I may fall but I swear that I'll help you believe

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I giorni che passava chiuso nella saletta del dottor Johnson erano lentamente diventati settimane e queste settimane si erano a loro volta trasformate, sempre lentamente, in sei lunghissimi mesi in cui la vita di Louis Tomlinson era scandita da Shirley tra le sue mani, corse da una parte all'altra per l'associazione, cene a casa di Effy e le telefonate con Harry. Quelle che preferiva erano quelle a notte fonda, quando tutti e due avrebbero dovuto dormire e invece non perdevano tempo per comportarsi come gli adolescenti che non erano più.
Almeno una cosa era dalla loro parte: il tempo.
Perchè tra Londra e Wenchi il fuso orario era solo di un'ora, perchè col tempo quell'associazione che ormai era il fulcro delle vite di tutti e cinque si era definita sempre di più fino a diventare quasi reale, quasi.
Il tempo sembrava non riuscire nemmeno a scheggiare il rapporto ai limiti dell'incredibile tra quei due medici che a distanza di 6.630 kilometri si amavano sempre di più, giorno dopo giorno, con la necessità di risentire i propri profumi o la pelle sotto le dita a destabilizzarli ma con la determinazione e la voglia di farcela che era caratteristica solo dei più grandi eroi.
Il tempo aveva infine concesso a Louis di stare meglio, fisicamente e psicologicamente. Con l'andare dei mesi gli incubi si erano diradati a poco a poco, gli sfuggivano tra le dita e il ragazzo era contento di riuscire a lasciarli finalmente andare. Tra una seduta e l'altra era tornato padrone della sua mano destra e aveva recuperato un buon 90% di autonomia, ma questo, Louis Tomlinson non riusciva a spiegarselo e di conseguenza, non riusciva a crederci.
"Louis, so quello che dico" lo riprese il dottor Johnson fissandolo da dietro la sua scrivania di legno pregiato "Stai bene, tu non hai più bisogno di me e nemmeno di Shirley" indicò la pallina gialla che Louis si passava da una mano all'altra. "E' una cosa odiosa, Lou" la voce di Niall invase le orecchie del castano in quel ricordo.
Guarire era tutto ciò che voleva ma Louis non era pronto a lasciar andare quella parte della sua vita per dedicarsi ad un'altra in cui non aveva più scuse, poteva solo agire e doveva farlo bene, non poteva più nascondersi dietro a niente. Non che Louis Tomlinson si fosse mai nascosto, al contrario, ma il ragazzo aveva sempre avuto problemi con i cambiamenti, di ogni genere.
Era stato l'unico a non aver mai spostato i mobili all'interno della casetta in cui studiava quando era all'università e immutata lo era rimasta anche la casa a Kennington.
Perfino lì a Wenchi i turni non erano mai stati cambiati, si lavorava sempre allo stesso modo, con gli stessi ritmi dettati da lui. Louis non amava i cambiamenti ma non lo si poteva nemmeno definire una persona statica, era decisamente troppo pieno di vita e troppo intelligente solo per pensare di esserlo. Louis Tomlinson era un perfetto equilibrio, odiava i cambiamenti ma aveva sempre saputo perfettamente cosa valesse la pena sostituire, aggiornare, rivoluzionare.
Una rivoluzione, questo era stato Harry Styles nella sua vita. Una tavolozza di colori nelle sfumature smorte e tristi della sabbia e della terra di Wenchi. Aveva buttato a terra e calpestato con un sorriso dolce tutte le sue sicurezze, Harry aveva cambiato tutto e per la prima volta nella sua vita Louis non ne era stato spaventato o infastidito, semplicemente non era mai stato più felice.
Avrebbe cambiato tutto ogni giorno pur di tenersi stretto alla luce e alla purezza che quel ragazzo sapeva irradiare anche solo attraverso quel sorriso di perle e quegli occhi fatti di Eden che in nemmeno mille anni Louis sarebbe stato in grado di dimenticare. Perchè anche a tutta quella distanza, Louis ricordava benissimo ogni particolare di quel viso angelico, dalle fossette alle labbra rosse ai ricci che ricadevano abbondanti sulla fronte spaziosa.
