CAPITOLO PRIMO - parte 2

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Liu passò l'intera notte chiuso nel suo ufficio alla centrale. Sfogliò così tanti fascicoli che alla fine vi si addormentò con la testa poggiata sopra, colto alla sprovvista da un'improvvisa stanchezza che non fu in grado di domare. Quando aprì di nuovo gli occhi era già mattina.
-Maledizione...- borbottò stirando la schiena dolorante, mentre sbadigliava rumorosamente. Si alzò dalla sua sedia da ufficio e si diresse in corridoio, dove erano state sistemate due macchine delle vivande.
Inserì la chiavetta riservata ai dipendenti e premette il tasto "caffè lungo", poi attese di sentire il Bip che segnalava che la bevanda fosse pronta. Afferrò il bicchierino e si diresse nuovamente in direzione del suo ufficio.
-Oh, agente Woods!- esordì una voce. Era uno dei suoi colleghi più stretti, un uomo giovane e brillante. La divisa gli donava molto, peccato che fosse un po' stretta sulla pancia.
-Buongiorno- rispose semplicemente lui, sorseggiando il caffè senza smettere di camminare.
-Non dirmi che hai di nuovo dormito in ufficio!-.
-È proprio così- rispose sarcastico.
-Tu ti ammalerai, te lo garantisco!-.
-Me lo dite tutti-.
Entrò e chiuse la porta dietro alle sue spalle, sospirando. Tornò a sedersi, poggiò il caffè sul tavolo ed afferrò una delle cartelle.
"Jeff the Killer, omicidio in via Siena".
Quello era il caso più recente che gli era stato affidato, ovvero l'ultimo omicidio commesso da Jeff the Killer. Aveva ucciso un uomo che abitava solo dal giorno della morte della sua amata moglie, avvenuta circa cinque anni prima.
Gli omicidi di Jeff erano molto diversi da quelli che i poliziotti erano abituati a vedere, perché quel folle sadico non si limitava mai soltanto ad uccidere: molte volte incideva degli ampi sorrisi sulle guance dei cadaveri, simili al suo; oppure scriveva sulle pareti utilizzando il loro sangue, o pugnalava le vittime molte più volte di quante fossero necessarie per ucciderle, imbrattando le abitazioni del loro sangue.
L'uomo in questione non aveva fatto eccezione: sorriso inciso sul volto, ventitré pugnalate al petto, e schizzi di sangue su tutte le pareti.
Liu sospirò e bevve l'ultimo sorso di caffè, prima di gettare il bicchierino nel cestino posto sotto alla scrivania, che rotolò su una pila di cartacce.
Udì dei passi lungo il corridoio oltre la porta chiusa, ed una voce sconosciuta che rimbazava sulle pareti. Probabilmente si trattava di uno dei nuovi colleghi: il capo aveva detto che aveva intenzione di assumerne tre.
Si concentrò ed ascoltò con attenzione.
-Ma è qui che lavora quel ragazzo di cui tutti parlano? Quello con il volto pieno di cicatrici?- diceva la voce sconosciuta.
-Shhh! Parla piano! Non vorrai farti sentire!-.
-Dicono sia il fratello di Jeff the Killer, vi rendete conto?- intervenne una terza voce, questa volta palesemente femminile.
-Da non crederci, pazzesco. Se io fossi il capo non mi fiderei ad avere in ufficio un tipo così; se fosse pazzo come suo fratello?-.
Una voce più decisa intervenne nella conversazione. -Ma che dici, Liu Woods è il migliore agente che il capo abbia. O almeno questo è quello che dice lui-.
-Ho sentito dire che è stato proprio Jeff the Killer a sfregiarlo così, il giorno in cui impazzì sei anni fa. Vi rendete conto?-.
-Mah, sarà vero?-.
-Sì, è vero-. Liu intervenne bruscamente in quella conversazione quasi gridando, e facendo sbiancare di vergogna tutti i colleghi. Il suo sguardo era truce, ma non aggiunse altro.
-Non volevamo essere irrispettosi- disse uno di loro, aprendo di poco la porta ed agitando le mani.
-Beh, lo siete stati- ribatté lui, assumendo un'espressione disgustata. -Perché non vi date da fare, visto che il capo vi paga?-.
-C..Certo- balbettarono mentre si allontanavano lungo il corridoio con i volti pieni di vergogna.
Liu tornò nel suo ufficio e sbattè con violenza la porta per placare il nervosismo, prima di mettersi di nuovo a sedere dietro alla scrivania.
-Tsk... Idioti-.
Fece scorrere distrattamente le punte delle dita sulle innumerevoli cicatrici che albergavano sul suo viso, e sospirò.
", è vero".
Quegli sfregi erano un segno indelebile che si sarebbe portato addosso tutta la vita; ed ogni volta che li vedeva, guardandosi allo specchio, una voragine si apriva nel suo petto.

Jeff e Liu - La nostra stella Where stories live. Discover now