabile voglia di volerne ancora di lui, della sua gentilezza, del suo timore, delle sue paure, a nutrirmi, a nutrire il mio di corpo rotto, di mente annebbiata, di cuore malato, confuso, di pazzia consapevole, di solitudine indotta.

Per questo quella sera ero impaziente di vederlo entrare, per questo il volerlo vedere in quel momento di pura astrazione sarebbe stato come respirare realtà, perché ancora ci dovevo credere che stesse succedendo a me, che mi stessi svegliando davvero.

Entrò alle dieci e mezza con la sua fidanzata a braccetto e Liam a seguirli. Si andarono a sedere in uno dei tavoli più vicini al bancone con Brit e Dana che erano già lì ad aspettarli. Il tavolo era sempre riservato, Brit ci aveva ricattato per mesi e mesi, ancora prima di conoscermi veramente.

Quando i nostri sguardi si scontrarono, collidendo, mi sorrise salutandomi con un cenno timido della mano ed io mi costrinsi a non distrarmi troppo, dopotutto stavo lavorando, ma i suoi occhi addosso a reclamare anche solo un'occhiata, a cercarmi come se fossi suo, come se lui fosse roba mia mi distrassero. Ed ero nuovamente egoista quando pensavo che lo fosse davvero, che volevo lo fosse davvero, i suoi baci dovevano saziarmi e le sua mani scoprirmi e il suo corpo lasciarsi scoprire. La voglia che avevo di lui si stava amplificando, moltiplicandosi come quando da piccolo avevo rotto il termometro e il mercurio si era sparso ovunque. Avrei aspettato impaziente un momento di stallo, dopo la mezzanotte, quando i ragazzi solitamente svuotavano il pub per affollare le discoteche, per avvicinarmi a lui e sentirmi più vicino al mondo e più lontano dal sottosuolo lugubre e nero pieno di fantasmi.

No Sound but the WindWhere stories live. Discover now