"Non credo di essere pronto" sentenziò Louis sedendosi e ritornando alla realtà.
Il dottor Johnson scosse la testa sorridendo "E' del tutto normale per chi come te ha subito questi traumi, non lasciar vincere la paura, Louis, tu stai bene" disse avvicinandosi e congiungendo le mani sulla scrivania. Il castano scosse la testa, non poteva stare bene, non del tutto.
"Ti sei impegnato così duramente, Tomlinson" asserì il medico "E ce l'hai fatta. Allontanati da questo studio e da quello che significa, brucia la tua pallina perchè non ti serve più" ed istintivamente a quelle parole Louis la strinse più forte abbassando lo sguardo.
"Lesioni come le mie non guariscono mai del tutto" sentenziò clinico.
"Hai ripreso possesso del tuo braccio destro al 90%. Gli spasmi non sono più dettati dai tuoi nervi ma dalle tue emozioni, tu sei pronto, lascia che te lo dimostri" continuò fermo il dottore alzandosi.
Aprì un cassetto ed estrasse una siringa sterilizzata, la poggiò sulla scrivania con l'ago coperto e porse a Louis un paio di guanti.
"Poggiati sul lettino e fatti un prelievo" gli ordinò categorico.
"Non posso" scrollò le spalle il castano.
Il dottor Johnson scosse il capo e "Tu non vuoi, è diverso" lo istigò cercando di toccare tutti i nervi scoperti e in quel momento Louis, contrariamente alle sue abitudini, li aveva tutti in mostra.
"Crede che non voglia?!" chiese il ragazzo a denti stretti "Mi prende in giro?" incalzò.
"Dimostramelo" sorrise il dottore "Ti dirò di più, sono così convinto che tu possa farlo che il prelievo lo farai a me" continuò l'uomo alzandosi la manica. Si sedette ad un lato del lettino che aveva nello studio e tirò fuori il laccio emostatico.
"La smetta" disse tra i denti Louis, le guance in fiamme.
"Provamelo" lo istigò ancora l'uomo "Provamelo e io e le tue insicurezze ti lasceremo stare" aggiunse poi con un tono più dolce "Hai salvato un numero spaventoso di vite Tomlinson, puoi benissimo farmi un prelievo" asserì. Louis si perse in quegli occhi scuri. Vi lesse tanta, forse troppa fiducia. Vi lesse convinzione e amore per il proprio lavoro, quell'amore verso i pazienti che Louis aveva visto solo in Harry e nei suoi ragazzi lì a Wenchi. Poteva farcela, doveva.
Era Louis Tomlinson, diamine, aveva operato in sale improvvisate, aveva salvato persone dal limitare della morte, lui poteva farcela, il suo passato glielo stava dimostrando.
Indossò i guanti in lattice e si diresse al lettino. Si sedette di fronte al dottore e inspirando con calma legò il laccio emostatico sul bicipite del dottore.
"Mi fido di te, Louis, non sono così idiota da rischiare un braccio" disse l'uomo cercando di alleggerire la tensione, stranamente ci riuscì.
Louis liberò l'ago del tappuccio e rafforzò la presa.
Sentiva la mano e il braccio destri tranquilli e morbidi, come se non fosse successo mai nulla.
Chiuse fuori dalla sua mente i flashback che cominciavano a sfocarsi ed individuò la vena.
Con il solito tocco leggero - per cui tutti l'avevano sempre ringraziato - l'ago traforò la vena del dottore che sorrise un attimo mente il castano tirava via un po' di sangue per poi, con gentilezza, sfilare l'ago e tamponare il buchino quasi invisibile con dell'ovatta imbevuta di disinfettante.
Si dedicò al braccio del dottore e solo quando puntò lo sguardo sulla siringa e sul suo contenuto si sentì di nuovo vivo, si sentì di nuovo Louis Tomlinson, medico senza frontiere, pronto a ricominciare.
"Bentornato tra noi, Louis" sorrise il dottore riabbassando la sua manica.
Quando Louis uscì da quello studio per l'ultima volta Shirley faceva però ancora capolino nella sua tasca.

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