Capitolo 3 - Guai in vista (R)

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Piegò la testa di lato, forse cercando di dare un senso alle sue parole senza sembrare troppo inquietante. «Sinceramente? Il più possibile. Sono sempre stato il tipo di persona che non si lascia ingannare da un bel visino come il tuo ma che, al contrario, si impegna a scavare sotto la superficie per trovare la vera essenza delle cose.»

Mi scandagliò a fondo con i suoi occhi azzurro verde come per scrutarmi dentro. Un attimo, azzurri? Stamattina erano gialli! Bah, ero finalmente certa di essere sull'orlo di un crollo psicologico se vedevo anche cose inesistenti.

Ripensai alle parole che aveva appena detto e lo osservai interdetta: sotto di me non avrebbe scavato un bel nulla!
Se avessi anche avuto una mezza idea di confessargli qualcosa, dopo questa sua frase filosofica con una punta di arroganza, se lo poteva sognare.

«Bene, tu comincia pure ad indagare, io poi ti aspetto al varco con una mazza in mano.»
Mi alzai e, decisa ad interrompere quella conversazione, andai in cucina a prendere da bere. Fatti nemmeno due passi, avvertii che mi stava seguendo.

«E adesso cosa vuoi?»

Mi girai esasperata. Aveva un'espressione allarmata: subito mi tirò a sè in cucina e mi fece segno di stare zitta.
Sul momento fui pronta a ribattere, ma qualcosa, forse la serie violenta di colpi alla mia porta, mi indussero a seguire il suo consiglio.

Mi teneva per un braccio, stringendo forte quasi da farmi male. Poi, mi lanciò un'occhiata e disse: «Non muoverti di un solo millimetro.»

Asserii pietrificata, mentre lo osservavo andarsene.

Un silenzio inquietante invase l'abitazione e io mi rannicchiai in un angolo terrorizzata; Theo non aveva dato alcun segno di vita, i colpi erano cessati all'improvviso e l'unico rumore che riuscivo a sentire era il battito forte del mio cuore.

«Diana!»

Un urlo, un fragore e rumore di mobili spostati con violenza. Sentivo porcellane rompersi, sedie fracassarsi e colpi forti alle pareti, come se vi avessero lanciato qualcosa di pesante contro.

Volevo davvero andare a vedere e se possibile aiutare, ma il mio corpo rimaneva immobile.
Uno scoppio mi destò da quello stato: non potevo lasciare Theo da solo in quel momento. Mi forzai a mettermi in piedi, presi uno di quei coltelli per tagliare il pane e mi diressi cautamente in salotto, constatando che era ridotto a un disastro: divano ribaltato, al tavolino a esso adiacente mancava una gamba ed era rovesciato a terra, tende strappate e al centro tre figure che si azzuffavano.

Un brivido mi percorse la schiena e un moto di paura di pervase: dovevo chiamare aiuto.
Riconobbi il mio compagno solo il momento prima di schivare un antico vaso che si schiantò alle mie spalle rompendosi in mille pezzi.

Presi un respiro profondo e, sperando di non farmi sentire, gattonai velocemente verso la mia borsa pregando che ci fosse dentro il telefono; nel frattempo che il resto del mobilio stava andando in pezzi, io raggiunsi la mia agognata meta e rovistai fino a che non sfiorai la familiare sagoma. Sospirai di sollievo, ma purtroppo fu per un solo attimo.

Qualcuno mi afferrò per i capelli e mi strattonò all'indietro con violenza; urlai per il dolore, mentre con la mia arma improvvisata cercai di colpirlo in un punto che speravo non l'avrebbe ucciso: la gamba. Alla fine ci riuscì anche se questo, pur grugnendo di dolore, non lasciò minimamente la presa, ma anzi si gettò su di me per disarmarmi e assieme rotolammo sul pavimento colmo di cocci. Ricevetti una gran quantità di pugni e calci nonostante tentassi di ripararmi con le braccia e provassi a mia volta a colpirlo; quello però sembrava non aver nemmeno percepito più di tanto, mentre gli affettavo il polpaccio come un prosciutto.

Ero allo stremo delle forze quando intervenne Theo levandomelo di dosso e riempiendolo di botte; grazie al cielo ero libera!
Respirare era faticoso, mi sentivo gonfia e agonizzante, ma ero viva per lo meno.

Spostai la testa in direzione della scena di lotta e ciò che vidi mi sconvolse: era rimasto uno solo dei due incappucciati, che aveva degli artigli al posto di normali unghie, zanne e brillanti occhi azzurro ghiaccio; mi morì un grido in gola. Strisciai verso la porta sfondata volendo mettere più distanza possibile tra me e quel coso, sperando che non se ne accorgesse.

«E tu dove credi di andare, principessa?»
Oh-oh. «Mi hanno chiesto di portarti da loro viva, ma non hanno detto nulla riguardo alla quantità di pezzi in cui posso consegnarti. Probabilmente non gli cambierebbe molto.» Un sorriso maligno si disegnò sul volto deforme.

«Peccato tu non possa scoprirlo, perché non la sfiorerai mai.» Il mio prode cavaliere, molto arrabbiato, si avventò su questo essere, allontanandolo da me. Lo ringraziai mentalmente, annotandomi di scusarmi per la mia sgarbataggine appena ce ne fosse stata l'occasione e riprovai a fuggire.

Appena uscii di casa, il tipo che era da poco sparito, si materializzò davanti a me.
«Presa!»

Sbuffai irritata: possibile che non riuscissimo a liberacene? Tentai di assumere una posizione di difesa, una di quelle che avevo visto nei film tante volte, e mi gettai su di lui prima che questo potesse reagire.

Mossa purtroppo inutile, dato che ne presi talmente tante che temetti che a breve avrei sputato persino un dente; mi sanguinava copiosamente il naso e sentivo di aver rotto qualche ossa, ma non mi diedi per vinta e, come ultimo disperato tentativo, morsi forte il mio avversario che si dimenò fino a scaraventarmi con una forza inumana contro il muro della casa.

Fu solo in quel momento, che persi i sensi e forse fu anche meglio così.

Luna Nuova || Teen Wolf Where stories live. Discover now